Grazie all'accordo America-Asia le merci e i capitali potranno circolare liberamente senza dover essere soggette a dazi e regolamenti vari che verranno semplicemente cancellati. Alla entrata in vigore del Tpp manca soltanto la ratifica dei rispettivi governi e Parlamenti ma, nonostante i molti mugugni che si sono levati, sia per le sue implicazioni sia per la segretezza che ha caratterizzato le trattative e l'incontro decisivo ad Atlanta, non sembrano esistere ostacoli tali da impedirne un voto favorevole. Ad Obama peraltro il Senato aveva concesso i pieni poteri per agire come meglio avesse creduto.
I dodici Paesi interessati sono i quattro anglofoni (Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda), più Messico, Perù, Cile. In Asia ne faranno poi parte Giappone, Singapore, Malesia, Vietnam e Brunei. Mancano Corea del Sud, Taiwan e Filippine che si sono dette “interessate” ad entrarvi successivamente. Ma manca soprattutto la Cina.
I motivi sono due. Il primo è che il Tpp mira appunto, sul breve termine, a limitare la crescente forza economica di Pechino nell'intera area e nel mondo. La seconda è che, non essendo una economia “liberista”, visto che si tratta di un capitalismo protetto e assistito apertamente dallo Stato, la Cina, almeno in questa fase, non poteva firmare un trattato che l'avrebbe costretta ad eliminare le sue normative in materia di condizioni di lavoro (spesso al limite dello schiavismo), dazi doganali, quote di importazione, barriere commerciali e vendite sotto costo (il dumping). Una pratica quest'ultima che non si potrà più fare nemmeno avvalendosi della svalutazione mirata della propria moneta che Pechino attua da anni. Il Tpp non lo prevede esplicitamente ma i governi si sono impegnati in tal senso, escludendo però sanzioni economiche per i trasgressori. Che è un po' come dire: fate quello che vi pare poi si vedrà.
Di certo c'è che è stata creata l'area economica più grande del mondo. Vi passa il 40% del commercio globale. Se, apparentemente, tutti si trovano su un piano di perfetta parità, è evidente che agli Stati Uniti si presenta l'occasione di dettare le danze, muovendosi da posizioni di forza, di imporre i propri prodotti e le proprie regole agli altri. Dopo aver sistemato le cose nel giardino di casa con l'accordo Nafta del 1994 (unitamente a Canada e Messico) è stato fisiologico concludere un accordo analogo con l'area del Pacifico. Ed è significativo che la firma del Tpp sia venuta prima di quella sul Ttip, a dimostrazione della maggiore importanza attribuita da Washington al Pacifico rispetto all'Atlantico. Poi, una volta che la Cina sarà stata recuperata e coinvolta nel Tpp, il nuovo Grande Gioco sarà una realtà.
Nixon e Kissinger, con la loro visita a Pechino nel 1972, avevano insomma visto giusto e colto le potenzialità di crescita dell'intera area. Se il contenuto completo dell'accordo non è stato ancora reso noto, esso rafforza comunque i rapporti tra Usa e Giappone, le due maggiori economie coinvolte. Per Tokyo si è trattato di un passo obbligato, visti lo stato comatoso dell'economia, il Pil in ribasso e le stime degli esperti e delle imprese che hanno visto nel Tpp l'unica speranza per una inversione di tendenza. Lo scopo che si pone il Tpp è quello di “promuovere gli scambi e gli investimenti tra i Paesi partner”. Quindi libertà di circolazione di merci e di capitali. E ancora: “promuovere l'innovazione, la crescita economica e lo sviluppo”. Il tutto per “sostenere la creazione e il mantenimento di posti di lavoro”.
La spiegazione addotta è quella nota in casi similari. Con legislazioni e regolamenti più semplici, e di fatto unificati, tutto sarà più facile e ci saranno vantaggi per i cittadini-consumatori che avranno maggiore libertà nelle proprie scelte di acquisto e di investimento: questo il mantra. Ciò però è solo un dato, ma l'importanza e la rilevanza maggiore del Tpp sta nell'essere un'ulteriore passo nello svuotamento di sovranità degli Stati da parte del Mercato, trasformando ufficialmente la politica in una sovrastruttura dell'economia e soprattutto della finanza transnazionali. Questo accadrà, perché il Tpp prevede che gli Stati dovranno “risarcire gli investitori per le perdite di profitti attesi”. Una impresa o una istituzione finanziaria che si ritenessero danneggiate da una legislazione nazionale non si rivolgeranno ad un tribunale ordinario ma potranno rivolgersi ad una struttura legale, creata appositamente dal Tpp, per risolvere tale questioni. Si tratta di un meccanismo di arbitrato già previsto dall'Investor State Dispute Settlement che, nella maggioranza dei casi ha dato ragione alle imprese.
