Phil Greaves Global Research, 9 agosto 2013
Un articolo di Jake Tapper della CNN ha riportato il “Bengasi-Gate” sotto i riflettori dei media degli Stati Uniti. L’articolo afferma che “decine” di agenti della CIA erano a Bengasi la notte dell’attacco, e che la CIA fa di tutto per sopprimerne i dettagli o che siano resi pubblici. Il rapporto sostiene che la CIA è impegnata in tentativi “senza precedenti” di soffocare fughe di notizie e d’”intimidire” i dipendenti pur di tenere nascosti i segreti di Bengasi, presumibilmente arrivando a cambiare i nomi degli agenti della CIA e “disperdendoli” nel Paese. Si sospetta che ciò abbia un unico e definito scopo, nascondere la colpevolezza della CIA nel fornire armi a noti estremisti in Libia e Siria. Inoltre, l’articolo della CNN allude alla fornitura di “missili terra-aria” della CIA da Bengasi ai ribelli in Siria, ma questo potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. L’articolo prosegue affermando: “Fonti della CNN ora dicono che decine di persone che lavorano per la CIA fossero presenti quella notte, e che l’agenzia fa di tutto per assicurarsi che qualsiasi cosa stesse facendo, rimanga un segreto. La CNN ha appreso che la CIA era coinvolta in quello che una fonte definisce un tentativo senza precedenti di far sì che i segreti di Bengasi dell’agenzia di spionaggio non siano mai resi pubblici. Da gennaio, alcuni agenti della CIA, coinvolti in missioni dell’agenzia in Libia, sono sottoposti a frequenti esami al poligrafo, anche mensili, secondo una fonte con profonda conoscenza del funzionamento dell’agenzia. L’obiettivo dell’esame, secondo le fonti, è scoprire se qualcuno ne parla ai media o al Congresso. Ciò viene descritto come pura intimidazione, con la minaccia che ogni fuga di notizie non autorizzata di un dipendente della CIA ne comporterebbe la fine della carriera. Speculazioni a Capitol Hill comprendono anche la possibilità che le agenzie statunitensi che operavano a Bengasi, stessero segretamente inviando missili terra-aria dalla Libia, attraverso la Turchia, ai ribelli siriani.”
Anche se l’Arabia Saudita ha recentemente e gentilmente preso “la carta siriana” dagli Stati Uniti, tramite il principe Bandar, ancora una volta divenuto “principe della Jihad”, è risaputo che dall’inizio della crisi siriana, fosse il Qatar in prima linea nella fornitura di armi e fondi agli elementi politici e militanti della cosiddetta “opposizione”. Questo senza dubbio comprendeva il tacito appoggio degli elementi radicali dominanti nella pletora di brigate in Siria; con Jabhat al-Nusra sempre più evidente beneficiario della generosità del Qatar. All’inizio di quest’anno è stato riferito che la CIA avesse dirette “consultazioni” con la rete dei contrabbandieri di armi della monarchia qatariota, gestita principalmente dal palazzo dell’emiro di Doha. Di conseguenza, sembra certo che sia la CIA che l’intelligence del Qatar fossero coinvolte nella operazione per inviare scorte di armi dai “ribelli” in Libia ai “ribelli” in Siria: entrambi indissolubilmente legati ad al-Qaida e affiliati ai radicali salafiti jihadisti. Un articolo del New York Times del 30 marzo 2011 rivela che la CIA era attiva in Libia “da settimane” nel “raccogliere informazioni per gli attacchi aerei [della NATO] e nel contattare e ‘badare’ i ribelli che combattono “le forze di Gheddafi”. Il New York Times affermava anche che Obama aveva firmato un decreto presidenziale, nelle settimane precedenti, che dava l’autorità alla CIA di armare e finanziare i ribelli. Inoltre, The Independent rivelava nel marzo 2011 che Obama aveva chiesto all’Arabia Saudita di approvvigionare di armi i militanti libici. Obama aveva anche dato la sua benedizione a Qatar ed Emirati Arabi Uniti nell’inviare armi a Bengasi, chiedendogli di fornire armi non fabbricate negli USA per allontanare i sospetti; ciò in violazione della No-Fly Zone e dell’embargo sulle armi che contribuiva a far rispettare, e in totale violazione della Costituzione statunitense e delle leggi internazionali vigenti.
