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Del colonialismo italiano in Nord Africa, Angelo Del Boca è riconosciuto come il più autorevole studioso. " Per alcuni aspetti – rimarca Del Boca - il colonialismo italiano è stato più severo, più ingiusto di quello di paesi come la Francia, la Gran Bretagna e il Portogallo. In Libia, ad esempio, per contrastare l'opposizione di Omar el Mukhtar sono stati creati dei campi di concentramento nella zona più arida del paese, dove sono state raccolte intere popolazioni della Cirenaica, con un bilancio finale di 40 mila morti, a causa delle malattie, il cattivo nutrimento e le continue percosse o fucilazioni. Uno dei peggiori crimini del colonialismo italiano è stato quello di proibire ogni forma di istruzione. Il limite massimo era la quinta elementare, sufficiente per ricevere ordini ed eseguirli. A differenza di ciò che accadeva nelle colonie inglesi e francesi, dove si garantiva la formazione di una classe dirigente, a volte di alto livello".
Il "leone" serve oggi all'uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, per un duplice scopo: recuperare in quel passato un elemento unificante di una incerta identità nazionale, ed ergersi a novello paladino nella difesa degli interessi del popolo libico e di una sovranità messa a repentaglio dai "neocolonialisti italiani".
Giugno 2011. La rivolta contro Gheddafi, esplosa a Bengasi, incendia l'intera Libia. Il cimitero di Hammangi a Tripoli, storico complesso dove sono custoditi resti di circa 8mila espatriati italiani in Libia, viene profanato da alcuni sconosciuti che ne hanno danneggiato alcune strutture e imbrattato le mura con ingiurie e minacce. L'Airl, l'Associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia, è stata protagonista di una lunga battaglia per la sua ristrutturazione. E Giovanna Ortu, la sua presidente, si dice "rattristata e costernata": "Per anni Hammangi era stato alla mercé di ladruncoli che profanavano le tombe, questa volta invece si è trattato di un vero e proprio atto ostile contro l'Italia da parte dei fedelissimi di Gheddafi, su questo non ci sono dubbi". Ora Gheddafi non c'è più, ma l'ostilità verso l'Italia, più o meno sobillata, ancora vive.
30 aprile 2016: Preoccupano molto le immagini delle bandiere italiane bruciate in Libia nel corso di alcune manifestazioni di protesta indirizzata contro i raid aerei dell'esercito libico guidato dal generale Khalifa Haftar, peraltro osannato a Tobruk. Secondo quanto riportato dal Libya Herald, centinaia di cittadini libici sono scesi in piazza a Derna per protestare contro gli attacchi aerei sulla città da parte delle forze del generale Haftar e hanno "bruciato una bandiera italiana, condannando quelle che considerano interferenze italiane e dell'Onu in Libia". I manifestanti, aggiunge il giornale online, hanno comunque espresso apprezzamento per le "vittorie dell'esercito" contro l'Isis in Libia.
Anche il sito Alwasat ha riportato la notizia, specificando che nel corso di queste manifestazioni sarebbero state date alle fiamme alcune bandiere italiane, mentre i manifestanti protestavano al grido di "nessuna tutela". Sui cartelli dei manifestanti, scritte contro l'intervento dell'Italia nella crisi libica, come "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni" oppure "l'Italia non si sogni di occupare il nostro Paese". Le persone che hanno preso parte alla manifestazione hanno bruciato una bandiera italiana.
Simbologia e politica si tengono assieme fomentando ancor più il "caos libico". Un caos che non sarà certo risolto dal premier "voluto" dall'Italia e supportato, almeno a parole, dall'Onu. Serraj, ricorda Del Boca, "non controlla a pieno nemmeno la città di Tripoli; tanto meno la Tripolitania divisa tra milizie in parte schierate con Tripoli, come quelle di Misurata che ricattano costantemente Sarraj, in parte con il precedente governo islamista di Khalifa al-Ghweil; ci sono poi l'enclave armata di Zintane che ha detenuto e liberato Seif al-Islam, il figlio di Gheddafi; il Fezzan delle tribù e dei clan e la Cirenaica di Haftar, ancora alle prese con il tentativo di ricostituzione delle milizie jihadiste, a Derna e Bani Walid dopo la sconfitta di Sirte. Dappertutto centinaia di milizie armate...".
