All’indomani dell’inserimento del governo di unità nazionale guidato dal Premier designato Fayez al-Serraj, frutto delle lunghe mediazioni dell’Onu ad opera di Bernardino Leon e di Martin Kobler, la Libia
si conferma essere l’epicentro, unitamente ad alcune aree del Medio
Oriente e del Nord Africa, dei futuri equilibri geopolitici. Il Paese,
successivamente alla deposizione di Gheddafi, è stato caratterizzato da un caos che ha favorito l’avanzata del Jihad, come aveva annunciato anche l’ex Presidente venezuelano Hugo Chavez in una sua memorabile intervista dell’Ottobre 2012, in cui parlava proprio di “crisi programmate” sia in Libia, che in Siria.
Eppure,
a distanza di anni dal 2011, anno della sua deposizione, la figura di
Gheddafi torna ad essere centrale per poter comprendere il progressivo
avanzare del caos in Libia. Un valido supporto in tutto ciò ci arriva
dalla declassificazione delle
email scambiata tra Hillary Clinton, allora Segretaria di Stato degli
USA, ed il suo consigliere di fiducia, Sid Blumenthal: da questa fitta
corrispondenza si riesce a comprendere meglio le reali ragioni per cui
USA, Francia e Regno Unito diedero il via, nel 2011, a quella missione
di guerra finalizzata alla deposizione, o meglio all’uccisione di
Gheddafi.
Un’interessante
ricostruzione di quanto documentato in questa corrispondenza
intercettata e successivamente declassificata [interamente visionabile
al link https://wikileaks.org/clinton-emails/?q=Sid+Blumenthal&mfrom=&mto=&title=¬itle=&date_from=&date_to=&nofrom=¬o=&count=50&sort=0#searchresult] ci arriva da una pubblicazione di F. William Engdahl, noto esperto di geopolitica, datata 17 Marzo 2016 [visionabile al link http://journal-neo.org/2016/03/17/hillary-emails-gold-dinars-and-arab-springs/ e tradotta in italiano dalla redazione dell’Osservatorio Internazionale per i Diritti al link http://www.ossin.org/rubriche/206-le-schede-di-ossin/1952-il-caso-gheddafi],
da cui emerge come alla base di quella guerra ci sarebbe stato “ l’oro e
una minaccia potenzialmente esistenziale per il futuro del dollaro USA
come moneta di riserva mondiale. Riguarda i piani di Gheddafi di quel
tempo, per un dinaro convertibile in oro per l’Africa e il mondo arabo
produttore di petrolio.”
Ritengo
pertanto opportuno riportare quasi integralmente la pubblicazione di
Engdahl su questa “guerra menata dall’amministrazione Obama contro
Gheddafi, cinicamente battezzata ‘La responsabilità di proteggere’”:
“Barack
Obama, un presidente indeciso e debole, aveva delegato tutte le
responsabilità per la guerra in Libia al suo segretario di Stato,
Hillary Clinton, che era una sostenitrice della prima ora di un ‘cambio
dei regimi arabi’, da realizzare con la collaborazione
dell’organizzazione segreta dei Fratelli Mussulmani e invocando il
recente curioso principio della “responsabilità di proteggere” (R2P) per
giustificare la guerra in Libia, che si è rapidamente trasformata in
una guerra della NATO. Invocando la R2P, una nozione idiota promossa
dalle reti della Fondazione Open Society di George Soros, Clinton ha
sostenuto, senza prove affidabili, che Gheddafi bombardava i civili
innocenti nella regione di Bengasi. Stando
ad un resoconto dell’epoca del New York Times, che citava importanti
fonti dell’amministrazione Obama, Hillary Clinton componeva (con Samatha
Power, allora assistente senior nel Consiglio Nazionale per la
Sicurezza, oggi ambasciatrice di Obama, e con Susan Rice, all’epoca
ambasciatrice alle Nazioni Unite, attualmente consigliera per la
sicurezza nazionale) la triade che spinse Obama all’intervento militare
in Libia.
