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giovedì 3 aprile 2014

Libia, il petrolio conteso tra jihadisti e bande armate

Giovedì, 27 Marzo 2014

Pozzi in mano alle milizie. Qaedisti pronti al racket del greggio. Produzione a picco. Guai per la Ue. Ma Eni è solida.

di Barbara Ciolli
Le mani sulle armi, poi sul petrolio. In Libia le bande armate di jihadisti e di criminali comuni si moltiplicano: forze disgreganti e centrifughe che, dalla fine della Jamahiriya di Muammar Gheddafi nell'ottobre 2011, stanno smembrando il Paese.
Dopo gli assalti ai palazzi istituzionali, le sparatorie in strada di milizie rivali, il sequestro del premier e gli attentati ai personaggi di punta e agli stranieri, la posta in gioco è salita all'aeroporto della capitale e, soprattutto, ai porti della Cirenaica, crocevia dei carichi di petrolio che hanno arricchito il Paese. Basti pensare che prima della guerra civile la Libia era in grado di produrre 1 milione e 600 mila barili di petrolio al giorno, pari al 2% del volume mondiale.
IL RACKET DELL'ORO NERO. Finora la guerra per i pozzi ha coinvolto la precaria autorità centrale e i separatisti della Cirenaica: un movimento populista e predatorio, ma se non altro lontano dai gruppi islamisti affiliati ad al Qaeda che proliferano nella regione.

Dopo di loro a gestire il racket dell'oro nero potrebbero venire i signori della jihad e le organizzazioni che, ormai, taglieggiano il governo e i Paesi esteri con i rapimenti e gli agguati terroristici.
L'UE HA BISOGNO DI TRIPOLI. In questo contesto, c'è chi giura che alla fine sia stato un bene aver rimpiazzato il debole ex premier Ali Zeidan, estromesso dal Parlamento e scappato all'estero dopo diversi tentativi di golpe, con l'uomo forte ed ex ministro della Difesa Abdullah al Thinni.
La crisi in Ucraina e la nuova Cortina di ferro che allontana l'Occidente dal gas russo hanno reso le forniture di idrocarburi dalla Libia ancora più preziose per l'Italia e per l'Europa. Ma è proprio sul risiko del petrolio che le mire delle milizie in lotta si sono fatte via via sempre più minacciose.

I separatisti della Cirenaica hanno fondato una compagnia petrolifera autonoma
Frenare il contrabbando di petrolio dalla Cirenaica, scrigno delle maggiori risorse di greggio del Paese e produttrice del 70% del petrolio libico, è cruciale anche per gli Stati Uniti.
Non a caso, nelle settimane scorse il presidente americano Barack Obama ha spedito i Navy Seals, l'unità speciale dei marine che nel 2011 catturò e uccise Osama bin Laden, a bloccare la nave Morning Glory, battente bandiera nord-coreana, con a bordo un carico illegale di 350 mila barili di petrolio (del valore di circa 36 milioni di dollari).
BLITZ ALLA MORNING GLORY. Ufficialmente, l'imbarcazione fermata al largo di Cipro e in fuga dal porto libico di Sidra portava con sé la prima, grande partita di petrolio smerciata dall'autoproclamato governo della Cirenaica a opachi committenti stranieri.
Ma in realtà lo Stato centrale aveva perso parzialmente il controllo del greggio dall'inverno scorso, quando l'autoinsediato premier di Barqa (denominazione araba della Cirenaica) Abd Rabbuh al Baraasi ha sdoganato il libero commercio di petrolio nella regione, fondando la compagnia Libya Oil and Gas Corporation, mai riconosciuta dalla National oil company (Noc) statale
CONTRABBANDO DI GREGGIO. Anche forse solo per propaganda, Al Baraasi ha dichiarato che un altro cargo carico di greggio libico sia già partito da uno dei porti della Cirenaica e arrivato a destinazione. Diverse altre petroliere, prima dell'operazione americana, sarebbero poi in fila per imbarcare petrolio dalla Cirenaica autonoma.
Prima del colpo della Morning Glory, a gennaio 2014, nel porto di Sidra, la Marina libica aveva fermato una petroliera maltese, «in trattativa con fazioni illegali» per fare il pieno senza l'autorizzazione della Noc, e una seconda imbarcazione «diretta nel porto per le medesime ragioni».


