Si pensi alla Nigeria e alla guerra contro Boko Haram, alla Libia e confronto tra milizie locali, all’antiterrorismo nel Sahel, agli addestratori russi in Repubblica Centrafricana e Sudan, cinesi per la “One Belt One Road” (la via della Seta), ai tedeschi in Ruanda ed ucraini un po’ dappertutto.
Per concludere: Erik Prince, presumibilmente al servizio di ENI ed Exxonmobil in Mozambico (che però hanno smentito categoricamente). Questi alcuni dei tasselli dell’attuale “Scramble for Africa” privato – o meglio, ibrido.
Il ritorno dei sudafricani: caccia a Boko Haram
Qualche settimana fa il capo di stato maggiore dell’esercito nigeriano, tenente generale Tukur Burat ha dichiarato che “la guerra terrestre contro Boko Haram è stata vinta.
“ Gli ha fatto eco il presidente Buhari ringraziando le forze armate per aver sconfitto i jihadisti. Nonostante il nord-est del Paese sia ancora teatro di scontri, tali affermazioni sono state possibili grazie a contractors stranieri che hanno ribaltato le sorti del conflitto.
Un gruppo di 100-300 tra sudafricani, britannici, indiani e di Paesi dell’Est – Georgia ed Ucraina – inquadrati tra le fila della STTEP International Ltd di Eeben Barlow.
Ex ufficiale delle Forze Armate sudafricane Barlow è il fondatore di Executives Outcomes, una delle più famose compagnie militari privata di tutti i tempi.
Grazie alla loro consulenza, supporto e perfino intervento diretto l’Aeronautica nigeriana ha potuto martellare senza tregua il nemico. A terra, invece hanno operato convogli di una trentina di veicoli, in maniera indipendente dalle truppe di Abuja. E così, dopo continue débâcles governative, sono finalmente arrivati inaspettati e decisivi successi sul campo.
I russi: addestratori e pretoriani
Particolarmente attivi in terra africana si sono rivelati i russi. Dai primi mesi dell’anno hanno preso possesso del palazzo di Berengo, Repubblica Centrafricana per addestrarvi gli effettivi del ricostituito esercito nazionale.
Il contingente russo sarebbe composto da 175 uomini di cui solo 5 membri delle forze armate. Gli altri apparterrebbero al Gruppo Wagner, PMC coinvolta nelle operazioni militari in Donbass e Siria ormai da anni.
Il proprietario ed il comandante della Wagner, rispettivamente Yevgeny Prigozhin – soprannominato lo “chef” di Putin per le società di catering e gli stretti rapporti con il Cremlino – e Dmitry Utkin, ex ufficiale del GRU – servizi segreti militari – si sarebbero aggiudicati il contratto. Alla Wagner sarebbe stata affidata anche la protezione del presidente della Repubblica Centrafricana, Faustin-Archange Touadéra. Egli è infatti apparso in pubblico con un seguito di “guardie bianche”, oltre alle solite ruandesi affidategli dall’ONU.
Un dispositivo di quaranta operatori delle forze speciali russe oppure private. Valery Zakharov, presumibilmente anch’egli dell’entourage di Prigozhin, è stato inoltre nominato consigliere per la sicurezza nazionale di Touadéra. Nello specifico soprassederà i negoziati coi vari gruppi armati, sia alla ricerca di una soluzione pacifica, sia a garanzia dello sfruttamento delle risorse naturali.
A riprova delle proprie attività nel Paese, Prigozhin vi avrebbe registrato due società nel 2017: Lobaye Invest, compagnia mineraria controllata dalla pietroburghese M Invest – anch’essa di sua proprietà – e la PSC Sewa Security Service. Grazie ai suoi uomini sono riprese le estrazioni di diamanti, oro ed uranio.
Da gennaio la Wagner opererebbe anche in Sudan. Secondo Stratfor, infatti anche il presidente Omar al-Bashir le avrebbe affidato la protezione di diverse miniere, nonché incarichi di consulenza ai vertici delle forze armate impegnate contro il Sudan del Sud.
Per quanto riguarda la Libia, il The Sun ha in questi giorni rivelato la presenza di due basi russe nei pressi di Tobruk e Bengazi, sotto stretta vigilanza della Wagner che, nel Paese, aveva da tempo stabilito delle teste di ponte a supporto delle forze del generale Khalifa Haftar.