Le attuali autorità libiche hanno fatto pochi sforzi per smentire l’indicazione di suoi legami con grandi spedizioni di armi per la Siria, in partenza dal porto di Bengasi. Come affermato in un rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’ampiezza, il costo e la logistica per organizzare tali invii quasi certamente richiederebbero almeno consapevolezza e assistenza locali, e un deputato libico l’ha ammesso apertamente. Inoltre, in un articolo del Telegraph del novembre 2011, si rivela che il comandante militare libico post-Gheddafi, Abdel Hakim Belhadj, riconosciuto ex leader di un ramo di al-Qaida: il Gruppo combattente islamico libico (LIFG) e figura guida nell’insurrezione islamista contro Gheddafi, aveva visitato in Turchia i membri del “Free Syrian Army” (FSA) dell’opposizione siriana, per discutere l’invio “di denaro e armi” e anche dell’”addestramento delle truppe da parte dei combattenti libici”. In un articolo di Fox News del dicembre 2012, un “International Cargo-Shipper” rivelava candidamente che l’invio di armi dalla Libia alla Siria iniziò “quasi subito dopo la caduta di Muammar Gheddafi” (ottobre 2011) e continuò su base settimanale da più porti, tra cui Misurata e Bengasi. Secondo alcune “fonti”, gli invii avrebbero superato le 600 tonnellate. L’articolo prosegue citando “fonti” anonime di Bengasi sostenere che: “Armi e combattenti erano assolutamente diretti in Siria, e che gli Stati Uniti sapevano assolutamente tutto, anche se la maggior parte delle spedizioni è stata sospesa dopo l’attacco al consolato statunitense.” Inoltre, un ampio rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite del Consiglio di sicurezza, dell’aprile 2013, evidenzia anche la diffusa proliferazione indiscriminata di armi in tutta la Libia, che filtrano oltre i confini. La relazione afferma che le armi alimentano i conflitti dalla Siria al Mali e che si diffondono dalla Libia a un “ritmo allarmante”. Qatar ed Emirati Arabi Uniti sono stati individuati, nella relazione delle Nazioni Unite, per le loro palesi violazioni dell’embargo sulle armi durante la “rivolta” contro Gheddafi del 2011; il rapporto ha rivelato che diversi invii di armi del Qatar hanno potuto fluire in Libia con la consapevolezza e la piena acquiescenza della NATO, più o meno nello stesso modo con cui furono autorizzate a fluire in Turchia dal Qatar, con la Siria quale destinazione finale.
Elementi della leadership “militare” libica hanno indubbiamente forti legami con gli ex affiliati di al-Qaida, e sono stati portati al potere grazie alla generosità e alle forze speciali del Qatar, al coordinamento della CIA e alla forza aerea della NATO. Considerando ciò, non è difficile immaginare che gli stessi attori sarebbero disposti almeno a “chiudere un occhio” in ciò che è diventato l’evidente e continuo contrabbando libico di armi in Siria, come dimostrato ancora una volta da un articolo del 18 giugno 2013 della Reuters, dal titolo: “Le avventure di un commerciante di armi libico in Siria”: “Abdul Basit Haroun (ex comandante della “Brigata 17 febbraio”) dice di essere dietro alcune delle più grandi spedizioni di armi dalla Libia alla Siria, che trasporta su voli charter verso i Paesi vicini e che poi contrabbanda oltre il confine… Un reporter della Reuters si è recato in una località segreta di Bengasi per vedere un container di armi in preparazione per l’invio in Siria. Vi si accatastarono scatole di munizioni, lanciarazzi e vari tipi di armamento leggero e medio. Haroun dice che può raccogliere armi da tutto il Paese e organizzarne la consegna ai ribelli siriani per via dei suoi contatti in Libia e all’estero. “Sanno che inviamo armi alla Siria”, ha detto Haroun. “Lo sanno tutti.” Le sue attività con le armi sembrano essere ben note, almeno nella Libia orientale. Alti funzionari dell’esercito e del governo della Libia hanno detto alla Reuters che appoggiano le forniture di armi all’opposizione siriana, mentre un membro del congresso della Libia ha detto che Haroun svolge un grande lavoro aiutando i ribelli siriani.”
