Alexander Main e Dan Beeton, Mondialisation, 7 ottobre 2016 – Jacobin 29 settembre 2015
Per chi sia interessato alle
relazioni internazionali in America Latina, e più in particolare alla
politica estera degli Stati Uniti nella regione, i cablo diplomatici
statunitensi pubblicati da WikiLeaks sono un’inaspettata ricchezza di
informazioni che va oltre parole e dichiarazioni, avvicinando le azioni.
Alexander Main e Dan Beeton, che lavorano presso il Centro per la
ricerca economica e politica (Washington DC), hanno partecipato al
lavoro collettivo Files Wikileaks: Il mondo secondo l’impero USA (2015).
In questo testo, pubblicato il 29 settembre 2015 sul sito web della
rivista Jacobin, gli autori riassumono l’interferenza contemporanea
degli USA in diversi Paesi dell’America Latina, riflessa dai dispacci
diplomatici. Conclusero nel settembre 2015 che “nonostante gli attacchi
incessanti degli Stati Uniti, la sinistra domina in America Latina. Con
l’eccezione di Honduras e Paraguay, dove colpi di Stato di destra hanno
rovesciato governi legittimi, i movimenti di sinistra sono andati al
potere negli ultimi quindici anni”. Un anno dopo, con l’elezione di
Mauricio Macri in Argentina (10 dicembre 2015), la rimozione di Dilma
Rousseff in Brasile (31 agosto, 2016) e i problemi economici e politici
del governo di Nicolás Maduro in Venezuela, il panorama è chiaramente
offuscato.
All’inizio
dell’estate 2015, il mondo vide la Grecia tentare di resistere a un
diktat neoliberista disastroso e di conseguenza ricevere una severa
reprimenda. Quando il governo greco, di sinistra, decise di tenere un
referendum nazionale sul programma di austerità imposto dalla troika, la
Banca centrale europea rispose limitando la liquidità concessa alle
banche greche. Di conseguenza, le banche del Paese dovettero chiudere a
lungo e la Grecia affondò nella recessione. Nonostante lo schiacciante
rifiuto del programma di austerità da parte dell’elettorato, la Germania
e il cartello dei creditori europei ignorarono la democrazia e
ottennero ciò che volevano: l’adesione completa della Grecia della loro
agenda neoliberista. Per quindici anni, una battaglia simile si è svolta
contro il neoliberismo nel continente, per lo più sconosciuta al
pubblico. Anche se inizialmente Washington cercò di reprimere ogni
opposizione, la resistenza dell’America Latina all’agenda neoliberista
in sostanza vinse. Si tratta di un’avventura epica che abbiamo scoperto
esplorando il grande tesoro dei dispacci diplomatici pubblicati da Wikileaks.
Il neoliberismo si era ben consolidato in America Latina molto prima
che Germania e autorità della zona euro cercassero d’imporre adeguamenti
strutturali alla Grecia e ad altri Paesi periferici indebitati. Facendo
uso di coercizione (condizionando i prestiti del FMI, per esempio) e
indottrinamento (anche attraverso la formazione, sostenuta dagli Stati
Uniti, dei “Chicago Boys” nella regione), gli Stati Uniti a metà anni
’80 imposero in America Latina il vangelo delle austerità fiscale,
deregolamentazione, “libero commercio”, privatizzazione e drastica
riduzione del pubblico. Il risultato appare sorprendentemente simile a
quello osservato in Grecia: stagnazione della crescita (praticamente
alcun aumento del reddito pro-capite dal 1980 al 2000), povertà
crescente, declino del tenore di vita di milioni di persone e
moltiplicazione per aziende ed investitori stranieri delle opportunità
di guadagnare denaro facile. Entro la fine degli anni ’80, la regione
entrò in tensione e rivolta contro le politiche neoliberiste.
