Translate

giovedì 1 dicembre 2016

La maggior parte dei migranti in Libia non vuole venire in Europa

24/11/2016 di  

“Te l'assicuro, la maggior parte di loro sarebbe rimasta molto volentieri in Libiadice mentre inforchetta un boccone di bucatini. Via di Torre Argentina, Roma, nel palazzo di fronte c'è la sede di una congregazione ecclesiastica e, al piano superiore, del Partito Radicale.
Nonostante il mese di novembre sia già quasi finito fa un caldo primaverile. Un caldo quasi africano. E noi, chi scrive e il suo amico che di mestiere fa l'operatore umanitario in una città del nord-Italia, ci ritroviamo così, a mangiare bucatini all'amatriciana parlando di Africa, di conflitti, di migranti e di lavoro. “Finché c'era Gheddafi era facile, la Libia era ricca e gli stranieri lavoravano alla grande. Gheddafi non bloccava i barconi, semplicemente non c'erano i barconi carichi di disperati perché la Libia dava lavoro a tutti.
Sembra incredibile ma è ancora oggi così: lo scorso 21 novembre l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) ha pubblicato un rapporto secondo il quale il 56 per cento dei migranti presenti oggi in Libia vuole restare nel Paese africano e non intende dirigersi verso l'Europa. La IOM, nella stesura del suo rapporto, ha utilizzato il Displacement Tracking Matrix (DTM), un sistema per il monitoraggio e la mappatura degli spostamenti e della mobilità delle persone. Il sistema è stato sviluppato per carpire, elaborare e diffondere informazioni che possano far comprendere il fenomeno delle migrazioni, le sue sfaccettature e le esigenze, in continua evoluzione, delle popolazioni sfollate, sia ferme che in viaggio.
Ma se è davvero così, perché ogni giorno sentiamo di tragedie nel Mediterraneo? Perché queste persone continuano a partire? La domanda corretta, a parere di chi scrive, è un'altra: a chi giova questo? Sicuramente giova ai trafficanti di esseri umani, che spesso - lo affermano i migranti che giungono vivi dall'altra parte del Canale di Sicilia - costringono i migranti a salire sui gommoni pistola alla tempia, dopo averli derubati di quel poco che era rimasto.
Il rapporto è stato stilato intervistando, in Libia, quasi 2.000 migranti di tutte le nazionalità e la maggior parte di questi erano giovani maschi con un'età media di 29 anni, provenienti sopratutto dai Paesi confinanti con la Libia: in particolare da Niger (il 21 per cento), Egitto (20 per cento) e Sudan (14 per cento), ma anche dalla Nigeria (il quarto gruppo più rappresentativo, circa il 10 per cento degli intervistati) e dal Ciad. Altri intervistati provenivano da Burkina Faso, Ghana, Mali, Senegal, Tunisia, Gambia, Guinea Bissau, Marocco, Algeria, Togo, Guinea Conakry, Etiopia, Uganda, Benin, Sierra Leone, Camerun, Tanzania, Costa d'Avorio, Somalia e Liberia.
Il 56 per cento di loro ha affermato di volere restare in Libia: le interviste sono state svolte tra il 17 settembre e il 21 ottobre 2016 nelle zone di Tripoli, Garaboli, Sabha, Al-Jaghbub, Umm Saad, Al Qatrun, Bani Walid, Sabratha, Dirj, Ghat e Tobruk.
Gli intervistatori dello IOM hanno intervistato migranti, persone, presenti in ogni angolo della Libia, dalle zone costiere al deserto e fino al confine meridionale con l'Algeria, con il Ciad e con il Sudan. Zone dove i trafficanti di esseri umani sanno muoversi bene, dove il traffico di migranti entra in Libia per dirigersi verso nord, verso l'ultimo viaggio che la maggior parte di loro sembra di non voler fare: l'80 per cento degli intervistati che afferma di non volere attraversare il Mediterraneo proviene dall'Egitto, dal Ciad e dal Sudan e l'88 per cento del totale degli intervistati afferma di essere stato spinto al viaggio dalle condizioni economiche precarie, il 7 per cento per l'accesso limitato a servizi come elettricità o acqua e solo il 2 per cento sono persone in fuga dalla guerra: nigerini, egiziani e nigeriani affermano a maggioranza di essere “migranti economici” e il 74 per cento di loro afferma di trovarsi in Libia da oltre sei mesi. Il 33 per cento di loro ha un basso livello di scolarizzazione – ma c'è anche un 2 per cento con un livello educativo 'postgraduate' – e il 79 per cento era senza lavoro già nel Paese di origine, da dove è partito.
Una delle nazionalità più citate da chi intende “rimandarli a casa loro” perché “nel loro Paese non c'è la guerra” è quella nigeriana. Il caso dei nigeriani, numericamente il quarto gruppo etnico tra gli intervistati nel rapporto dello IOM, è emblematico e atipico allo stesso tempo: “La Nigeria è un paese federale enorme dove la cosiddetta guerra c'è solo in due distretti, vogliamo capire come possiamo essere utili per evitare questo esodo di massa, di quanti soldi e di cosa hanno bisogno ore evitare queste partenze” disse Matteo Salvini nell'estate del 2015 prima di partire per la Nigeria, che poi gli negò il visto perché la richiesta era stata spedita tardi. “Evidentemente a qualcuno diamo fastidio” chiosò Salvini: il 93 per cento degli intervistati nigeriani citati nel rapporto IOM affermano di aver intrapreso il viaggio per ragioni economiche e solo il 2 per cento per ragioni legate alla guerra.
