Oramai il tema della censura va reinterpretato. Non esiste
più, e da un decennio almeno, il muro invalicabile, composto dal costo
delle strutture, per poter pubblicare praticamente ogni cosa e
riuscire a raggiungere un numero potenzialmente infinito di persone.
Certo, l'estensione del numero delle possibilità e dei media sui quali
pubblicare messaggi e contenuti che prima era del tutto impossibile
riuscire a diffondere, ad esempio il web, non significa automaticamente
che l'efficacia di tale azione sia uguale a quella che tuttora hanno i
media mainstrem, televisione sopra ogni cosa.
Il discorso dovrebbe essere chiaro a tutti ed è inutile tornarci
sopra a lungo: ancora oggi, a dominare la scena sono la televisione e
tutto il carrozzone che in televisione continua a essere rappresentato,
dai giornali di massa (che in Tv hanno ospitalità e megafono) a tutta la
pletora di opinionisti e comunicatori che alla televisione vengono
fatti accedere a discapito di tutti gli altri. Con i criteri ben precisi
che conosciamo. Ma è parimenti importante considerare come le nuove
strategie dei nodi fondamentali della rete, oggi, e cioè Google e i
social network, stiano operando al fine di rendere anche internet molto
meno libero di quanto originariamente non fosse e di quanto ancora oggi
si abbia percezione che sia.Siccome la quasi totalità delle ricerche on-line, e dunque dei contenuti che effettivamente vengono proposti come risultati e indicati come luoghi da raggiungere è solo potenzialmente infinita e libera, ma invece mirata e orientata, tutta questa libertà in cui ancora, soprattutto sul web, ancora si crede, è in realtà uno specchietto per le allodole (felici e incoscienti).
Se due persone diverse, da due postazioni differenti, dunque con due Ip di provenienza differenti, fanno la medesima ricerca sul principale motore di ricerca del mondo, ottengono oggi dei risultati molto diversi. E molto uguali, invece, alle proprie personali inclinazioni, che Google stessa, registrando e imparando i temi che cerchiamo più frequentemente, sceglierà per noi di metterci davanti.
È un esperimento che può fare chiunque: basta scambiarsi una telefonata, tra almeno due persone in due luoghi differenti, e decidere di fare una ricerca su Google allo stesso momento con le stesse identiche parole chiave. Il risultato che i due browser restituiranno (purché la ricerca, ribadiamo, avvenga da due Ip differenti) cercando due identiche parole chiave (parola uno+parola due oppure anche con una frase che restituirà un risultato a una ricerca semantica) come si verificherà sarà enormemente differente per i due soggetti che stanno facendo l'esperimento.
Il motivo ufficiale di Google è quello di far emergere per ogni utente la sua ricerca personalizzata per fargli ottenere il più precisamente possibile l'obiettivo. Google, come detto, imparando e registrando, via via che lo utilizziamo, i temi e gli argomenti che ci interessano più frequentemente, si arroga il diritto di consegnarci i risultati che ritiene più opportuni. In pratica, in luogo di tutti i risultati che la rete sarebbe in grado di restituirci, ci indica quelli che - secondo lui - sono più adatti e pertinenti per noi.
Non un motore di ricerca, dunque, ma un vero e proprio tutor personalizzato. Che opera con dei criteri tutti suoi, e senza che noi gli avessimo richiesto di farlo, orientando i risultati che mostra.
Si dovrebbe capire immediatamente l'importanza di tale cambiamento. Perché non solo dichiara chiusa definitivamente la possibilità di accedere effettivamente a qualsiasi contenuto che magari può sul serio interessarci (e che qualcuno, in assoluta libertà, può avere pubblicato) senza che lo siamo andati a cercare in modo preciso, ma dichiara aperta la stagione di un nuovo - e unico - creatore di senso. Come fosse una persona in carne ed ossa (un amico, un libraio di fiducia, un giornalista cui si crede) al quale si chiede una cosa e ci si affida per la risposta. Solo che le motivazioni che spingono Google alle risposte per noi, ovviamente ci rimangono oscure. Oltre al fatto che "il nostro amico Google" proprio amico non è, né gli abbiamo scientemente concesso la fiducia che pure gli accordiamo inconsciamente ogni volta che ci rivolgiamo al suo motore di ricerca.
Insomma è il motore di ricerca che ci guida, che sceglie per noi. Cioè l'azienda che lo produce e lo sviluppa. Con criteri tutti suoi.
Ed è così anche per il social network che mostra nella nostra timeline alcuni risultati e contenuti e altri no, vedi il recente accordo con "le maggiori testate giornalistiche del mondo", ovviamente considerate tali da lui, e non scientemente da noi.