Inizialmente, la ribellione fu spontanea e disorganizzata, come nel caso
della rivolta del Caracazo in Venezuela nelle prime settimane del 1989
[1]. Ma più tardi, gli avversari del neoliberismo cominciarono a vincere
le elezioni e, con grande sorpresa delle dirigenza statunitense,
mantennero le promesse elettorali avviando misure contro la povertà e le
politiche eterodosse che ribadiscono il ruolo dello Stato
nell’economia. Dal 1999 al 2008, le elezioni presidenziali furono vinte
dai candidati di sinistra in Venezuela, Brasile, Argentina, Uruguay,
Bolivia, Honduras, Ecuador, Nicaragua e Paraguay. Troviamo gran parte
della storia degli sforzi del governo degli Stati Uniti per contenere e
invertire l’ondata antineoliberale nelle decine di migliaia di cablo,
diffusi da Wikileaks, delle missioni diplomatiche statunitensi nella
regione, dai primi anni di George W. Bush all’inizio della
amministrazione Obama.I cablo che analizziamo nel libro The Files Wikileaks: Il mondo secondo l’impero degli Stati Uniti, illuminano i meccanismi d’intervento politico quotidiani di Washington in America Latina (e il ridicolo ritornello ripetuto dal dipartimento che afferma che “gli Stati Uniti non interferiscono nella politica interna di altri Paesi“). Sostegno economico e strategico è previsto ai gruppi di opposizione di destra, anche violenti e antidemocratici. I cablo riflettono anche in modo vivido l’ideologia dei rappresentanti degli Stati Uniti, che ragionano come fossero nella guerra fredda e cercano misure coercitive simili a quelle per soffocare la democrazia greca. Naturalmente, i media mainstream hanno largamente ignorato tale imbarazzante cronaca dell’aggressione imperialista, preferendo concentrarsi sulle bubbole diplomatiche degli USA invece che sulle azioni imbarazzanti ed illegali dei funzionari all’estero. I pochi esperti che hanno condotto un’analisi esaustiva dei cablo, in genere sostengono che non vi sia alcuna differenza significativa tra discorso ufficiale degli Stati Uniti e realtà rappresentata nei cablo. Dando retta agli analisti delle relazioni internazionali degli Stati Uniti, “non si trova l’immagine degli Stati Uniti quale burattinaio onnipotente che tira le fila dei governi nel mondo per gli interessi delle proprie aziende“. L’esame dettagliato dei cablo però smentisce tale asserzione.
“Questo non è un ricatto”
Alla fine del 2005, Evo Morales vinse in modo schiacciante le elezioni
presidenziali della Bolivia su una piattaforma focalizzata su riforma
della Costituzione, diritti degli indiani e impegno a combattere povertà
e neoliberismo. Il 3 gennaio, due giorni dopo l’elezione, Morales
ricevette la visita dell’ambasciatore degli Stati Uniti David L.
Greenlee, che non perse tempo:
gli aiuti concessi dagli Stati Uniti alla Bolivia saranno condizionati
dal buon comportamento del governo Morales. La scena poteva essere stata
tratta dal film Il Padrino: “L’ambasciatore ha sottolineato
l’importanza del contributo degli Stati Uniti per le istituzioni leader
internazionali, da cui dipende l’aiuto concesso alla Bolivia, come ad
esempio Banca internazionale per lo sviluppo (BIS), Banca mondiale e
Fondo monetario internazionale. “Quando si pensa al BIS, si pensa agli
Stati Uniti”, disse l’ambasciatore. “Questo non è un ricatto, ma la pura
realtà“.” Ma Morales attuò il suo programma. Nei giorni seguenti
all’arrivo al comando, annunciò l’intenzione di regolare il mercato del
lavoro, ri-nazionalizzare gli idrocarburi e approfondire la cooperazione
con la nemesi di Washington, Hugo Chávez. In risposta, Greenlee avanzò
una “gamma di opzioni” per forzare Morales a piegarsi alla volontà del
governo degli Stati Uniti: imporre il veto sulla concessione dei
prestiti multilaterali, da diversi milioni di dollari, rinviare
l’alleggerimento programmato del debito multilaterale, scoraggiare la Millennium Challenge Corporation
dal fornire assistenza finanziaria (che la Bolivia non ha ancora
ricevuto, anche se è uno dei Paesi più poveri dell’emisfero) e fermare
il “sostegno materiale” alle forze di sicurezza boliviane. Purtroppo per
il dipartimento di Stato, fu subito chiaro che, come previsto, tali
minacce sarebbero rimaste lettera morta. Morales aveva già deciso di
ridurre fortemente la dipendenza della Bolivia dal credito multilaterale
che richiedeva l’approvazione del Tesoro degli Stati Uniti. Nelle
settimane seguenti l’insediamento, Morales annunciò che la Bolivia non
si sentiva in debito con il FMI e avrebbe lasciato estinguere il
contratto di finanziamento stipulato con questi. Anni dopo, Morales
consigliò alla Grecia e ad altri Paesi europei indebitati a seguire
l’esempio della Bolivia e di “liberarsi dal diktat economico del Fondo monetario internazionale“.