Il 28 per cento di loro - età media 27 anni - proviene da Lagos, ex-capitale e più grande città nigeriana, il secondo centro urbano di tutta l'Africa dopo Il Cairo, quasi 17 milioni di abitanti. Molti di loro vivono a Makoko, uno slum enorme che conta tra i 150 e i 250.000 residenti: la baraccopoli è soprannominata Black Venice, Venezia Nera, perché è costruita su un arcipelago di isole ed è visibile in tutta la sua decadenza dal Third Mainland Bridge, il ponte più lungo di tutta l'Africa. Il 23 per cento dei nigeriani intervistati per la stesura del rapporto proviene invece dai villaggi nello stato meridionale di Edo, zona rurale molto povera al confine con lo stato del Delta, dove insistono le estrazioni petrolifere più importanti al mondo. Il 4 per cento sono laureati, il 6 per cento specializzati e il 26 per cento hanno un diploma di scuola secondaria superiore, mentre il 35 per cento non ha avuto alcuna formazione scolastica. Solo il 2 per cento ha fatto studi coranici. È quindi decisamente più complesso analizzare motivazioni, ragioni e aspirazioni di chi parte dalla Nigeria come migrante economico, al netto del fatto che una parte dei nigeriani (il 9 per cento del totale) proviene dallo Stato di Borno, dove Boko Haram ha mietuto migliaia di vittime negli ultimi anni. Il 43 per cento dei nigeriani afferma di voler andare in Italia mentre appena il 16 per cento di voler restare in Libia.
Il rapporto si concentra su alcuni aspetti dei migranti: profilo demografico, durata e costo del viaggio e percorso intrapreso. In tal senso offre uno spaccato sulle ragioni che spingono le persone a partire, sulle loro motivazioni e, molto interessante, sul loro profilo generale: se la maggior parte dei nigerini intervistati, il 76 per cento, lavoravano in settori come l'agricoltura la pastorizia e la pesca (come il 59 per cento dei sudanesi e il 33 per cento dei nigeriani), la maggior parte degli egiziani intervistati, il 35 per cento, lavorava in settori come l'edilizia, il comparto energetico o quello idrico. Se dall'Africa sub-sahariana la maggior parte dei migranti sono quindi economici essi sono anche, in generale, scarsamente scolarizzati e con esperienza solo in lavori di manovalanza; i migranti economici provenienti da economie apparentemente floride, come quella egiziana, sono invece persone che mediamente hanno studiato di più e che certamente vantano un livello di specializzazione professionale decisamente più alto degli altri.
Uno dei falsi miti sulle migrazioni che il rapporto contribuisce a demolire riguarda le spese sostenute dai migranti per il loro viaggio: il 64 per cento dei migranti intervistati afferma infatti che il costo del viaggio è stato, per loro, meno di 1000 dollari a testa, il 34 per cento tra i 1.000 e i 5.000 dollari mentre appena l'1 per cento afferma di aver pagato cifre superiori ai 5.000 dollari. Le fasce di prezzo sembrano basarsi più che sull'individuo sulla sua nazionalità: in media un sudanese spende circa 1.000 dollari a viaggio mentre più della metà dei nigeriani afferma di avere pagato cifre comprese tra i 1.000 e i 5.000 dollari. Migranti originari del Burkina Faso, del Ghana e del Senegal affermano a maggioranza di avere pagato cifre superiori ai 1.000 dollari. Il 79 per cento dei migranti viaggiano in gruppo (solo il 18 per cento di costoro con membri della propria famiglia) e si sono spostati via terra su jeep, pulman o veicoli a motore, la quasi totalità dei migranti. Il 9 per cento ha raggiunto la Libia in aereo, l'1 per cento camminando nel deserto.
Ciò che è falso, totalmente falso, è che i migranti puntano all'Europa: il 56 per cento di loro infatti afferma di volere restare in Libia, nonostante la guerra e nonostante la devastazione economica. C'è chi ha parenti in Libia, chi c'è già stato in passato, chi trova nella distruzione opportunità. Solo il 17 per cento degli intervistati ha affermato di voler arrivare in Italia, il 7 per cento di voler andare in Germania, il 5 in Francia e il restante ovunque, tra Svezia, Gran Bretagna, etc. Tra chi afferma di voler venire in Italia, come ultima destinazione, la maggior parte dice di volerlo per ragioni economiche e solo l'11 per cento per avere asilo politico, un dato che smonta l'immagine che molti danno dell'Italia come della El Dorado per i visti e i permessi di asilo: mito che, tra l'altro, gli stessi migranti non riconoscono visto che appena il 2 per cento del totale afferma di voler venire in Italia per il sistema di assistenzialismo. Conoscono benissimo il destino che li attende nello stivale: svolgere lavori che gli italiani non vogliono più svolgere, nulla di più.
“Dobbiamo rispedirli al loro Paese” dice qualcuno “riportarli a casa loro, aiutarli a casa loro”: dei quasi 2000 intervistati appena il 22 per cento afferma di poter considerare l'ipotesi di tornare a casa, ma solo per ragioni di stanchezza: solo una minima parte di costoro infatti affermano che vorrebbero tornare a casa perché si sono resi conto che lì si sta meglio.
Il rapporto dello IOM sfata una serie innumerevole di miti: per romperli è bastato ascoltare le persone e mettere in fila le risposte, che denotano un quadro assolutamente nuovo rispetto alla narrazione fatta sin qui dei fenomeni migratori. Una narrazione che è tanto falsata in chi promuove politiche repressive e respingenti quanto in chi invece chiede e invoca accoglienza come un vecchio 'leone da tastiera': il rapporto dello IOM, in una sua visione più macroscopica, mostra come quello migratorio sia un fenomeno e non un'emergenza e che, quindi, vada affrontato in maniera strutturata. D'altra parte non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.

Preso da: http://it.ibtimes.com/la-maggior-parte-dei-migranti-libia-non-vuole-venire-europa-1475846#

Nessun commento:

Posta un commento