Tra il 2016 ed il 2017, la Reuters aveva già parlato di operazioni della PSC russa RSB-group: un centinaio di uomini tra sminatori e relativa scorta al servizio di Khalifa Haftar a Bengazi. I contractors russi avrebbero addestrato anche gli uomini del generale nella base egiziana di Sidi Barrani, a ridosso della frontiera libica.
Gruppo Wagner: Parlarne nuoce gravemente alla salute
Reporters e giornalisti stanno imparando che occuparsi di PMC russe può risultare mortale! Il primo a farne le spese Maksim Borodin, impegnato ad indagare sugli uomini della Wagner in Siria. Egli sarebbe “caduto” dal balcone del proprio appartamento di Ekaterinburg, ad aprile.
La porta chiusa dall’interno ha spinto le autorità a propendere sbrigativamente per un incidente o suicidio. Tuttavia, un amico ha rivelato di aver ricevuto una sua telefonata, il giorno prima di morire, in cui raccontava di aver trovato un uomo armato sul balcone ed altri appostati sulle scale. Borodin aveva successivamente ritrattato dicendo di essersi sbagliato e che quegli uomini stavano partecipando ad un’esercitazione.
E’ stata poi la volta di Kirill Radchenko, Alexander Rastorguyev e Orkhan Dzemhal uccisi il 30 luglio nei pressi di Sibut, Repubblica Centrafricana. Un commando di 10 uomini armati, inturbantati e parlanti esclusivamente arabo li avrebbe catturati e giustiziati, risparmiando solo l’autista. Dipendenti dell’Investigations Management Centre (ICM) dell’oligarca russo in esilio Mikhail Khodorkovsky, i tre giornalisti sarebbero stati impegnati nella ricerca di materiale per un documentario sulla presenza russa e della PMC di bandiera nel Paese: il Gruppo Wagner.
Il giorno precedente avrebbero cercato, infatti di entrare in una base militare dove i contractors russi starebbero addestrando le truppe di Bangui. Mosca ha immediatamente parlato di loro incoscienza per esser entrati nel Paese con un semplice visto turistico, senza seguire i warnings emanati dalle rappresentanze diplomatiche.
Secondo l’esperto militare ucraino, Oleksandr Kovalenko la morte dei giornalisti russi potrebbe esser ricondotta ad una guerra tra oligarchi russi per il controllo delle PMC e relativi lucrosi contratti. Da una parte Prigozhin che avrebbe mostrato interesse per una miniera d’oro nei pressi di Ndassima, nel sud della Republica Centrafricana; dall’altra i vertici della Difesa ancora infuriati per l’iniziativa del patron della Wagner di attaccare l’oleodotto “curdo-americano” in Siria, senza consultarli e rischiando una pericolosa escalation.
E così i giornalisti, che sarebbero stati al servizio del Ministero della Difesa, sarebbero stati in viaggio verso la miniera per indagare e screditare le attività della Wagner e del suo proprietario. Comunque, “lo chef di Putin” non cederà facilmente ed i cadaveri dei tre giornalisti potrebbero esserne la dimostrazione.
Esiste tuttavia una differente e più recente versione sull’assassinio dei tre cronisti. Essi infatti avrebbero indagato sull’afflusso di armi russe in Repubblica Centrafricana. Armi che, attraverso le PMC russe nel Paese, sarebbero poi state trasferite sia alle truppe regolari che agli oppositori. Questo sia per mettere pressione a Bangui che garantirsi dai ribelli zone ricche di risorse.
PMSC nel Sahel
Gruppi jihadisti nel Sahel vi hanno favorito lo sviluppo e presenza di società di sicurezza private. Alle spalle di ogni soldato delle varie forze internazionali presenti nella regione – americani, francesi, tedeschi, (italiani?) – troviamo infatti un operatore di sicurezza o un addetto alla logistica privato.
AFRICOM, il comando americano per l’Africa affida ai contractors operazioni d’intelligence e raccolta d’informazioni, trasporti tattici, MEDEVAC ed anche operazioni più da “dito sul grilletto.”