Impossibilitato ad imporsi su Morales, il dipartimento di Stato si
dedicò a rafforzare l’opposizione in Bolivia. Aiuti furono concessi
dagli Stati Uniti alla regione della Media Luna [2] controllata
dall’opposizione aumentarono. Un cablo dell’aprile 2007 si occupa del “maggiore impegno dell’USAID nel consolidare le amministrazioni regionali, in modo da controbilanciare il governo centrale”. Un rapporto dell’USAID del 2007 afferma che l’Ufficio delle Iniziative di Transizione (ITO) “aveva
approvato 101 sovvenzioni per un totale di 4066131 di dollari per
aiutare i governi dipartimentali a migliorare la loro strategia”. Crediti inoltre furono concessi ai gruppi indiani locali “contrari alla visione di Evo Morales delle comunità indiane”.
Un anno dopo, i dipartimenti della Media Luna si ribellarono
apertamente al governo Morales, prima tenendo un referendum
sull’autonomia, dichiarato illegale dalla magistratura nazionale, e
quindi sostenendo dimostrazioni violente in favore dell’autonomia in cui
fu uccisa almeno una ventina di sostenitori del governo. Molti
credevano che un colpo di Stato fosse imminente. La situazione si calmò
su pressione di tutti gli altri presidenti del Sud America, che
dichiararono congiuntamente sostegno al governo costituzionale del
Paese. Ma mentre il blocco sudamericano supportava Morales, gli Stati
Uniti comunicavano regolarmente con i capi dei movimenti di opposizione
separatisti, anche se evocavano apertamente la possibilità di “distruggere i gasdotti” e “la violenza come opportunità per costringere il governo ad impegnarsi seriamente nel dialogo…”
A differenza della posizione ufficiale negli eventi di agosto e
settembre 2008, il dipartimento di Stato considerò sul serio la
possibilità di un colpo di Stato contro il Presidente boliviano Evo
Morales, o il suo assassinio. Un cablo rivela l’intenzione
dell’ambasciata degli Stati Uniti a La Paz di prepararvisi: “Il
comitato d’azione di emergenza svilupperà, con la squadra di valutazione
situazionale del Comando Sud statunitense, un piano di risposta rapida
in caso di emergenza improvvisa, vale a dire un tentativo di colpo di
Stato o la morte del Presidente Morales“, si legge sul cablo. Gli
eventi del 2008 furono presentati quale maggiore sfida alla presidenza
di Morales, quando la possibilità di perdere il potere era vicina. I
preparativi dell’ambasciata per la possibile caduta di Morales indicano
che almeno gli Stati Uniti consideravano vera la minaccia su di lui. Il
fatto è che non dissero al pubblico chi Washington appoggiasse nel
conflitto, e quali risultati avrebbe probabilmente preferito.
Un lavoro meccanico
Alcuni metodi d’intervento applicati in Bolivia riapparvero in altri
Paesi guidati da governi di sinistra. Così, dopo il ritorno dei
sandinisti al potere in Nicaragua nel 2007, l’ambasciata degli Stati
Uniti a Managua accelerò il rafforzamento del sostegno al partito di
destra, l’Alleanza Liberale del Nicaragua (ALN). Nel febbraio 2007, il
personale dell’ambasciata incontrò il capo della pianificazione della
NLA e le spiegò che gli Stati Uniti “non forniscono assistenza diretta ai partiti politici“,
suggerendo di aggirare tale limitazione rafforzando i legami con le ONG
amiche, per ricevere fondi dagli Stati Uniti. La rappresentante della
NLA disse che avrebbe mandato “l’elenco completo delle ONG che di fatto sostenevano l’azione della NLA” e l’ambasciata prese accordi affinché “incontrasse
presto gli amministratori locali dell’IRI (International Republican
Institute) e del NDI (National Democratic Institute for International
Affairs)“. Fu anche scritto nel cablo che l’ambasciata “osserverà
da vicino la raccolta dei fondi per sviluppare le capacità della NLA”.