Nessun complotto, beninteso, tutto alla luce del sole (tanto ormai chi vorrete che capisca la portata di tale cambiamento?). Prendiamo in esame questo titolo di un video di Repubblica di ieri: "Facebook: così vi guidiamo alla scoperta della vostra pagina" (qui il video). A parlare è Adam Mosseri, uno dei responsabili del team di prodotti di Facebook. E se non vi volete digerire il video (e la pubblicità che lo precede) basta comunque analizzare il titolo per capire la conferma di quanto abbiamo appena scritto. Insomma: il social network si arroga il diritto di scegliere e di guidarci alla scoperta della nostra pagina.
In definitiva, pertanto, ciò che viene veicolata come la possibilità di ricerche personalizzate, non è altro che un filtro scelto da altri per mostrarci alcune cose e per occultarcene delle altre. In barba alla libertà del Web...
Prima non si era in grado di poter veicolare tutti i messaggi perché i costi di avviamento di una struttura comunicativa erano enormi. Oggi, che i costi che sono drasticamente ridotti, molto semplicemente è del tutto inutile pubblicare alcuni messaggi, perché in luogo dell'accesso o meno a tali costosi strumenti è stato sostituito il meccanismo di filtro, di muro di ingresso. Con la semplicità di un algoritmo.
A prima vista dunque si potrebbe parlare di un meccanismo di censura 2.0 e il tema dunque sembrerebbe ritornare di pressante attualità. Vero, ma esiste ancora - almeno per ora - una via di uscita. Che ci riporta alla natura analogica che contraddistingue l'uomo a differenza delle "macchine".
Questa via d'uscita è rappresentata dalla possibilità di concedere fiducia a individui in carne ed ossa, cioè a uomini. O a un gruppo bene definito di uomini e donne che si mettono assieme per costituire un (possibile) punto di riferimento di informazione e comunicazione. È quello che oggi viene definito "news brand". Affidarsi, per la propria informazione, per raggiungere una tipologia (e una qualità) ben precisa di messaggi e di risposte, a un soggetto che si conosce e al quale si accorda proprio per questo fiducia, è l'unica possibilità di sfuggire alla rete dei nuovi filtri della comunicazione. Ed è guarda caso ciò che i social network e i grandi motori di ricerca hanno preso come obiettivo principale da abbattere. Essi scelgono per noi, scompattano i messaggi di ogni news brand e ci restituiscono ciò che reputano opportuno diluendo, fino a farlo dissolvere, il "marchio" originario di provenienza, cioè, in sostanza, il nome e cognome, e il volto - cioè la sua storia, la sua credibilità - e anche l'indirizzo preciso di chi ha emesso il messaggio. Vogliono che tutto passi da loro, che le persone non vadano più a casa (cioè sul sito) di chi hanno scelto di frequentare, ma utilizzino il mega supermaket dell'infotainment targato Google e Facebook, con prodotti bene selezionati, naturalmente. Da loro per noi.
Loro puntano al Centro Unico di Emissione (e controllo). Tutti noi, per salvarci, dobbiamo tornare a sostenere e a frequentare solo i nostri personali (in quanto scelti personalmente) centri di emissione. Quelli che hanno nome e cognome, per intenderci. Quelli in cui noi crediamo e scegliamo di concedere fiducia.
Esiste ancora - per ora - la possibilità di farlo. Perché un centro di emissione, almeno dalle nostre parti, può ancora essere raggiunto personalmente quando lo si è scelto, puntando direttamente al suo indirizzo (che è la url) digitandolo sul browser. E può ancora essere rilanciato e diffuso nella propria agenda di contatti. In modo analogico, uno a uno, o uno a molti, nella propria personale sfera di influenza. Operazione quasi carbonara, potremmo dire. Ma ancora in grado di sfruttare le possibilità offerte dalla rete, da internet.
È dunque essenziale intanto scegliere e selezionare coloro cui dare fiducia, e quindi, parimenti importante, evitare scientemente il resto.
Quando ciò non dovesse essere più possibile, quando cioè anche da noi renderanno impossibile raggiungere alcuni indirizzi (in Cina, ad esempio, già è così) si dovrà fare un ulteriore passo avanti, tornando ancora di più all'analogico, cioè indietro, e chiudendo il cerchio. A quel punto sarà del tutto inutile avere un computer. E la resistenza, la sopravvivenza, il proprio modo di continuare ad essere alive, dovrà finalmente tornare ancora più umano.
Valerio Lo Monaco
Originale con video: http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2015/10/7/social-e-motori-di-ricerca-scelgono-per-noi-occorre-tornare.html
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