Durante l’imboscata di ottobre ai Berretti Verdi in Niger era presente anche un contractor che si occupava d’intelligence, così come le operazioni di soccorso ed evacuazione sono state compiute da velivoli della Erickson Inc. e Berry Aviation.
Basti pensare che, solo per AFRICOM, vi sono 21 società private americane fornitrici di servizi in Africa settentrionale e Sahel; ad esse si aggiungano dozzine di altre compagnie francesi, britanniche ed ucraine che partecipano alla “spartizione” di un budget annuale multimilionario.
Contractors “Made in China”
Nell’ambito della “Nuova Via della Seta” e della sua protezione, l’Africa rappresenta un teatro fondamentale. Solo una ventina delle 5.000 società di sicurezza private presenti in Cina nel 2017 – con più di 4,3 milioni di operatori – è presente a livello internazionale, schierando 3.200 uomini.
Oltre a quelle che scortano le imbarcazioni di bandiera al largo della Somalia, ve ne sono altre sul continente a protezione di assets e personale di grandi gruppi industriali.
Una delle più attive è la DeWe Security Services Co., Ltd di Pechino assunta per proteggere la linea ferroviaria Nairobi-Mombasa da 3,2 miliardi di dollari e l’impianto di liquefazione del gas naturale della Poly-GCL Petroleum Group Holdings in Etiopia. Tale investimento da 4 miliardi di dollari è ritenuto il più grande incarico affidato ad una PSC cinese.
Più di recente la DeWe ha annunciato il progetto di costruzione di due campi base in Repubblica Centrafricana e Sudan del Sud. Ed è proprio in Sudan del Sud che la società ha dovuto affrontare uno dei suoi momenti più delicati. A partire dall’8 luglio 2016, per ben 50 ore ha dovuto gestire l’evacuazione di 300 dipendenti della China National Petroleum Corp, bloccati a Juba dagli scontri tra forze governative e ribelli.
Piloti ucraini per attacco e MEDEVAC
Anche gli ucraini si stanno facendo largo nell’affollato mercato africano della sicurezza privata. Dopo l’indipendenza negli anni 90, grazie ai suoi porti sul Mar Nero, l’Ucraina è diventata un punto di transito conveniente per equipaggiamenti e personale di sicurezza. Da lì numerose società di sicurezza private hanno “preso il largo” alla volta di numerosi teatri operativi; l’Africa ne rappresenta un’opzione preferenziale. Nel Sahel numerose società ucraine sono direttamente impegnate a fianco di organizzazioni internazionali.
Si pensi agli elicotteri per il MEDEVAC in Mali, nell’ambito della missione MINUSMA. Oppure ad altre società operanti in Sudan, Congo e Costa d’Avorio. La Omega Consulting Group reclutava ad esempio operatori francofoni dalla consolidata esperienza di combattimento, attraverso la sua pagina Facebook.
Il dirigente, Andrei Kekbalo ha parlato di salari di 1700-4300 euro al mese. In Burkina Faso, invece fino a 12.000 per chi ha nel proprio cv operazioni in Irak, Jugoslavia od Afghanistan.
Un incarico particolarmente caro ai contractors di Kiev è quello del pilota d’elicottero; soprattutto d’attacco. Tra coloro che hanno addestrato i piloti nigeriani e colpito direttamente Boko Haram vi erano almeno tre ucraini. Uno di questi, il capitano Chup Vasyl, dopo tre mesi di raid è precipitato e morto.
PSC tedesche in Ruanda
A fine maggio una delegazione di 12 PSC tedesche si è recata in Ruanda, manifestando l’intenzione d’investire nel Paese e collaborare con partners locali. La Rwanda Private Security Industry Association (RPSIA) sta infatti progettando la realizzazione di un centro d’addestramento congiunto, nel distretto di Gasabo, per elevare i propri standard qualitativi.
Quello della sicurezza privata ruandese è un settore promettente che è cresciuto del 1500% dal 1997: da una alle attuali sedici società registrate, con più di 14.000 operatori.
Nonostante ciò, come spesso accade nei Paesi in via di sviluppo, il boom della sicurezza privata è accompagnato dallo sfruttamento degli operatori e dalla concorrenza di organizzazioni senza licenza né principi etici o professionali.