Bisognerebbe far leggere questi cablo a coloro che studiano la
diplomazia statunitense e a coloro che cercano di sapere cos’è
esattamente il sistema di “promozione della democrazia” degli Stati
Uniti. Attraverso USAID, National Endowment for Democracy
(NED), NDI, IRI e altri organismi parastatali, il governo degli Stati
Uniti da notevole sostegno ai movimenti politici che appoggiano gli
obiettivi economici e politici degli Stati Uniti. Nel marzo 2007,
l’ambasciatore degli Stati Uniti in Nicaragua chiese al dipartimento di
Stato di pagare “nei prossimi quattro anni 65 milioni in più del solito, per le prossime elezioni presidenziali“, finanziando “il consolidamento di partiti politici e organizzazioni non governative” democratici e “piccoli
sussidi occasionali dell’ultimo momento, per raddoppiare gli sforzi dei
gruppi nel difendere la democrazia in Nicaragua, far avanzare i nostri
interessi e combattere chi ci attacca“.
In Ecuador, l’ambasciata degli Stati Uniti si oppose all’economista di sinistra Rafael Correa ben prima delle elezioni del 2006 che lo portarono al potere. Due mesi prima delle elezioni, il consigliere politico dell’ambasciata allertò Washington sul rischio che Correa “aderisse al gruppo di leader sudamericani nazional-populisti Chávez, Morales e Kirchner“, aggiungendo che l’ambasciata “ha avvertito i nostri contatti politici, economici e mediatici sulla minaccia che Correa rappresenta per il futuro dell’Ecuador incoraggiando fortemente a costruire alleanze che controbilancino il radicalismo evidente di Correa“. Subito dopo l’elezione di Correa, l’ambasciata inviò il suo piano d’azione al dipartimento di Stato: “Non abbiamo alcuna illusione che le sole azioni del USG [3] bastino a cambiare la direzione del governo o del Congresso, ma speriamo di aumentare l’influenza lavorando con altri ecuadoriani e altri gruppi che condividono le nostre idee. Senza l’azione, le riforme proposte da Correa e il suo atteggiamento nei confronti del Congresso e dei tradizionali partiti politici potrebbero estendere l’attuale periodo di tensioni e instabilità politica”. I peggiori timori dell’ambasciata si verificarono. Correa annunciò che avrebbe chiuso la base aerea statunitense di Manta, aumentato la spesa sociale e spinto per la convocazione dell’assemblea costituente. Nell’aprile 2007, gli ecuadoriani votarono per l’80% l’assemblea costituente proposta, e il 62% degli elettori approvò la nuova costituzione nel 2008, che comprende vari principi progressisti come sovranità alimentare, diritto ad alloggio, assistenza sanitaria e lavoro, e controllo dell’esecutivo sulla banca centrale (enorme sasso nello stagno neoliberista). All’inizio del 2009, Correa annunciò che l’Ecuador non avrebbe rimborsato parte del debito estero, mettendo in allarme l’ambasciata, assieme alle altre misure come la decisione di Correa di rafforzare i legami tra l’Ecuador e gli Stati membri dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) [4]. Ma l’ambasciatore era anche consapevole che gli Stati Uniti avevano poco potere su Correa: “Spieghiamo privatamente che le azioni di Correa avranno conseguenze nelle relazioni con la nuova amministrazione Obama, evitando di fare dichiarazioni pubbliche che sarebbero controproducenti. Non consigliamo di smettere i programmi dell’USG utili ai nostri interessi perché non incoraggiano Correa ad essere più pragmatico”. La sospensione parziale dei pagamenti dell’Ecuador diede i suoi frutti e permise al governo di risparmiare quasi due milioni. Nel 2011, Correa consigliò di applicare lo stesso rimedio ai Paesi indebitati europei, tra cui la Grecia, consigliandogli di non onorare i debiti ed ignorare il parere del FMI.
