Il
Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di
Atlanta ha diffuso una nota in cui consiglia ai cittadini americani di
prendere delle precauzioni quando vengono in Italia perché il nostro
Paese è ad alto rischio epidemiologico. Vi infuria una pericolosissima
malattia: il morbillo. Nei primi tre mesi di quest’anno il morbillo ha
colpito 1.473 persone. Un’enormità, circa lo 0,0025% della popolazione
italiana. Per la prima volta siamo considerati un Paese ‘a rischio’ come
la Sierra Leone colpita dal virus dell’Ebola.
Il
morbillo, come la varicella o la rosolia, è una di quelle classiche
malattie esantematiche (le ‘malattie infantili’ come si diceva una
volta) che, scarlattina a parte, non hanno mai fatto male a nessuno.
Nella mia generazione, che è quella della guerra e del primo dopoguerra,
tutti abbiamo preso il morbillo, eppur siam vivi. Ci facevano molta più
paura (o meglio la facevano ai nostri genitori) le bombe che gli
americani gettavano a man bassa su Milano senza peraltro riuscire a
colpire un qualche obbiettivo militare come la Stazione Centrale. Il
morbillo, come la varicella o la rosolia, è probabilmente una
autoimmunizzazione. Tanto che ai tempi miei molte madri usavano mettere i
loro figli sani accanto ai bambini malati di morbillo, così se lo
beccavano e non ci si pensava più. Solo in casi rarissimi il morbillo
–ma il discorso vale anche per una semplice influenza- può avere effetti
collaterali pericolosi. Ma evidentemente gli americani lo temono come
la peste. Del resto sono dei maniaci dell’igiene oltre che del controllo
su tutto e su tutti. A qualcuno dei lettori sarà certamente capitato di
andare a letto con qualche ragazza americana del tipo WASP. Ti chiede
preventivamente di farti una doccia, poi va in bagno e si fa abluzioni
per mezz’ora. Quindi esce con una camicetta (un tempo babydoll) in cui
manca poco che ci sia scritto “fuck me”. E a te cade tutta la libido,
ammesso che non l’avessi persa nel frattempo.
Molto
attenti alla loro salute (anche se l’Aids in grande stile è partito
proprio dall’America a causa di una eccessiva promiscuità omossessuale e
bisessuale) lo sono pochissimo per quella altrui. E’ notizia di pochi
giorni fa che hanno gettato la GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb
detta in acronimo Moab e in volgare la ‘madre di tutte le bombe’, di cui
negli States pare che vadano molto fieri (qualche flebile protesta c’è
stata solo per il costo: 314 milioni di dollari che forse potevano
essere usati diversamente) un ordigno dal peso di 10 tonnellate che
certo fa un po’ più male del morbillo. “Non si sa, non è ancor certo” se
abbiano colpito gli jihadisti, il loro obbiettivo dichiarato, ciò che è
sicuro è che i contadini afgani che abitavano nelle vicinanze
dell’esplosione non ne sono usciti bene.
Gli
americani hanno una vera fobia per le ‘armi di distruzione di massa’
specialmente chimiche. Non fan che disegnare ‘linee rosse’ insuperabili,
quando queste armi le usano gli altri. Eppure sono i più grandi
dispensatori di ‘armi di distruzione di massa’. Chi ha gettato l’Atomica
su Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki quando il Giappone era già
in ginocchio? Al bilancio di 80 mila morti in un colpo solo va aggiunto
quello, ancor più grave, dei bambini e degli adulti contaminati per
decenni dalle radiazioni nucleari. Hanno usato il napalm in Vietnam.
Hanno utilizzato proiettili all’uranio impoverito in Bosnia. Fra i
soldati italiani che accompagnarono quella spedizione punitiva antiserba
i morti per leucemia, al 2016, sono 333 e quelli che si sono ammalati
di cancro per essersi contaminati con quei proiettili sono oltre 3.600
(dati forniti dall’Osservatorio Militare). Non si hanno informazioni
precise sugli abitanti di Bosnia, ma se tanto mi dà tanto i morti e gli
ammalati devono essere molti di più, visto che i nostri soldati qualche
precauzione l’avevano pur presa e sul territorio ci sono stati per un
periodo limitato, mentre gli abitanti hanno continuato a viverci o
piuttosto a morirci.
In
Afghanistan, per stanare gli uomini di Bin Laden nascosti nelle caverne
di Tora Bora, hanno usato i gas tossici per stessa ammissione del
segretario della Difesa Donald Rumsfeld. E poi hanno continuato
imperterriti. Nel marzo del 2003 un vecchio, Jooma Khan, che viveva in
un villaggio della provincia di Laghman, nell’Afghanistan
nord-orientale, ha raccontato: “Quando vidi mio nipote deforme mi resi
conto che le mie speranze per il futuro erano scomparse. Ciò è
differente dalla disperazione provata per le barbarie russe, anche se a
quel tempo persi mio figlio più grande, Shafiqullah. Questa volta invece
sento che noi siamo parte dell’invisibile genocidio che l’America ci ha
buttato addosso, una morte silenziosa da cui non potremo fuggire”
(Robert C. Koehler, in Tribune Media Services,
2004). Del resto ai genocidi, silenziosi o meno, questi cowboy
vigliacchi non sono nuovi. Parte della loro storia inizia col genocidio
dei pellerossa, usando, oltre i winchester contro le frecce, l’’arma
chimica’ del tempo, il whisky, per indebolire e fiaccare una popolazione
altamente spirituale, poi descritta nei loro indecenti film western
come tribù di barbari ‘scalpatori’. In seguito li hanno chiusi nelle
riserve, ma non bastandogli continuano a farci i loro porci comodi. Nel
gennaio di quest’anno Donald Trump ha deciso, nonostante la disperata
opposizione dei Sioux, di far passare alcuni oleodotti nelle loro
riserve del North Dakota.
Se
erano vigliacchi in partenza ora lo sono diventati all’ennesima
potenza. Non hanno il coraggio di scendere sul terreno, ma usano quasi
esclusivamente bombardieri e droni. Affermano che l’Isis è il maggior
pericolo per l’Occidente, ma per conquistare Mosul utilizzano il
coraggio (quelli ce l’hanno) dei peshmerga curdi e dei pasdaran
iraniani. Non c’è quasi ospedale che non abbiano colpito, in
Afghanistan, in Siria e altrove.
Dal
1990, collassato il contraltare sovietico, non fanno che inanellare
guerre di aggressione: prima guerra del Golfo (1990), guerra antiserba
in Bosnia con l’appoggio degli europei (1992-1995), guerra alla Serbia
del 1999 con la partecipazione di altri membri di quella finzione che è
la Nato, ma non tutti (la piccola Grecia si rifiutò di parteciparvi,
l’Italia invece si prestò nella poco nobile parte del ‘palo’, gli aerei
che andavano a bombardare Belgrado partivano da Aviano), guerra
all’Afghanistan (2001-?), guerra all’Iraq (2003) nonostante
l’opposizione dell’Onu che si era opposta anche all’aggressione alla
Serbia, guerra alla Somalia per interposta Etiopia (2006-2007), guerra
alla Libia (2011) con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti
quelli che ora piangono lacrime di coccodrillo. In attesa di ulteriori
sviluppi della crisi nordcoreana.
Hanno
un centinaio di basi militari, anche nucleari, in tutto il mondo,
persino nella piccola e pacifica Islanda, e possono colpire chi vogliono
e quando vogliono.
E
allora chi sono i terroristi internazionali? Una bella epidemia di
morbillo e magari di varicella e anche di pertosse è il minimo che gli
si può augurare.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2017
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