Gli islamisti cacciati da Sirte. Al Sarraj dovrà trattare con Haftar
L’ultimo blocco di edifici nel quartiere di Ghiza Bahriya è stato espugnato, Sirte è stata riconquistata e l’Isis non governa più neanche un metro quadrato della Libia. Le battaglie di Aleppo e in Iraq hanno fatto passare in secondo piano la fine di una lotta durata sette mesi, condotta dalle milizie di Misurata alleate del governo di Fayez al-Sarraj. Ma l’eliminazione della provincia libica è il primo passo verso la distruzione del Califfato. Restano la capitale siriana, Raqqa, e quella irachena, Mosul.
Ascesa e caduta
L’ascesa dei seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi è stata folgorante, la loro caduta lentissima. Gli islamisti hanno preso Sirte nel febbraio del 2015, nel vuoto di potere che aveva creato lo scontro fra i governi di Tripoli e Tobruk.
Poi hanno imposto il loro regime del terrore. Hanno cercato di conquistare i terminal petroliferi verso Est e poi hanno attaccato Misurata, lo scorso maggio. Sono stati fermati a 90 chilometri dalla città. Ed è stato l’inizio della loro fine.
Ancora un anno fa sembrava che Sirte, 100 mila abitanti, potesse diventare la capitale alternativa del Califfato, un possibile rifugio per lo stesso Al-Baghdadi. I misuratini hanno ripreso rapidamente la provincia e i sobborghi. Poi, da giugno, è iniziata una devastante guerra urbana. Il primo agosto sono dovuti intervenire i raid americani per espugnare il centro congressi Ouagadougou. I jihadisti si sono asserragliati nei quartieri centrali e sul lungomare. I Distretti 1, 2, 3, il Blocco 600 sono diventati distese di macerie e trappole infernali per i combattenti di Misurata, decimati da autobombe e cecchini. Settecento sono morti.
La fuga verso il deserto
Il numero dei feriti, 3200, ha rallentato l’avanzata, tanto che Misurata ha chiesto all’Italia di allestire un ospedale da campo accanto all’aeroporto. Nelle file dell’Isis 2500 jihadisti «sono stati uccisi», altrettanti sono fuggiti verso il deserto, dove ci sono ancora cellule pronte alla guerriglia. L’ultima battaglia è stata durissima. Gli uomini di Misurata, ha raccontato il portavoce Mohamed al-Ghasri, sono riusciti a liberate 31 bambini e donne, ma una di loro «ha consegnato il piccolo che teneva in braccio e si è fatta esplodere». Negli ultimi due giorni sono stati recuperati 266 corpi fra i detriti e nei tunnel.
Ora, con la liberazione di Sirte, gli alleati di Al-Sarraj controllano quasi tutta la costa occidentale. Ma la riunificazione della Libia è lontana. L’Est, e Mezzaluna del petrolio, sono nelle mani del governo di Tobruk e del generale Khalifa Haftar, sostenuto da Russia ed Egitto. Haftar è ancora impegnato a espugnare l’ultimo distretto di Bengasi in mano ai jihadisti di Ansar al-Sharia, e deve affrontare altri gruppuscoli islamisti che minacciano di terminal petroliferi. Ancora ieri ci sono stati scontri.
Il generale a Mosca
Poco importa. Il generale pensa in grande, da politico, ha fatto due visite a Mosca in sei mesi, accolto dal ministro della Difesa Sergei Shoigu e dall’influente segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev. La sua forza è nella debolezza di Tripoli, dove il controllo del territorio è in mano a milizie moderate e no, in perenne conflitto, e che la scorsa settimana hanno scatenato una battaglia attorno all’aeroporto. La vittoria a Sirte è un punto importante per Al-Sarraj. Un compromesso con Haftar sembra però l’unica via percorribile. Sta mediando anche la Comunità di Sant’Egidio, che ha fatto incontrare rappresentanti della città di Zintan, filo-Haftar, con quelli di Misurata.
Preso da:http://www.lastampa.it/2016/12/09/esteri/nella-libia-liberata-dallisis-resa-dei-conti-tripolitobruk-HEoYallnv21h9LYqSkBdyI/pagina.html
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