Clinton, spalleggiata da Power e Rice, riuscì a prendere il
sopravvento sul segretario alla Difesa Robert Gates, su Tom Donilon, il
consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, e su John Brennan, capo
della lotta contro il terrorismo, oggi alla testa della CIA. La
Segretaria di Stato Hillary Clinton è anche invischiata fino al collo
nel complotto diretto a scatenare quella che è stata chiamata ‘primavera
araba’, l’ondata di rovesciamenti di governi nel Medio Oriente
arabo, finanziata dagli Stati Uniti, e parte del progetto del ‘Grande
Medio Oriente’ inaugurato nel 2003 dall’amministrazione Bush con
l’occupazione dell’Iraq. I primi tre paesi presi di mira da questa
azione USA – la “primavera araba nel 2011, nella quale Washington si è
servita delle sue ONG per i ‘diritti dell’uomo’ come Freedom House e
National Endowment for Democracy, come sempre in complicità con le Open
Society Foundations dello speculatore miliardario George Soros, oltre
che coi servizi operativi del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e
della CIA – erano la Tunisia di Ben Ali, l’Egitto di Mubarak e la Libia
di Gheddafi. Adesso
la ragione di questa scelta e l’individuazione da parte di Washington
nel 2011, quali obiettivi della destabilizzazione da prodursi con la
‘Primavera araba’, di taluni paesi del Medio Oriente, comincia ad
apparire più chiara, in virtù delle recenti declassificazioni delle
email scambiate da Clinton con il suo ‘consigliere’ privato per la Libia
nonché amico, Sid Blumenthal. Quest’ultimo è stato l’avvocato che ha
difeso Bill Clinton nell’affaire Monika Lewinsky e negli altri scandali a
base di sesso, quando Bill era presidente ed era sotto minaccia di
impeachment.
Il dinaro-oro di Gheddafi
Per
molti resta ancora un vero e proprio mistero la ragione per la quale
Washington decise che Gheddafi dovesse essere personalmente eliminato,
assassinato, e non solo mandato in esilio come Mubarak. Clinton, quando
venne informata del brutale assassinio di Gheddafi da parte dei
terroristi della ‘opposizione democratica’ di Al Qaeda, finanziati dagli
Stati Uniti, dichiarò a CBS news, ricorrendo ad una scherzosa parafrasi
di dubbio gusto di Giulio Cesare: ‘Venni, Vidi, lui è morto’, con
accompagnamento di macabre e copiose risatine. Poco
si sa in Occidente di quanto Muammar Gheddafi ha fatto in Libia o, per
quel che conta, in Africa e nel mondo arabo. Adesso la declassificazione
di un nuovo lotto di email di Hillary Clinton come Segretaria di Stato
nel momento in cui guidava la guerra dell’amministrazione Obama contro
Gheddafi, getta una nuova drammatica luce sui retroscena. Non
si trattò di una decisione personale di Hillary Clinton, quella di
eliminare Gheddafi e di distruggere tutta l’infrastruttura del suo
Stato. La decisione, la cosa è oramai chiara, fu presa dai più alti
circoli dell’oligarchia monetaria statunitense. Si è trattato di un
ennesimo strumento della politica di Washington per attuare il mandato
ricevuto da quegli oligarchi. L’intervento
aveva per obiettivo di seppellire i piani a stadio avanzato di Gheddafi
per creare una moneta africana ed araba che rimpiazzasse il dollaro nel
commercio del petrolio. Da quando la moneta USA ha abbandonato il
sistema di convertibilità con l’oro nel 1971, essa ha perso molto del
suo valore in rapporto all’oro. Gli Stati produttori di petrolio arabi e
africani dell’OPEP da tempo lamentavano la riduzione di valore delle
loro entrate petrolifere, fissate per volontà di Washington, dal 1970,
in dollari statunitensi, mentre l’inflazione del dollaro è cresciuta più
del 2000% dal 2011. In
una email recentemente declassificata inviata a Clinton da Sid
Blumenthal in data 2 aprile 2011, quest’ultimo rivela la ragione per la
quale Gheddafi doveva essere eliminato. Col pretesto di citare una fonte
di non meglio identificate ‘alte sfere’, Blumethal scrive a Clinton:
‘Secondo le informazioni sensibili in possesso di questa fonte, il
governo di Gheddafi dispone di 143 tonnellate di oro e una pari quantità
d’argento…’ L’oro è stato accumulato prima dell’attuale ribellione ed
era destinato ad essere utilizzato per istituire una moneta panafricana
basata sul dinaro-oro libico. Si tratta di un piano destinato a fornire
ai paesi africani francofoni una alternativa al franco francese (CFA). ‘Il riferimento al franco francese costituiva solo la punta dell’iceberg del dinaro-oro di Gheddafi’.