Secondo i suoi critici, si annuncia per essere il nuovo mostro che verrà dotato di un potere abnorme e con il quale viene capovolto il principio della tutela dell'interesse pubblico a favore di quello privato. Obama l'ha buttata sul sociale e ha difeso la sua scelta sottolineando che l'accordo prevede un miglioramento degli standard ambientali e delle condizioni di lavoro con l'introduzione, ma resta una ipotesi, del salario minimo. Quello che in Vietnam, tanto per fare un esempio, è attualmente sotto i 60 centesimi di dollaro. Ma critiche sono venute da Hillary Clinton che, da candidata alla Casa Bianca nel 2016, ha dichiarato di essere in questa fase contraria al Tpp perché troppi punti non sono ancora chiari. La Clinton non crede che l'accordo possa creare posti di lavoro negli Usa, aumentare i salari, proteggere l'ambiente e migliorare la sicurezza nazionale. Le perplessità della Clinton sono le stesse di molti parlamentari che anzi temono effetti negativi per l'occupazione nel settore manifatturiero con un calo della domanda interna di prodotti nazionali.
L'irritazione al Congresso è palpabile. Ai parlamentari sono stati mostrati soltanto stralci parziali del testo del trattato. Mentre al contrario i lobbysti delle principali aziende industriali hanno partecipato ai negoziati fin dal loro inizio.
Battute si sono sprecate sul fatto che Atlanta, sede del negoziato, è anche la città della Coca Cola. Quanto all'impatto ambientale del Tpp, se il Wwf ha espresso un prudente appoggio, per il principale gruppo ambientalista Usa, Sierra Club, il Tpp, al contrario, “legittima i grandi inquinatori a sfidare la tutela del clima e dell’ambiente all’interno dei tribunali commerciali”.
Insomma, l'accusa che si rivolge al Tpp, anche negli Usa, è di essere stato pensato in funzione degli interessi delle multinazionali che non incontreranno più ostacoli nel produrre dove il lavoro costa meno e dove i governi tollerano un certo quid di inquinamento ambientale. In buona sostanza i governi non potranno più utilizzare il proprio potere per danneggiare le multinazionali straniere, bloccandone l'attività o limitandone i profitti grazie a legislazioni considerate punitive.
Un'ampia parte del trattato è stata dedicata alla difesa della proprietà intellettuale e dei brevetti con grande attenzione all'industria discografica, al cinema e alle aziende del settore informatico. Gli Usa puntavano in particolare a difendere i brevetti della propria industria farmaceutica per una durata di dodici anni, non consentendo l'introduzione di farmaci generici. Poi, su richiesta dell'Australia, hanno accettato un compromesso “sociale” su un periodo tra i 5 e gli 8 anni che in ogni caso preclude di fatto l’accesso a cure mediche essenziali per milioni di persone nei Paesi più poveri.
Da parte sua il commissario europeo al Commercio, la svedese Cecilia Malstrom, impegnata nelle trattative sul Ttip, ha assicurato che non negozierà mai con gli Usa un accordo che abbassi gli standard qualitativi dei prodotti o minacci i sistemi e i servizi di sanità pubblica. L'Unione europea pensa a una Corte internazionale per gli investimenti, con un sistema di appello, al posto dell'arbitrato utilizzato oggi. Al nuovo meccanismo di composizione delle controversie ci si dovrebbe rivolgere solo in casi eccezionali. Queste almeno le intenzioni trapelate. Nel Ttip, ha assicurato, ci sarà un chiaro riferimento al fatto che i governi hanno il diritto di dettare regole in nome dell'interesse pubblico. Bisogna vedere se alle parole seguiranno i fatti o se, al contrario, le lobby operanti a Bruxelles, che perseguono gli stessi interessi dei confratelli di oltre Atlantico, faranno sentire tutto il proprio peso. Come è molto più probabile che sia.
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