Uno
degli aspetti più bizzarri della politica odierna è l’assunto secondo
il quale se sei contro la guerra sei di sinistra, e se sei un conservatore
sei “pro-guerra”. Proprio come etichettare gli stati conservatori
“rossi” e quelli liberali “blu”, è un’inversione di una pratica storica.
L’opposizione all’entrata in guerra dell’America
in entrambe le guerre mondiale fu diretta principalmente dai
conservatori. Il senatore Robert A. Taft, maggiore esponente del
conservatorismo postbellico, si opponeva alla guerra tranne nel caso in
cui gli Stati Uniti venissero attaccati. Perfino Bismarck, dopo avere
combattuto e vinto le tre guerre che gli servirono per unificare la
Germania, era principalmente anti-guerra. Una volta ha descritto la
guerra preventiva, come quella che l’America ha lanciato contro l’Iraq,
in questi termini: “è come suicidarsi per paura di essere uccisi”.
La diffidenza dei conservatori
verso la guerra non ha origini “sentimentali” e pacifiste, ma deriva
dalle radici stesse del conservatorismo, dai suoi obiettivi e dalle sue
teorie fondamentali. Il conservatorismo cerca prima di tutto la
continuità sociale e culturale, e niente le minaccia più della guerra.
Nel ventesimo secolo, la guerra
ha condotto a rivoluzioni sociali e culturali negli Stati Uniti,
incluso il movimento su larga scala delle donne fuori dalla casa e
dentro i luoghi di lavoro. I riformatori del diciannovesimo secolo sono
riusciti a rendere possibile per le donne (e per i bambini) lasciare gli
infernali luoghi di lavoro e devolvere le loro vite alla casa e alla
famiglia, supportati dal maschio che portava i soldi a casa. I
vittoriani consideravano la casa più importante del luogo di lavoro. I
compiti di un uomo nel mondo degli affari erano un fardello che lui
doveva portarsi sulle spalle per la sua famiglia, non era una cosa che
le donne avrebbero dovuto invidiare.
Questa
situazione è stata ribaltata a seguito delle due guerre mondiali, in
quanto gli uomini furono arruolati a milioni, mentre la richiesta di
lavoro in fabbrica per supportare la produzione bellica saliva. E così,
dietro i macchinari, ci sono tornate le donne. Il risultato è stato
l’indebolimento della famiglia, l’istituzione maggiormente responsabile
del passaggio della cultura da generazione a generazione.
La minaccia che la guerra
pone ai costumi è esacerbata da una delle sue principali
caratteristiche: i suoi risultati sono imprevedibili. Pochi paesi
entrano in guerra con l’aspettativa di perdere, ma raramente le guerre
vengono vinte da entrambi i lati. Gli effetti della sconfitta militare
sull’ordine sociale possono essere rivoluzionari.
Il coinvolgimento russo
nella prima guerra mondiale ci ha dato il bolscevismo. La sconfitta
della Germania ha reso possibile Hitler. Come ha dimostrato la prima
guerra mondiale, se un conflitto è troppo dispendioso, l’ordine sociale
dei vincenti può essere stravolto al pari di quello degli sconfitti. Non
solo l’Impero Britannico è morto nel fango delle Fiandre, ma
l’Inghilterra postbellica era un posto molto diverso dall’Inghilterra
edoardina.
E i conservatori detestano
l’imprevedibilità. Essi sanno anche grandi spese statali e grandi
indebitamenti pubblici possono destabilizzare una società, e nessuna
attività statale è più dispendiosa della guerra. L’avventura americana
in Iraq, guidata in gran parte dalla ricerca di petrolio – che ora, per
buona parte, finirà in Cina – è già costata un triliardo di dollari, e
un altro triliardo o due verranno spesi per l’assistenza ai veterani.
Perfino il costo in tempo di pace di un grande esercito può devastare
una società, come è accaduto per l’Unione Sovietica. I conservatori
americani erano falchi del budget, non falchi della guerra.
Ma se guardiamo oltre i dollari,
i franchi e i marchi, il costo della guerra cresce all’infinito. Dopo
la prima guerra mondiale, non c’erano più giovani uomini per le strade
di Parigi. Come ha notato un osservatore britannico, la lista dei morti
nelle prime battaglie della guerra si leggeva come l’Almanach de Gotha,
il libro che catalogava la nobiltà tedesca. Ancora più spaventoso per i
conservatori, le guerre come la prima guerra mondiale possono
distruggere la fede nella propria cultura. Probabilmente l’ultima
speranza di sopravvivenza per la cultura europea sarebbe stata una
vittoria tedesca nella battaglia delle Marne nel 1914.
Un guadagno della guerra, che disturba i conservatori,
è l’ingrandimento del potere dello stato. L’argomento delle “necessità
di guerra” passa sopra qualunque bilancio, qualunque libertà civile e
qualunque tradizionale limitazione del governo. Nel ventesimo secolo, i
progressisti americani sapevano che potevano creare un governo
centralizzato e potente soltanto dichiarando guerra.
È
stata la sinistra ad avere architettato l’entrata degli Stati Uniti
nella prima guerra mondiale. Quasi un secolo dopo, l’11 settembre ha
dato ai centralizzatori dell’amministrazione Bush neoconservatrice la
scusa per creare la legislazione del “Patriot Act”, una cosa che ai
padri fondatori avrebbe fatto rivalutare in meglio Re Giorgio. Così come
niente aumenta il debito di un paese come la guerra, niente aumenta di
più il potere del governo. I conservatori rigettano entrambi.
Quando Edmund Burke,
considerato il fondatore del conservatorismo del diciottesimo secolo,
dovette affrontare in parlamento la proposta di entrare in guerra per
assicurare che il fiume Scheldt nei Paesi Bassi rimanesse chiuso, così
che Antwerp non entrasse in competizione con Londra, la sua risposta fu:
“Una guerra per lo Scheldt? È una guerra per un vaso da notte!”. Una
risposta genuinamente conservatrice.
I veri conservatori odiano la guerra.
Se la cosa oggi sembra strana, come pensare al blu come il colore dei
conservatori, possiamo ringraziare un pugno di (ex?) trozkisti che hanno
rubato il nostro nome, e un complesso militare-industriale che si è
comprato sia la destra che la sinistra. Se la storia è una maestra, e di
solito lo è , il prezzo per l’amore militarista della destra
nazionalista sarà più alto di quanto immaginiamo.
(da The American Conservative – traduzione di Federico Bezzi)Preso da: https://oltrelalinea.news/2019/04/07/i-veri-guerrafondai-i-liberal-di-sinistra/
Nessun commento:
Posta un commento