Dinaro d’oro e più
Nel
corso del primo decennio di questo secolo, i paesi dell’OPEP del Golfo
Arabo, come l’Arabia Saudita, il Qatar ed altri, hanno seriamente
cominciato a investire una parte importante delle loro rilevanti entrate
petrolifere in Fondi sovrani, influenzati in ciò dal grande successo
che avevano avuto i Fondi petroliferi della Norvegia. Il
crescente malcontento per la guerra statunitense contro il terrorismo,
per le guerre in Iraq e in Afghanistan, e in generale per le politiche
degli Stati Uniti in Medio Oriente dopo l’11 settembre 2001, ha indotto
la maggior parte dei paesi arabi a investire una parte crescente delle
entrate petrolifere nei ricchi fondi controllati dagli Stati, piuttosto
che affidarli alle viscide mani dei banchieri di New York e Londra, come
era diventato d’abitudine dopo gli anni 1970, quando il prezzo del
petrolio salì alle stelle, dando vita a quel che Henry Kissinger
chiamava affettuosamente i ‘petrodollari’, per rimpiazzare il dollaro
convertibile in oro abbandonato da Washington il 15 agosto 1971.
L’attuale guerra sunnita-sciita o lo scontro di civiltà costituiscono
infatti il risultato delle manovre statunitensi dopo il 2003 nel quadro
della politica del “dividere per il controllo” regionale. Nel
2008, la prospettiva di un controllo sovrano da parte di un numero
crescente di Stati petroliferi arabi e africani delle loro entrate
petrolifere suscitò gravi preoccupazioni a Wall Street e nella City di
Londra. Si trattava di enormi liquidità, di miliardi e miliardi, che
potenzialmente avrebbero potuto sfuggire al loro controllo. Il
cronoprogramma della primavera araba appare retrospettivamente sempre
più collegato al tentativo di Washington e di Wall Street di mantenere
il controllo, non solo degli immensi flussi di petrolio provenienti dal
Medio Oriente arabo. E’ oramai chiaro che in ballo c’era anche il
controllo del loro denaro, i loro miliardi e miliardi di dollari che si
andavano accumulando nei ricchi fondi sovrani. Tuttavia,
come risulta adesso confermato negli ultimi mail scambiati tra Clinton e
Blumenthal il 2 aprile 2011, vi era un’altra minaccia qualitativamente
nuova, che si profilava all’orizzonte per il ‘Dio denaro’ di Wall Street
e della City di Londra. La Libia di Gheddafi, la Tunisia di Ben Ali e
l’Egitto di Mubarak stavano per varare una moneta d’oro islamica,
indipendente dal dollaro USA. Io ho sentito per la prima volta parlare
di questo piano agli inizi del 2012, durante una conferenza finanziaria e
geopolitica svizzera, da un Algerino che aveva una conoscenza
approfondita del progetto. All’epoca la documentazione era modesta e la
storia è rimasta confinata in un angolo della mia memoria. Attualmente
viene fuori un’immagine estremamente più interessante, che fornisce
nuovi elementi per valutare la ferocia della ‘primavera araba’ di
Washington e la sua fretta nel caso libico.
Gli ‘Stati Uniti d’Africa’
Nel 2009, Gheddafi, all’epoca presidente dell’Unione africana, propose che il continente economicamente depresso adottasse il ‘dinaro-oro‘. Nei
mesi che precedettero la decisione degli Stati Uniti, con il sostegno
britannico e francese, di ottenere una risoluzione del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU che costituisse la foglia di fico giuridica per la
distruzione da parte della NATO del regime di Gheddafi, Muammar Gheddafi
stava appunto lavorando alla realizzazione di una moneta, il
dinaro-oro, che servisse agli Stati petroliferi africani e dai paesi
dell’OPEP nelle transazioni petrolifere sul mercato mondiale. Se
questo progetto si fosse realizzato, in un momento in cui Wall Street e
la City di Londra erano sprofondati nella crisi finanziaria del
2007-2008, sarebbe stato assai arduo mantenere il dollaro come moneta di
riserva mondiale, e questo sarebbe stata la fine dell’egemonia
finanziaria statunitense e del sistema del Dollaro. L’Africa è uno dei
continenti più ricchi del mondo, con vasti giacimenti di oro e risorse
minerarie inesplorate, che è stato mantenuto per secoli deliberatamente
in condizioni di sottosviluppo o soffocato da guerre che dovevano
impedirne lo sviluppo. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
Mondiale negli ultimi decenni sono stati gli strumenti di Washington per
reprimere lo sviluppo reale dell’Africa. Gheddafi
aveva rivolto un appello ai produttori africani di petrolio dell’Unione
africana e mussulmani ad aderire ad un accordo che facesse del
dinaro-oro la principale moneta da utilizzare negli scambi con l’estero.
