14 aprile 2016 di Tania Careddu
Carburante di
una macchina che genera ricchezza, fondata sullo sfruttamento
indiscriminato di risorse ambientali, e di un sistema diffuso di
illegalità su scala globale: sua maestà, il petrolio. Insieme a gas e
risorse minerarie costituisce il settore a maggior rischio di malaffare
nel mondo.
Con un tasso del 25 per cento di corruzione percepita, la propensione
al malaffare è dovuta, essenzialmente, all’enorme sproporzione tra la
forza contrattuale ed economica agita dai singoli titolari o gestori
degli impianti e la debolezza politica e finanziaria dei territori in
cui sono ubicate le piattaforme estrattive.
Con l’intraprendenza
economica di cui sono capaci, i primi riescono ad aggirare leggi e
processi democratici per spostare enormi somme di denaro in capo a pochi
soggetti in grado di organizzare il malaffare e per ‘estorcere’, a
costi irrisori, risorse pubbliche alle comunità locali.
Così, singoli colossi finanziari si calano facilmente in contesti
sociali permeabili alle pratiche corruttive, sia per ragioni
attribuibili alla presenza di strutture criminali sia per la scarsa
tenuta degli apparati politico-istituzionali.
Complici una
normativa di tutela ambientale incoerente e astratta ed un sistema di
controlli del tutto inadeguato al settore, gli interessi privati (di
alti dirigenti d’azienda, manager, funzionari pubblici, faccendieri e,
perché no, amici di famiglia) sviliscono il ruolo della pubblica
amministrazione. Aggiungi le ragioni di mercato, tipo la volatilità dei
prezzi e l’aumento della domanda, oltreché i sistemi produttivi
caratterizzati da scarsa trasparenza e da logiche individuali, e
l’affare è presto fatto.
Un affair che, in Italia, solo negli
ultimi due anni e mezzo, ha condotto sotto indagine novantadue persone.
Capi d’imputazione? Corruzione, truffa, associazione a delinquere.
Grazie all’inadeguatezza della normativa (almeno fino all’entrata in
vigore della recente legge 68/2015 sugli ecoreati, che ha introdotto nel
codice penale sei delitti ambientali più una serie di aggravanti), la
sproporzione delle forze all’interno delle aule dei tribunali, le
prescrizioni a fagiolo e gli emendamenti chirurgici, la filiera
dell’illegalità del petrolio si estende. E anche all’ambito fiscale, con
l’ evasione delle accise sui carburanti per decine e decine di milioni
di euro, stando a quanto si legge nel rapporto “Sporco petrolio”,
redatto da Legambiente.
Secondo un copione che comparve, per la prima volta (in questo settore), fra il 1973 e il 1980, documentato da La Repubblica
del 1995, “il petroliere che forniva i moduli falsi, si metteva in
tasca cinquanta o sessanta lire per ogni chilo di prodotto venduto
illegalmente.
Per timbrarlo, la Guardia di Finanza pretendeva venti lire al chilo e
altrettante l’ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione, che si
impegnavano a proteggere il trasporto della benzina in cambio di una
tangente di ottanta lire al chilo da spartire a metà. All’erario furono
sottratti duemila miliardi”. E la storia di inquinare l’economia,
oltreché l’ambiente, continua.
Preso da: http://altrenotizie.org/societa/6956-quello-sporco-oro-nero.html
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