Torna a
salire la tensione in Libia, dove nelle ultime 24 ore si contano una
trentina di morti a Bengasi, seconda città del Paese, contesa tra le
forze del governo riconosciuto internazionalmente di Tobruk, e quelle
islamiste di Tripoli. Sul tavolo delle trattative, in corso in Marocco,
una bozza di accordo elaborata dalle Nazioni Unite, che però non
soddisfa tutti. Ieri, scontri si sono verificati a una manifestazione
indetta proprio a Bengasi contro gli islamisti e la proposta dell’Onu,
ma a sostegno delle forze armate nella lotta ai terroristi. Sul
deteriorarsi della situazione nel Paese, Roberta Barbi ha intervistato Luciano Ardesi, esperto dell’area nordafricana:
R. – Con l’avvicinarsi di un’ipotesi di accordo di un governo nazionale, le milizie che sono sul terreno cercano di posizionarsi da un punto di vista di forza. Questo non facilita gli ultimi passi di questo lungo e travagliato cammino verso l’unità nazionale, ma c’è da aspettarsi che le rivalità continueranno anche dopo un eventuale accordo, che lascerà sicuramente alcune delle milizie delle fazioni in campo del tutto scontente.
D. – Cosa prevede questo accordo definito dall’inviato dell’Onu, Bernardino Leon, 'l’unico possibile'?
R. – Dal primo accordo raggiunto in Marocco è stata stilata una lista del governo di unità nazionale, è stato scelto il futuro presidente del Consiglio, espressione del Parlamento di Tobruk. L’accordo prevede anche un Parlamento provvisorio, di fatto formato dal Parlamento di Tobruk, quello appoggiato e riconosciuto dalla comunità internazionale, mentre i membri del Parlamento di Tripoli avrebbero solo una funzione consultiva.
D. – In Marocco però, dove si svolgono le trattative, la delegazione del Parlamento di Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha respinto l’accordo al mittente. Cosa chiede Tripoli?
R. – Tripoli chiede di ritornare indietro a quella sentenza della Corte Suprema libica che invalidò le elezioni del Parlamento di Tobruk, dimenticando, però, che anche le modalità con cui le elezioni si svolsero, invece, a Tripoli erano quanto mai dubbiose. I due parlamenti non hanno forse una piena legittimità, ma a questo dovrebbe servire un accordo: a trovare una base comune per poi restituire alla Libia delle istituzioni transitorie che portino il Paese verso una pacificazione e verso l’unità nazionale.
D. – L’intesa dovrebbe essere ratificata prima che scada il mandato del Parlamento di Tobruk. Si può fare una previsione?
R. – Queste ultime ore non lasciano ben sperare, perché le tensioni tra i due campi sono ancora molto forti e gli scontri di Bengasi dimostrano che alcune milizie sono irriducibili. Quello che manca alla Libia è, ad esempio, quello che è accaduto in Tunisia dove c’è una società civile più forte e più strutturata. Anche qualche giorno fa a Misurata si è riunito un consiglio degli anziani della Libia che ha lanciato un appello alle due parti per la pace, ma queste sono voci troppo deboli sopra il rumore delle armi che, purtroppo, in questi anni ha prevalso nel Paese.
D. – Nei giorni scorsi si è parlato anche della possibilità di una missione di pace in Libia. Il peggioramento della situazione nel Paese che conseguenze potrebbe avere?
R. – Come è stato detto più volte, una missione militare in Libia sarebbe quanto mai problematica. Una missione ci fu già anni fa, nel 2011, e ha portato alle conseguenze che conosciamo: la caduta di Gheddafi sì, ma anche la distruzione del sistema istituzionale del Paese che poi ha lasciato il Paese stesso nel caos. Pensare a un intervento straniero vuol dire rimettere la mani in quel fuoco che purtroppo si è acceso nel Paese. Non sarà facile, è meglio pensare ad alternative anche se finora si sono rivelate difficili, ma la diplomazia deve mettere in campo tutte le sue “armi pacifiche”.
fonte: http://it.radiovaticana.va/news/2015/10/17/libia_30_morti_in_24_ore,_luned%C3%AC_ratifica_accordo_bozza_onu/1179997
R. – Con l’avvicinarsi di un’ipotesi di accordo di un governo nazionale, le milizie che sono sul terreno cercano di posizionarsi da un punto di vista di forza. Questo non facilita gli ultimi passi di questo lungo e travagliato cammino verso l’unità nazionale, ma c’è da aspettarsi che le rivalità continueranno anche dopo un eventuale accordo, che lascerà sicuramente alcune delle milizie delle fazioni in campo del tutto scontente.
D. – Cosa prevede questo accordo definito dall’inviato dell’Onu, Bernardino Leon, 'l’unico possibile'?
R. – Dal primo accordo raggiunto in Marocco è stata stilata una lista del governo di unità nazionale, è stato scelto il futuro presidente del Consiglio, espressione del Parlamento di Tobruk. L’accordo prevede anche un Parlamento provvisorio, di fatto formato dal Parlamento di Tobruk, quello appoggiato e riconosciuto dalla comunità internazionale, mentre i membri del Parlamento di Tripoli avrebbero solo una funzione consultiva.
D. – In Marocco però, dove si svolgono le trattative, la delegazione del Parlamento di Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha respinto l’accordo al mittente. Cosa chiede Tripoli?
R. – Tripoli chiede di ritornare indietro a quella sentenza della Corte Suprema libica che invalidò le elezioni del Parlamento di Tobruk, dimenticando, però, che anche le modalità con cui le elezioni si svolsero, invece, a Tripoli erano quanto mai dubbiose. I due parlamenti non hanno forse una piena legittimità, ma a questo dovrebbe servire un accordo: a trovare una base comune per poi restituire alla Libia delle istituzioni transitorie che portino il Paese verso una pacificazione e verso l’unità nazionale.
D. – L’intesa dovrebbe essere ratificata prima che scada il mandato del Parlamento di Tobruk. Si può fare una previsione?
R. – Queste ultime ore non lasciano ben sperare, perché le tensioni tra i due campi sono ancora molto forti e gli scontri di Bengasi dimostrano che alcune milizie sono irriducibili. Quello che manca alla Libia è, ad esempio, quello che è accaduto in Tunisia dove c’è una società civile più forte e più strutturata. Anche qualche giorno fa a Misurata si è riunito un consiglio degli anziani della Libia che ha lanciato un appello alle due parti per la pace, ma queste sono voci troppo deboli sopra il rumore delle armi che, purtroppo, in questi anni ha prevalso nel Paese.
D. – Nei giorni scorsi si è parlato anche della possibilità di una missione di pace in Libia. Il peggioramento della situazione nel Paese che conseguenze potrebbe avere?
R. – Come è stato detto più volte, una missione militare in Libia sarebbe quanto mai problematica. Una missione ci fu già anni fa, nel 2011, e ha portato alle conseguenze che conosciamo: la caduta di Gheddafi sì, ma anche la distruzione del sistema istituzionale del Paese che poi ha lasciato il Paese stesso nel caos. Pensare a un intervento straniero vuol dire rimettere la mani in quel fuoco che purtroppo si è acceso nel Paese. Non sarà facile, è meglio pensare ad alternative anche se finora si sono rivelate difficili, ma la diplomazia deve mettere in campo tutte le sue “armi pacifiche”.
fonte: http://it.radiovaticana.va/news/2015/10/17/libia_30_morti_in_24_ore,_luned%C3%AC_ratifica_accordo_bozza_onu/1179997
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