Ogni dipendente frutta alla propria società 135 euro al mese, a fronte di uno stipendio mensile di 27 euro. Retribuzioni che, oltretutto, vengono corrisposte con ritardi fino a tre mesi e, in diversi casi, prevedono addirittura la decurtazione dei costi delle uniformi di servizio.
I turni sono di 12 ore, sette giorni alla settimana, senza il pagamento di straordinari. Il clima di terrore instaurato a suon di licenziamenti sommari ha fatto sì che solo due società consentano ai propri dipendenti di rivolgersi ai sindacati e che le donne siano vittime di soprusi/abusi da parte di colleghi e superiori maschi.
Prince a “pesca” in Mozambico?
Erik Prince, fondatore di Blackwater, ha recentemente fatto affari in Mozambico. La sua Frontier Services Group (FSG) ha rilevato a dicembre Ematum, impresa ittica in bancarotta, rinominandola Tunamar. Un’altra sua società – Lancaster Six Group (L6G) di Dubai – ha creato una joint venture con la Proindicus, anch’essa mozambicana ed in fallimento. L’obiettivo di Pro6 – così è stata chiamata – è quello di fornire servizi di sicurezza in una regione ricca di petrolio e gas.
Secondo Africa Monitor Intelligence (AMI), Pro6 avrebbe stipulato contratti con diverse società nel corso dell’anno; tra di esse ENI ed il gigante americano Exxonmobil. Tuttavia, l’agenzia di stampa Zitamar ha riportato le smentite di entrambe le società.
ENI aveva già smentito dichiarazioni simili nel 2016, quando l’allora presidente di Proindicus, Antonio do Rosario riferì alla commissione parlamentare d’inchiesta sui debiti occulti di Ematum, Proindicus e MAM (Mozambique Asset Management) di aver già ottenuto l’incarico di fornire sicurezza al consorzio a guida del gruppo italiano.
AMI ha riportato anche che Pro6 avrebbe assicurato alle autorità di Maputo di poter metter fine agli attacchi islamici a Cabo Delgado in 90 giorni.
Qualche considerazione
Il Sudafrica ha una consolidata tradizione d’esportazione di combattenti a pagamento. Molti di essi appartengono ad una generazione di militari messa da parte con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Apartheid; quando insomma il fabbisogno militare sudafricano si è drasticamente ridotto.
Il loro impiego contro terroristi o guerriglieri sanguinari come Boko Haram ha concretizzato quello che molti, Erik Prince in primis, auspicavano mentre gli assassini dello Stato Islamico imperversavano indisturbati in Siria ed Iraq.
Sebbene il loro ruolo tra il passivo – addestramento e logistica – e l’attivo – partecipazione diretta alle ostilità – possa apparire controverso, davanti all’immobilismo delle organizzazioni internazionali i contractors sono stati gli unici ansiosi d’intervenire.
Il loro operato ha puntualmente ripresentato l’annosa questione della definizione e differenze tra mercenari, PMC e PSC nonché il diverso trattamento legale che debba esser loro riservato.
Secondo Eeben Barlow, proprietario di STTEP, l’intervento della sua società non è stato di tipo mercenario, bensì un regolare rapporto di lavoro col Governo nigeriano. Di parere opposto i Ministri di Esteri e Difesa sudafricani che hanno deplorato vivamente l’azione, definendo i soggetti coinvolti “mercenari” e passibili di arresto una volta in patria.
I progressi dei nigeriani contro Boko Haram porteranno sicuramente alla fine dei contratti a tempo determinato – perché di questo si tratta – di numerosi contractors.
Molti di loro potrebbero quindi passare al servizio delle PMC russe in Africa. Già dall’intervento in Sierra Leone nel 1995, infatti si sono trovati ad operare con armi, equipaggiamenti e personale dell’Est Europa.
Per quanto riguarda la Russia, rispetto al passato dove comunque realtà come RSB Group, Moran Security ed Antiterror-Oryol sono riuscite ad ottenere contratti, le PMSC russe non sono più abbandonate dalle proprie istituzioni. Anzi, da esse ricevono supporto nell’ottica di un nuovo modello d’interazione: Mosca garantisce sicurezza e stabilità, mentre i Paesi fruitori concessioni estrattive, commerciali ed il rafforzamento della propria influenza sulla regione.