In Ecuador, l’ambasciata degli Stati Uniti si oppose all’economista di sinistra Rafael Correa ben prima delle elezioni del 2006 che lo portarono al potere. Due mesi prima delle elezioni, il consigliere politico dell’ambasciata allertò Washington sul rischio che Correa “aderisse al gruppo di leader sudamericani nazional-populisti Chávez, Morales e Kirchner“, aggiungendo che l’ambasciata “ha avvertito i nostri contatti politici, economici e mediatici sulla minaccia che Correa rappresenta per il futuro dell’Ecuador incoraggiando fortemente a costruire alleanze che controbilancino il radicalismo evidente di Correa“. Subito dopo l’elezione di Correa, l’ambasciata inviò il suo piano d’azione al dipartimento di Stato: “Non abbiamo alcuna illusione che le sole azioni del USG [3] bastino a cambiare la direzione del governo o del Congresso, ma speriamo di aumentare l’influenza lavorando con altri ecuadoriani e altri gruppi che condividono le nostre idee. Senza l’azione, le riforme proposte da Correa e il suo atteggiamento nei confronti del Congresso e dei tradizionali partiti politici potrebbero estendere l’attuale periodo di tensioni e instabilità politica”. I peggiori timori dell’ambasciata si verificarono. Correa annunciò che avrebbe chiuso la base aerea statunitense di Manta, aumentato la spesa sociale e spinto per la convocazione dell’assemblea costituente. Nell’aprile 2007, gli ecuadoriani votarono per l’80% l’assemblea costituente proposta, e il 62% degli elettori approvò la nuova costituzione nel 2008, che comprende vari principi progressisti come sovranità alimentare, diritto ad alloggio, assistenza sanitaria e lavoro, e controllo dell’esecutivo sulla banca centrale (enorme sasso nello stagno neoliberista). All’inizio del 2009, Correa annunciò che l’Ecuador non avrebbe rimborsato parte del debito estero, mettendo in allarme l’ambasciata, assieme alle altre misure come la decisione di Correa di rafforzare i legami tra l’Ecuador e gli Stati membri dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) [4]. Ma l’ambasciatore era anche consapevole che gli Stati Uniti avevano poco potere su Correa: “Spieghiamo privatamente che le azioni di Correa avranno conseguenze nelle relazioni con la nuova amministrazione Obama, evitando di fare dichiarazioni pubbliche che sarebbero controproducenti. Non consigliamo di smettere i programmi dell’USG utili ai nostri interessi perché non incoraggiano Correa ad essere più pragmatico”. La sospensione parziale dei pagamenti dell’Ecuador diede i suoi frutti e permise al governo di risparmiare quasi due milioni. Nel 2011, Correa consigliò di applicare lo stesso rimedio ai Paesi indebitati europei, tra cui la Grecia, consigliandogli di non onorare i debiti ed ignorare il parere del FMI.
La piazza è in fermento
Durante la guerra fredda, la presunta minaccia dell’espansione del
comunismo sovietico-cubano fu utilizzata per giustificare gli
innumerevoli interventi per far cadere i governi di sinistra e sostenere
regimi militaristi. Allo stesso modo, i cablo di WikiLeaks
mostrano che negli anni 2000 lo spettro del “bolivarismo” del Venezuela
fu utilizzato per giustificare gli interventi contro i nuovi governi di
sinistra ostili al neoliberismo, come la Bolivia, accusati di essere “apertamente caduta nel grembo del Venezuela“, o l’Ecuador, considerato “cavallo di Troia di Chávez“.