"Qualche giorno fa – annota Alberto Negri sul Sole24Ore - Abdel Rahman Shalgam, l'ex ambasciatore libico all'Onu, diceva che, pur non avendo simpatie per Haftar, il generale è il padrone della Cirenaica mentre la Tripolitania è divisa in cento milizie e l'unica piazzaforte sicura è Misurata. Andare in Libia senza un'intesa con Haftar è sbagliato perché, come altri, è in grado comunque di sabotare la missione...". E ancora: "Paradossale: l'Italia che aveva in Gheddafi il maggiore partner nel Mediterraneo, ora potrebbe passare alle cronache come il Paese con velleità neo-colonialiste, accusata da miliziani alleati dei nostri alleati che in Libia hanno condotto i raid e tentato di ridimensionare la presenza italiana. Operazione mal riuscita perché l'Eni continua a estrarre gas, petrolio e fornisce la corrente tutto il Paese. Certo che se l'Italia si fosse opposta ai bombardamenti oggi avrebbe ben altra legittimità".
In Libia, è bene ricordarlo, l'Italia non ha alleati internazionali ma concorrenti, che fanno della spregiudicatezza il loro modus operandi: la Francia, la Russia, l'Egitto, gli Emirati Arabi Uniti hanno decisamente puntato su Haftar come "cavallo vincente", se non per diventare il nuovo raìs libico quanto meno per edificare lo Stato-protettorato della Cirenaica, l'area dove sono concentrati i più importanti pozzi petroliferi del Paese nordafricano. La Storia dice che nella Sponda Sud del Mediterraneo e nel Medio Oriente, i conflitti esplodono per il controllo dell'oro nero e di quello bianco: petrolio e acqua. La Libia ne è la riprova. Alla Francia, i nostri fratelli-coltelli euromediterranei, di fronteggiare con spirito solidale e con un'azione condivisa, l'emergenza migranti, interessa poco o niente. Mentre interessa, e tanto, che il loro uomo a Bengasi (Haftar) e un domani a Tripoli, riservi la fetta più grossa della "torta petrolifera" alla transalpina Total, rimpicciolendo quella del cane a sei zampe (l'Eni) italiano.
Intanto, mentre l'Italia supporta la Guardia Costiera di Serraj, L'Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar, si aggiudica un altro successo nella "battaglia del Fezzan" combattuta nella regione desertica meridionale libica contro le milizie di Misurata e i loro alleati legati indirettamente al governo riconosciuto dalla comunità internazionale di al-Serraj. Nei giorni scorsi, le truppe di dell'uomo forte del governo di Tobruk, hanno conquistato la base aerea di Al-Jufra, 500 chilometri a sud di Tripoli e i centri di capoluogo Hun e Sukna, cittadine fra i 30 mila e i 10 mila abitanti e situati a circa 250 km in linea d'aria a sud di Sirte, dove sono state trovati depositi di munizioni e veicoli. LNA controlla ora i centri nevralgici militari del Fezzan dopo che il 25 maggio le truppe di Haftar avevano preso il controllo della base aerea di Tamenhant vicino a Seba.
Di certo, a riequilibrare i rapporti di forza sul campo non basterà una fregata italiana. Nella stampa libica la parola più ricorrente, per definire la fase attuale, è: "Somalizzazione". Avere una "nuova Somalia" alle porte di casa non è una bella prospettiva.
Preso da: http://www.huffingtonpost.it/2017/08/04/libia-tra-martiri-che-rivivono-e-la-guerra-del-petrolio-che-non_a_23065019/
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