Inoltre, secondo un recente articolo del New York Times del 29 giugno 2013, il Qatar ha inviato armi ai “ribelli” in Siria dalla Libia, nel momento stesso in cui “intensificava gli sforzi” per spodestare il Colonnello Gheddafi. Di conseguenza, ciò può essere interpretato solo che il Qatar ha iniziato l’invio di armi alla Siria, da Bengasi, prima che Gheddafi venisse ucciso, il che significa prima dell’ottobre 2011. È altamente plausibile che Bengasi sia davvero la ‘base’ del programma di traffico d’armi della CIA, con l’ulteriore intento di “rendere possibile” inoltrare queste armi in Siria. Mentre il dipartimento di Stato ha confermato di aver stanziato 40 milioni di dollari per l’acquisto e la “collezione” di armi utilizzate durante il conflitto in Libia, compresa una riserva di 20.000 MANPADS “mancanti”, di cui almeno 15.000 ancora dispersi. Una relazione scritta da ex-operatori delle forze speciali statunitensi che hanno prestato servizio in Libia, dal titolo “Bengasi: il rapporto definitivo“, sostiene che il “consolato” e il programma sulle scorte di armi sono stati interamente gestiti da John Brennan, all’apoca Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Obama, e oggi direttore della CIA, al di fuori della solita catena di comando della CIA, con il solo scopo di “inviare le armi accumulate in un altro conflitto, forse la Siria“. Inoltre, si segnala che diverse figure di spicco del governo USA (Clinton, Brennan, Patreaus, e altri) incitavano apertamente tale precisa politica, ciò aggiunge la possibilità che certi elementi del governo o le tante fazioni del complesso militar-industriale possano aver agito al di fuori dello specifico consenso dell’amministrazione Obama, costruendo la logistica per soddisfare tale politica, in futuro. Così, una possibile spiegazione dell’attacco al “consolato”, che ora possiamo supporre essere un deposito di armi gestito dalla CIA, fosse la riluttanza pubblica dell’amministrazione Obama nel fornire MANPADS o altre specifiche armi pesanti ai ribelli che combattono in Siria. Inoltre, gli autori di “Bengasi: il rapporto definitivo“, sostengono che John Brennnan colpisse gli estremisti delle milizie islamiste in Libia attraverso attacchi dei droni ed operazioni speciali, potendo fornire un altro pretesto per l’attacco. Certe fazioni ribelli, i loro sostenitori regionali o i loro affiliati libici possono essersi offesi e deciso di agire contro la CIA, tentando di sequestrare le armi in suo controllo.
L’invio di armi libiche in Siria è molto probabilmente attuato dalle forze speciali del Qatar (e occidentali) e dai loro ascari libici affiliati ad al-Qaida, che controllano Bengasi. A loro volta le spedizioni in Siria sono progressivamente aumentate man mano che gli arsenali di Gheddafi si rendevano disponibili e l’assenza di leggi in Libia s’ampliava. Questi sviluppi potrebbero anche spiegare i combattenti libici che rappresentano una grande percentuale di combattenti stranieri nei ranghi dell’opposizione, con un recente studio che indica che i combattenti libici costituiscono oltre il venti per cento delle vittime straniere. Se il Qatar ha infatti coordinato l’invio di armi dalla Libia alla Siria durante la prime fasi della crisi siriana, nel 2011, e la CIA fungeva anche da “consulente” nelle spedizioni del Qatar e nel loro transito attraverso la Turchia, la semplicistica narrazione ufficiale e la cronologia del conflitto in Siria, che sarebbe dovuto a un’eruzione per la repressione di pacifici manifestanti, trascinando in una vera guerra civile, è ancora una volta messa in dubbio. Scoprendo la catena di eventi che ha portato all’attacco al “consolato” degli Stati Uniti, e la varietà di milizie che gli Stati Uniti e i loro alleati armano in Libia, si potrebbe svelare la vera dimensione del sostegno dell’amministrazione Obama alle forze estremiste fantoccio in Siria. Il che può spiegare i zelanti tentativi dell’amministrazione nel soffocare ogni dibattito o seria discussione sugli eventi riguardanti Bengasi.
Copyright © 2013 Global Research
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Fonte:
http://aurorasito.wordpress.com/2013/08/09/la-cia-trafficante-darmi-tra-qatar-libia-e-siria/
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