Alessamdro Orsini, 7 aprile 2019
Tripoli è assediata dalle truppe del generale Haftar ed è probabile che
cada, come temono Conte e Guterres. Il premier italiano e il segretario
generale dell’Onu si sono appena sentiti per telefono. Siccome l’Italia
aveva sostenuto fortemente il governo di Tripoli, gli italiani si
domandano come abbiano potuto perdere ciò che di più importante hanno
nell’arena internazionale, ovvero il rapporto privilegiato con la
Libia.
Le ragioni principali di questa sconfitta sono numerose. Ne indicheremo
due. La prima riguarda la configurazione delle alleanze. Il generale
Haftar, che lavora per il governo di Tobruk – uno dei due governi della
Libia – è stato appoggiato da Francia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e
Russia, mentre il governo di Tripoli è stato appoggiato dall’Italia e
abbandonato dagli Stati Uniti.
Questo ha significato che l’Italia si è
ritrovata sola contro un blocco preponderante. Subito dopo il suo
insediamento, Trump, in un incontro con Paolo Gentiloni a Washington,
aveva annunciato il disimpegno americano: «Non vedo alcun ruolo degli
Stati Uniti in Libia». In una prospettiva italiana, Obama era
preferibile a Trump giacché aveva dichiarato di voler rimediare ai tanti
errori commessi dalla comunità internazionale. Di più: aveva aspramente
criticato Inghilterra e Francia per il loro ruolo inadeguato nella
gestione del dopo Gheddafi, affidando all’Italia il ruolo di mediatore
principale, poco prima di lasciare la Casa Bianca. Infine, aveva
affermato di considerare il disastro libico come il suo più grande
fallimento in politica internazionale. Obama aveva a cuore la Libia,
Trump per niente. Questo è un primo elemento per comprendere come abbia
fatto Haftar ad arrivare fino alle porte di Tripoli con i cannoni in
mano.
La seconda ragione della sconfitta è la legge numero 185 del 9 luglio
1990, che impedisce all’Italia di vendere armi ai Paesi coinvolti in un
conflitto armato. Vogliamo chiarire che tale legge ci appare come la
legge più alta mai approvata dal parlamento dell’Italia repubblicana,
giacché consideriamo la pace come il valore più alto della vita politica
internazionale. Tuttavia, quella legge ha avuto effetti deleteri in
Libia. Lasciando il governo di Tripoli senza armi, ha aumentato gli
incentivi per Haftar ad attaccare. Dal momento che nessun generale si
scaglia contro un esercito di pari forza, per paura di perdere troppi
uomini o di essere sconfitto, Haftar ha ritenuto di essere soverchiante
rispetto a Tripoli ed è avanzato.
Bisogna infatti sapere che la forma di violenza più diffusa nella storia
dell’uomo è la “violenza vigliacca”, come l’ha chiamata Randall Collins
nel suo bellissimo libro “Violenza. Un’analisi sociologica”
(Rubbettino). La violenza vigliacca è la violenza esercitata contro un
avversario che non può difendersi e che non ha vie di fuga. Tale è
Serraj, il capo del debolissimo governo di Tripoli sostenuto
dall’Italia. Haftar è stato armato da alcuni Paesi amici, i quali hanno
violato l’embargo delle armi decretato dall’Onu verso la Libia.
Le armi sono giunte ad Haftar di nascosto oppure con una serie di
espedienti, come quello di combattere contro l’Isis. A Serraj, invece, è
andata peggio perché l’Italia ha rispettato l’embargo. Questo non deve
però indurre a conclusioni affrettate circa la presunta insipienza
dell’Italia, che insipiente non è stata. Se, infatti, l’Italia avesse
armato il governo di Tripoli, violando l’embargo e la legge 185/1990,
sarebbe scoppiato l’inferno. Gli altri Paesi avrebbero armato
massicciamente Haftar – finora l’hanno armato in modo molto contenuto – e
l’Italia si sarebbe ritrovata a gestire una mattanza a due passi dalla
Sicilia. Si sarebbe ritrovata in una guerra indiretta contro Francia,
Egitto, Emirati Arabi Uniti e, per non farsi mancare niente, pure contro
la Russia. Il tutto senza godere del sostegno di Trump, in altre
faccende affaccendato.
In un simile scenario, Enzo Moavero Milanesi, il ministro degli Esteri,
avrebbe potuto contare soltanto sulla Turchia, ma non avrebbe potuto
giocare una simile carta perché le forze politiche italiane, con il
conforto di una stampa non imparziale verso la Turchia e spesso poco
lucida, non riescono a cogliere quanto sia importante un’alleanza con
Erdogan per la tutela degli interessi nazionali nel Mediterraneo. Per
concludere, l’Italia, a causa di una serie di vincoli di sistema
(elementi oggettivi) e di letture strategiche non adeguate (elementi
soggettivi), sta per perdere Tripoli.
Preso da: https://www.ilmessaggero.it/editoriali/alessandro_orsini/editoriali_alessandro_orsini-4412650.html
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