Le relazioni degli Stati Uniti con il governo di Hugo Chávez
degenerarono subito. Chavez, eletto presidente nel 1998, al contrario di
tutte le politiche economiche neoliberiste, forgiò stretti legami con
la Cuba di Fidel Castro e criticò fortemente l’attacco
dell’amministrazione Bush all’Afghanistan dopo gli attentati dell’11
settembre, e gli Stati Uniti richiamarono l’ambasciatore a Caracas dopo
che Chavez disse: “non si può combattere il terrorismo con il terrorismo“.
In seguito, rafforzò il controllo dello Stato sull’industria del
petrolio, aumentando le royalties pagate dalle società estere e usando i
proventi del petrolio per finanziare l’accesso ai programmi su salute,
educazione e alimentari per i poveri. Nell’aprile 2002,
l’amministrazione Bush sostenne pubblicamente il colpo di Stato militare
che spodestò Chavez per quarantotto ore. I documenti del National Endowment for Democracy ottenuti in base al Freedom of Information Act,
mostrano che gli Stati Uniti finanziarono e addestrarono i gruppi che
“promuovono la democrazia” che sostennero il colpo di Stato e
parteciparono ai tentativi di rovesciare Chavez come lo “sciopero” della
compagnia petrolifera che paralizzò l’industria alla fine del 2002 e
portò il Paese in recessione. I cablo di WikiLeaks rivelano
che, dopo che tali tentativi per rovesciare il governo legittimo
fallirono, gli Stati Uniti continuarono a supportare l’opposizione
venezuelana attraverso NED e USAID. In un cablo del novembre 2006,
l’allora ambasciatore William Brownfield spiegò la strategia seguita da
USAID e ITO per minare l’amministrazione Chávez: “Nell’agosto
del 2004, l’ambasciatore presentò la strategia in cinque punti
elaborata per guidare le attività dell’ambasciata in Venezuela nel
periodo 2004-2006… tale strategia è riassunta così: 1) rafforzamento
delle istituzioni democratiche; 2) infiltrazione nella base politica di
Chávez; 3) dividerne i sostenitori; 4) proteggere le aziende
statunitensi; 5) isolare Chavez a livello internazionale”.
Gli stretti legami tra l’ambasciata degli Stati Uniti e vari gruppi di
opposizione sono evidenti in molti cablo, uno di Brownfield stabilisce
la relazione tra Sumate, ONG dell’opposizione che ebbe un ruolo centrale
nelle campagne dell’opposizione, e “i nostri interessi in Venezuela”.
Altri cablo dimostrano che il dipartimento di Stato esercitò pressioni
per il sostegno internazionale a Sumate, incoraggiando gli Stati Uniti a
fornire sostegno finanziario, politico e legale all’organizzazione,
soprattutto attraverso la NED. Nell’agosto 2009, il Venezuela fu scosso
da violente proteste dell’opposizione (come spesso accade contro il
governo di Chavez e del successore Nicolas Maduro). Un cablo segreto dal
27 agosto riprende i propositi della Development Alternatives Inc.
(DAI), un’organizzazione assunta da USAID/OTI che affermava che “tutti”
coloro che protestano contro Chávez “beneficiano del nostro aiuto“: “Il
dipendente della DAI Eduardo Fernandez ha detto che “la piazza è in
fermento”, riferendosi alle proteste contro gli sforzi di Chávez per
consolidare il potere, e che “tutti costoro (gli organizzatori delle
proteste) beneficiano del nostro aiuto”.” I cablo rivelano anche
che il dipartimento di Stato istruì e aiutò un capo studentesco che
sapeva aver incoraggiato la folla a “linciare” un governatore chavista: “Durante
il colpo di Stato del 2002, (Nixon) Moreno partecipò alle
manifestazioni organizzate nello Stato di Merida, a capo di una folla
che marciò sulla capitale dello Stato con l’intento di linciare il
Governatore dell’MVR Florencio Porras“. [5] Tuttavia, pochi anni dopo, secondo un altro cablo, “Moreno partecipò nel 2004 al programma Visitor International del dipartimento di Stato, nel 2004“. Più tardi, Moreno era ricercato per tentato omicidio e minacce a un’agente di polizia, tra le altre ragioni.