Avrebbero dovuto vendere il petrolio e le altre risorse agli Stati
Uniti e al resto del mondo soltanto in dinari-oro. In qualità di
presidente dell’Unione africana, nel 2009, Gheddafi propose di usare il
dinaro libico e il dirham d’argento quali uniche monete che il resto del
mondo avrebbe potuto utilizzare per comprare il petrolio africano. Oltre
ai ricchi fondi sovrani dei paesi arabi dell’OPEP, anche altri paesi
produttori di petrolio dell’Africa, in particolare l’Angola e la
Nigeria, lavoravano alla creazione di propri fondi di ricchezza
petrolifera nazionale nel momento in cui cominciarono i bombardamenti
della NATO in Libia nel 2011. Questi fondi, collegati all’idea di
Gheddafi di realizzare il dinaro-oro, avrebbero dovuto realizzare
l’antico sogno africano di emanciparsi dal controllo monetario
coloniale, della lira sterlina, del franco francese, dell’euro o del
dollaro USA. Al
momento del suo assassinio, Gheddafi stava lavorando, in qualità di
presidente dell’Unione africana, ad un piano di unificazione dei paesi
africani con una moneta d’oro, negli Stati Uniti dell’Africa. Nel 2004,
un Parlamento panafricano composto da 53 nazioni aveva posto le premesse
per una Comunità economica africana, con un’unica moneta d’oro entro il
2023. Le
nazioni africane produttrici di petrolio avevano intenzione di
abbandonare il petrodollaro e cominciare ad esigere il pagamento in oro.
La lista comprendeva l’Egitto, il Sudan, il Sud-Sudan, la Guinea
Equatoriale, il Congo, la Repubblica Democratica del Congo, la Tunisia,
il Gabon, l’Africa del Sud, l’Uganda, il Ciad, il Suriname, il Camerun,
la Mauritania, il Marocco, lo Zambia, la Somalia, il Ghana, l’Etiopia,
il Kenya, la Tanzania, il Mozambico, la Costa d’Avorio, più lo Yemen che
aveva appena fatto nuove importanti scoperte petrolifere. I quattro
membri africani dell’OPEP – l’Algeria, l’Angola, la Nigeria, un enorme
produttore, il maggiore produttore di gas naturale in Africa con immense
risorse, e la Libia, depositaria delle maggiori riserve – sarebbero
entrate a far parte del nuovo sistema del dinaro-oro. Non
meraviglia che il presidente francese Nicolas Sarkozy, cui Washington
aveva affidato un ruolo di primo piano nella guerra contro Gheddafi,
fosse giunto al punto di trattare la Libia come una “minaccia” per la
sicurezza finanziaria del mondo.