I jihadisti mirano a prendere il controllo del petrolio
I separatisti hanno approfittato, nel luglio 2013, degli scioperi dei dipendenti nei porti - sedi anche di raffinerie e impianti petroliferi -, per occupare gli scali di Sidra, Ras Lanuf e Zueitina: terminal delle condutture dei principali pozzi di petrolio e gas della Cirenaica e target strategici per il controllo della Libia già durante la guerra.
Il 32enne Ibrahim Jadran, ex combattente e leader indipendentista, ha colto la palla al balzo per serrare i tre porti, facendo leva sul suo corpo di circa 23 mila guardie di sicurezza (le Petroleum facilities guards) che, grazie a un sostanzioso appalto con il governo di Tripoli, presidiava gli impianti petroliferi nel Golfo di Sirte.
I SERBATOI DI JIHADISTI. Ma non sono i signori del petrolio separatisti a spaventare l'Europa e agli Usa, oggi che l'approvvigionamento energetico del Vecchio continente è a rischio.
Nel capoluogo Bengasi, teatro l'11 settembre 2012 dell'assalto al consolato americano nel quale è morto l'ambasciatore Usa Chris Stevens, spadroneggiano i salfiti di Ansar al Sharia, alleati di al Qaeda nel Maghreb (Aqmi). Da sempre poi le città costiere di Derna e Baida, epicentro della rivolta contro Gheddafi, sono serbatoi di jihadisti ed estremisti quali i Martiri di Abu Salim, il Gruppo dei combattenti libici islamici e la stessa al Sharia.
OLTRE 500 MILIZIE SPARSE. Finita la guerra, la concentrazione di sacche di fondamentalismo aumentata di mese in mese. E in un Paese frammentato da oltre 500 milizie, il controllo del petrolio in mano a signori della jihad e a gruppi criminali farebbe precipitare la Libia nell'anarchia dell'Iraq e della Somalia.
Da Barqa, Jadran ha dichiarato che le relazioni con l'Eni, fino alla guerra primo partner di Tripoli, «sono buone»: «I fratelli italiani garantiscono un sacco di servizi. Non vogliamo modificare i contratti esistenti, né la loro posizione privilegiata. Anche se vogliamo essere liberi di vendere anche ad altri».

I colossi stranieri in coda per la nuova legge libica sul petrolio
Ma a chi erano riservate le spedizioni di petrolio della Cirenaica? Per la Morning Glory si era parlato di un armatore saudita e poi di compagnia con sede in Egitto. Di certo, dall'estate 2013, secondo di dati di Bloomberg, il blocco dei porti ha fatto crollare la produzione di barili dagli 1,5 milioni al giorno del 2013 ai 600 mila di gennaio, con punte minime di 250 mila barili al giorno.
L'andamento è fluttuante e, in pochi mesi, gli introiti del governo dal greggio per il 2013 (circa 40 miliardi di dollari) sono scesi del 20% rispetto alle stime, per una perdita di 10 miliardi.
48 MLD DI BARILI DI RISERVE. Un racket del petrolio sarebbe la fine, per un'economia nazionale che, con le maggiori riserve d'Africa (48 miliardi di barili) dipende per il 90% dall'export di idrocarburi.
Con i circa 3 mila dipendenti dell'Eni, dal 1959 l'Italia è il maggior attore straniero del Paese: finora la stretta collaborazione con la Noc su scala nazionale ha fatto reggere alla compagnia la crisi della Cirenaica, ma indubbiamente i blocchi della regione, come quello di Abu Attifel, hanno provocato dei contraccolpi anche al Cane a sei zampe.
LA NUOVA LEGGE DEL PETROLIO. Colossi concorrenti come Shell, Exxon Mobil, Repsol e Total, con i tasca le licenze per lo sfruttamento dei pozzi inesplorati della nuova Libia, sono preoccupati: oltre al petrolio, da estrarre in Libia c'è il gas naturale e scisto.
Ma senza l'autorizzazione di uno Stato sovrano e una nuova legge sul petrolio - dal marzo 2013, se ne occupa una Commissione governativa ad hoc di esperti di finanza e industria di una - andrà tutto in fumo.

Fonte: http://www.lettera43.it/economia/industria/libia-il-petrolio-conteso-tra-jihadisti-e-bande-armate_43675125597.htm

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