Sempre secondo la strategia in cinque punti descritta da Brownfield, il
dipartimento di Stato operò per isolare il governo venezuelano sulla
scena internazionale e contrastarne l’influenza nella regione. Leggiamo
in diversi cablo che le missioni diplomatiche degli Stati Uniti nella
regione si coordinarono per far fronte alla “minaccia” regionale del
Venezuela. Come Wikileaks rivelò nel dicembre 2010, i capi delle
missioni statunitensi in sei Paesi dell’America Latina s’incontrarono in
Brasile nel maggio 2007 per adottare una risposta unica ai presunti
“piani aggressivi” del Presidente Chávez… “creando un movimento bolivariano unificato in America Latina“. Tra le altre cose, i capi missione decisero di “continuare a rafforzare i legami con i capi militari nella regione che condividono le nostre preoccupazioni su Chavez“. Un incontro simile dei capi missione degli Stati Uniti in America centrale, che si concentrò sulla “minaccia delle attività politiche populiste nella regione“,
si tenne nell’ambasciata degli USA in El Salvadorm nel marzo 2006. I
diplomatici statunitensi si spesero molto per evitare che i governi di
Caraibi e Centro America aderissero a Petrocaribe, iniziativa regionale
del Venezuela che permette ai membri di ricevere petrolio a condizioni
molto favorevoli. Dai cablo resi pubblici si apprende che gli
statunitensi affermavano, pur riconoscendo i vantaggi economici
dell’accordo per i Paesi membri, di essere preoccupati che Petrocaribe
aumentasse l’influenza politica del Venezuela nella regione. Ad Haiti,
l’ambasciata collaborò strettamente con le principali compagnie
petrolifere per impedire al governo di entrare in Petrocaribe,
ammettendo però che “risparmierebbe 100 milioni di dollari all’anno“,
e Dan Coughlin e Kim Ives furono i primi a rivelarlo su The Nation.
Nell’aprile 2006, l’ambasciata inviò a Port-au-Prince il seguente cablo:
“La stazione continuerà a fare pressione sul presidente di Haiti
René Préval affinché non aderisca a Petrocaribe. L’ambasciatore
s’incontrerà oggi con il primo consulente di Preval Bob Manuel. Alle
riunioni precedenti ha detto di aver capito le nostre preoccupazioni e
sa che un accordo con Chavez gli causerebbe problemi“.
Il bilancio della sinistra
Si ricordi che i cablo di WikiLeaks
non fanno luce sulle attività dei servizi segreti degli Stati Uniti, e
probabilmente rappresentano la punta dell’iceberg delle interferenze
politiche di Washington nella regione. Tuttavia, provano ampiamente gli
sforzi persistenti e determinati dei diplomatici statunitensi per
bloccare i governi indipendenti di sinistra in America Latina,
utilizzando la leva finanziaria e altri strumenti della scatola della
“promozione della democrazia”, ed anche mezzi violenti e illegali. Anche
se l’amministrazione Obama ha ripristinato le relazioni diplomatiche
con Cuba, nulla indica che la politica verso il Venezuela e altri
governi di sinistra del continente sia cambiata. E’ chiaro che
l’ostilità dell’amministrazione verso il governo legittimo del Venezuela
non svanisce. Nel giugno 2014, il vicepresidente Joe Biden lanciò
l’iniziativa per la sicurezza energetica dei Caraibi, considerata un
“antidoto” a Petrocaribe. Nel marzo 2015, Obama disse che il Venezuela è
“una grave minaccia alla sicurezza” annunciando sanzioni
contro i leader del Venezuela, una decisione criticata all’unanimità
dagli altri Paesi della regione. Tuttavia, nonostante gli attacchi
incessanti degli Stati Uniti, la sinistra domina in America Latina. Con
l’eccezione di Honduras e Paraguay, dove colpi di Stato di destra hanno
rovesciato governi legittimi, i movimenti di sinistra sono andati al
potere negli ultimi quindici anni. Grazie a questi governi, tra il 2002 e
il 2013 il tasso di povertà nella regione è sceso dal 44 al 28% dopo
essere cresciuto negli ultimi due decenni. Questi successi, combinati
con la volontà dei leader di sinistra di rischiare per liberarsi dal
diktat neoliberista, dovrebbe servire da ispirazione alla nuova sinistra
europea anti-austerity. Non c’è dubbio che alcuni governi attualmente
affrontino notevoli difficoltà per il rallentamento dell’economia
regionale che colpisce i leader di destra e sinistra. Ma se si legge tra
le righe dei cablo, ci sono buone ragioni per chiedersi se tali
difficoltà siano di origine locale. In Ecuador, ad esempio, dove il
Presidente Correa è oggetto delle ire della destra e di certa sinistra,
le proteste contro la nuova tassa progressiva proposta dal governo è
espressa dagli stessi responsabili dell’opposizione con cui, se si crede
ai cablo, i diplomatici statunitensi sviluppano tali strategie.