I ‘ribelli’ di Hillary creano una banca centrale
Una
delle cose più curiose che ha caratterizzato la guerra di Hillary
Clinton per uccidere Gheddafi fu il fatto che i ‘ribelli’ sostenuti
dagli Stati Uniti a Bengasi, nel ricco di petrolio est della Libia,
abbiano annunciato, nel pieno della guerra, ben prima che fosse
completamente chiaro che l’esito fonale sarebbe stato il rovesciamento
del regime di Gheddafi, di avere fondato una banca centrale di stile
occidentale ‘in esilio’. Nelle
prime settimane della ribellione, i capi ribelli hanno dichiarato di
avere fondato una banca centrale per sostituirsi all’autorità monetaria
dello Stato di Gheddafi. Il consiglio dei ribelli, oltre a fondare la
sua propria compagnia petrolifera per vendere il petrolio del quale si
erano impadroniti, hanno annunciato la ‘Designazione della Banca
centrale di Bengasi come autorità monetaria competente nelle politiche
monetarie in Libia e la nomina di un governatore della Banca centrale
libica, con sede provvisoria a Bengasi‘. Commentando
questa strana decisione di fondare una banca centrale di stile
occidentale, per rimpiazzare la banca nazionale sovrana di Gheddafi che
aveva emesso il dinaro oro, prima ancora che l’esito della guerra fosse
ancora deciso, Robert Wenzel in The Economic Policy Journal, scrisse:
‘Non ho mai assistito prima allo spettacolo di una banca centrale
fondata dopo solo poche settimane da una sollevazione popolare. Ciò
induce a pensare che in campo vi sia ben più di un gruppetto di ribelli e
che essi subiscano influenze abbastanza sofisticate’. Risulta
adesso chiaro, alla luce delle email Clinton-Blumenthal, che queste
‘influenze abbastanza sofisticate’ erano quelle di Wall Street e della
City di Londra. La persona mandata da Washington a guidare i ribelli nel
marzo 2011, Khalifa Hifter, aveva passato gli ultimi venti anni della
sua vita nel sobborgo di Virginia, poco lontano dalla sede della CIA,
dopo avere rotto con la Libia, quando era primo comandante militare di Gheddafi. Il
rischio per il futuro del dollaro USA come moneta di riserva mondiale,
se a Gheddafi fosse stato permesso di portare avanti, con l’Egitto, la
Tunisia e altri paesi arabi dell’OPEP e membri dell’Unione africana – il
processo di conversione delle vendite di petrolio contro oro dalle
precedenti negoziazioni in dollari, sarebbe stato l’equivalente
finanziario di uno tsunami. Il sogno di Gheddafi di un sistema di oro arabo e africano indipendente dal dollaro, malauguratamente è morto con lui. La
Libia, dopo la cinica ‘responsabilità di proteggere’ di Hillary Clinton
è stata distrutta, e oggi è in totale disordine, dilaniata dalla guerra
tribale, dal caos economico, e dai terroristi di Al Qaeda e Daesh o
ISIS. La
sovranità monetaria dell’agenzia monetaria nazionale appartenente per
il 100% allo Stato di Gheddafi e le loro emissioni in dinari d’oro sono
venute meno, rimpiazzate da una banca centrale ‘indipendente’ legata al
dollaro.
La nuova via della seta in oro
Nonostante
questo rovescio, è più che significativo che attualmente un del tutto
diverso gruppo di nazioni si proponga oggi di costruire un simile
sistema monetario basato sull’oro. Un gruppo guidato dalla Russia e
dalla Cina, i paesi produttori di oro, rispettivamente numero tre e
numero uno mondiali. Questo
progetto è legato all’idea di realizzare colossali infrastrutture, la
Nuova Via della Seta, un progetto. Comporta la nascita di un Fondo di
sviluppo per 16 miliardi in moneta cinese e misure assai ferme della
Cina per rimpiazzare la City di Londra e New York come centro del
commercio mondiale dell’oro. Il sistema d’oro euroasiatico oggi
emergente pone delle sfide di nuova qualità all’egemonia finanziaria
USA. Il suo successo o il suo fallimento potranno ben decidere se
potremmo sopravvivere e prosperare in condizioni ben diverse, o se
dovremo colare a picco insieme al sistema del dollaro in fallimento.”
Dati
innegabili e certi, che dimostrano per l’ennesima volta come,
indipendentemente dall’opinione positiva o negativa su un dittatore come
Gheddafi, le teorie sulle “crisi programmate” della Libia e di altri
Paesi facciano parte di un preciso disegno geopolitico ispirato
da politiche macro-economiche e da interessi sovrastrutturali. Si
assiste troppo spesso poi a quella triste massificazione dettata da una
minuziosa e diabolica opera di propaganda occidentale e filo-lobbysta,
che prevede anche il bollare con l’infame marchio della “cospirazione” o
del “complottismo” chiunque voglia analizzare la realtà da più punti di
vista, compresi quelli contrari o che mettono in discussione quanto
diffuso da un elefantiaco numero di media. E’ innegabile che a volte
certe teorie enunciate sono talmente assurde da suscitare gravi risate;
ma è altrettanto vero che chi spesso è stato etichettato come
cospirativo o addirittura sovversivo aveva in realtà semplicemente
previsto cosa sarebbe accaduto, diventando una tragica attualità. Verità
troppo scomode per gli “evoluti” alleati degli “esportatori di
democrazia”.
Originale, con video: https://lpiersantelli.wordpress.com/2016/04/05/anno-2011-hillary-clinton-loro-di-gheddafi-la-crisi-del-petroldollaro-e-le-primavere-arabe/
Nessun commento:
Posta un commento