Il tradizionale approccio adottato dal presidente Putin nelle relazioni internazionali è quindi evoluto, comprendendo sempre più le PMSC di bandiera. Tra le leve commerciali che hanno permesso loro di erodere quote di mercato alle concorrenti occidentali vi è l’economicità dei servizi offerti e, soprattutto, la mancanza di uno scomodo passato coloniale – come Francia e Gran Bretagna – o di un presente neoimperialista – come Cina e Stati Uniti.
Condizioni tali da far ottenere a Mosca anche una legittimazione in sede ONU – vedasi l’emendamento all’embargo internazionale di armi imposto alla Repubblica Centrafricana – e da parte di altri Paesi africani.
Inoltre, molti Paesi occidentali sono sempre più riluttanti ad intervenire in Stati fallitti – come la Repubblica Centrafricana – od oggetto di condanne e sanzioni internazionali – come il Sudan – mentre la Russia di Putin vi si lancia a capofitto, con operazioni manifeste o coperte.
Da una parte le truppe regolari danno dimostrazioni di forza e capacità di proiettarla, dall’altra il basso profilo dei contractors consente affari con scomodi interlocutori, nella più completa aderenza ai propri interessi.
In merito alla Cina, le PSC assumono preferibilmente ex agenti di polizia o militari. Tuttavia, ciò non costituisce necessariamente una garanzia di qualità. Le forze armate cinesi, infatti non hanno avuto esperienza di combattimento sostanzialmente dalla guerra con il Vietnam del 1979, così come lo schieramento di alcune società in Iraq, a protezione di pozzi petroliferi e gasiferi, è avvenuto in zone relativamente tranquille.
Le PSC cinesi e loro operatori, salvo alcune eccezioni, risultano pertanto poco esperti e preparati. Uno dei loro principali limiti è il divieto d’utilizzo di armi da fuoco. Pechino, fedele alla sua politica estera di non ingerenza e per evitare un “effetto Blackwater” che possa danneggiare le relazioni con altri Paesi è riluttante ad armare i propri contractors. Perciò, quando all’estero, non portano armi e sono principalmente impegnati in attività di consulenza.
Data l’elevata pericolosità dei contesti in cui sono chiamati ad operare, l’utilizzo delle armi da fuoco risulta imprescindibile. In caso d’emergenza, si deve quindi contare su forze di sicurezza od operatori locali risaputamente inaffidabili, oppure procurarsi armi sul mercato nero e far da sé.
Oltre ai rischi per chi si trova sul campo, il divieto alle armi si traduce sempre più in un freno alla crescita delle PSC cinesi, regalando clienti, nonostante le barriere linguistico–culturali e di prezzo, a concorrenti stranieri…armati.
Se pensiamo infatti che un team di 12 contractors cinesi costa mediamente quanto un singolo operatore britannico o statunitense e che la Cina non si pone particolari problemi a servire Paesi sulle blacklists occidentali, le prospettive di crescita delle PSC sono enormi.
Sebbene sulla terra ferma l’impiego di armi sia argomento tabù, in ambito di antipirateria i contractors cinesi sono ben armati ed autorizzati all’uso della forza letale.
Infine, sugli interessi di Erik Prince in Mozambico, due riflessioni sorgono spontanee. La prima: a meno che Prince non abbia deciso di buttarsi nel business della pesca al tonno, i 24 pescherecci della flotta di Ematum possono risultare molto utili e redditizi nel canale di Mozambico, sempre teatro di attacchi di pirati nonostante l’Operazione Copper della Marina sudafricana ed i nuovi mezzi navali donati dal Portogallo a Maputo. Non dimentichiamoci della McArthur, nave oceanografica acquistata dalla Blackwater ed allestita per supportare operazioni militari, di law enforcement ed antipirateria.
La seconda: come può la Proindicus, le cui principali risorse sono motoscafi, contrastare ed eventualmente porre fine ad un’insorgenza prevalentemente terrestre come quella di Cabo Delgado? E’ atteso qualche genere di rinforzo di terra o si tratta davvero di una notizia infondata?
Foto: NEstudio/Shutterstock.com, AFP, AP, GidiPost, TASS, Twitter, Shutterstock, Cyril Ndegeya, KT Press, SOFX, e Zitamar
Preso da: https://www.analisidifesa.it/2018/10/il-boom-dei-contractors-in-africa/
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