In Venezuela, dove le lacune nel sistema di controllo dei cambi causano un’inflazione elevata, le manifestazioni violente degli studenti di destra hanno gravemente scosso il Paese. E’ sicuro che tali manifestanti ricevano denaro e addestramento da USAID e NED, il cui bilancio per il Venezuela è aumentato dell’80% tra il 2012 e il 2014. I cablo di WikiLeaks hanno ancora molte cose da dirci. Per scrivere i capitoli dei file WikiLeaks sull’America Latina e i Caraibi, abbiamo supervisionato centinaia di cablo e individuato diversi ambiti d’intervento degli Stati Uniti, descritti in dettaglio nel libro (alcuni già notati da altri osservatori). Altri hanno fatto lo stesso per le altre regioni. Ma il numero di cablo è superiore a 250000 (quasi 35000 solo sull’America Latina) e non vi è alcun dubbio che molti altri aspetti importanti della diplomazia degli Stati Uniti attendono di essere portati alla luce. Purtroppo, una volta passato l’entusiasmo creato dalla diffusione dei primi cablo, pochi giornalisti e ricercatori ne sono realmente interessati. Dato che ciò non cambierà, mancherà un resoconto completo della visione che gli Stati Uniti hanno di sé sulla scena mondiale, e la risposta diplomatica alle sfide alla loro egemonia.
In Venezuela, dove le lacune nel sistema di controllo dei cambi causano un’inflazione elevata, le manifestazioni violente degli studenti di destra hanno gravemente scosso il Paese. E’ sicuro che tali manifestanti ricevano denaro e addestramento da USAID e NED, il cui bilancio per il Venezuela è aumentato dell’80% tra il 2012 e il 2014. I cablo di WikiLeaks hanno ancora molte cose da dirci. Per scrivere i capitoli dei file WikiLeaks sull’America Latina e i Caraibi, abbiamo supervisionato centinaia di cablo e individuato diversi ambiti d’intervento degli Stati Uniti, descritti in dettaglio nel libro (alcuni già notati da altri osservatori). Altri hanno fatto lo stesso per le altre regioni. Ma il numero di cablo è superiore a 250000 (quasi 35000 solo sull’America Latina) e non vi è alcun dubbio che molti altri aspetti importanti della diplomazia degli Stati Uniti attendono di essere portati alla luce. Purtroppo, una volta passato l’entusiasmo creato dalla diffusione dei primi cablo, pochi giornalisti e ricercatori ne sono realmente interessati. Dato che ciò non cambierà, mancherà un resoconto completo della visione che gli Stati Uniti hanno di sé sulla scena mondiale, e la risposta diplomatica alle sfide alla loro egemonia.
Alexander Main e Dan Beeton, Dial, Diffusione delle informazioni sull’America Latina – D3384.
Note[1] Si veda DIAL 3303 “VENEZUELA dal 27 febbraio al 3 marzo 1989: il Caracazo. Semantica della violenza politica, I parte e II parte.
[2] Zona situata nell’Est del Paese.
[3] Governo degli Stati Uniti: United States Government (USG) in inglese.
[4] Alleanza della sinistra creato su iniziativa di Venezuela e Cuba nel 2004 per contrastare il Trattato di Libero Commercio delle Americhe promosso dall’amministrazione Bush.
[5] Movimento per la Quinta Repubblica è un partito di sinistra fondato da Hugo Chávez
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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