Lizzie Phelan, londinese, 25 anni, è una giornalista inglese – anche se ci tiene a specificare le sue marcate origini irlandesi – divenuta nota al pubblico per le sue attività di corrispondente di guerra per i network internazionali Russia Today e Press TV, dal teatro di conflitto libico nei mesi della drammatica contrapposizione interna e dei bombardamenti della Nato sul Paese mediterraneo.
8 marzo 2012
Contestata da alcuni colleghi per aver riportato verità evidentemente non in linea con il quadro (poi effettivamente dimostratosi distorto e manipolato) degli eventi, fornito dai principali canali informativi occidentali, Lizzie Phelan è tutt’ora impegnata in prima linea per cercare di informarci sui fatti che stanno agitando la Siria. L’abbiamo contattata per alcune domande e per conoscerla meglio.
Lizzie Phelan
Andrea Fais: Durante i duri mesi della Guerra in Libia, sei stata accusata dai più famosi media occidentali di non essere obiettiva nei tuoi reportage e addirittura di essere una specie di attivista in favore della Jamahiriya di Gheddafi. Un trattamento simile è stato riservato ad altri giornalisti indipendenti come Mahdi Darius Nazemroaya o Thierry Meyssan. Cosa hai visto esattamente in quel teatro di guerra e, secondo te, perché i mezzi di comunicazione accusano tutti i giornalisti che provano a riportare un’altra versione dei fatti, diversa da quella dominante in Occidente?
Lizzie Phelan: Steve Biko disse una volta: “Il più grande mezzo nelle mani degli oppressori, è la mente degli oppressi”. Questa domanda riguarda l’imperialismo culturale che risulta incomprensibile senza fare riferimento al suo ruolo nella storia. Ciò che la Libia ha subito ad opera delle strumentazioni culturali dell’imperialismo non è differente da ciò che hanno subito le vittime delle aggressioni imperialiste, come per esempio i Celti sino a giungere all’Iran, la Russia e la Cina al giorno d’oggi, e continuerà ad essere così fin quando l’imperialismo continuerà a piegare l’umanità. L’imperialismo occidentale è un sistema che avvantaggia solo una piccola percentuale della popolazione mondiale e inoltre è un sistema di assoluta ingiustizia. E così, in modo che l’imperialismo allontani l’inevitabilità di una effettiva resistenza ad esso, è essenziale che esso taccia sui suoi crimini alle proprie popolazioni, che nella storia saranno a quel punto giudicate come complici. L’imperialismo raggiunge questo promuovendo il sostegno all’egemonia occidentale quasi completamente attraverso le sue risorse mediatiche, che nel contesto attuale avviene tramite il sistema educazionale e i mezzi di comunicazione (compresa la musica, il cinema, i giornali, le mode e le produzioni). E attraverso tali mezzi, storicamente la sua tattica più efficace è stata quella di creare divergenze reali e percepite, tra la maggioranza mondiale che opprime e controlla più brutalmente, come recita il famoso ordine del divide et impera. Una delle differenze più importanti nel contesto dell’imperialismo occidentale è quella della razza, che per semplificare posso definire come una nozione in base a cui vi sono differenze innate tra persone di diverso colore della pelle e per cui le maggiori differenze sono tra persone che hanno colori della pelle più dissimili. La gente oggi spesso giustifica la propria ignoranza razzista sostenendo che non esiste una cosa come il razzismo perché non esiste qualcosa come la razza. Dunque l’analisi della supremazia dei bianchi abbandona questo tipo di persone, perché questa gente mente a sé stessa sul fatto che la supremazia bianca sia confinata nella storia, quando può soltanto esserlo una volta che l’imperialismo occidentale lo sia. Questo avviene perché se è vero che le razze non esistono, esiste pur sempre una netta percezione delle razze e questo è il più efficace strumento per raccogliere la complicità popolare della minoranza nel controllo dell’elite globale occidentale sulla maggioranza non bianca.
Le radici del razzismo contro i popoli di colore sono remote, ma soprattutto durante il commercio schiavistico transatlantico, sul quale le moderne nazioni imperialiste – specialmente la Gran Bretagna e gli Stati Uniti – furono costruite, il modo più diretto per quelle elite nel Nord America di prevenire le rivolte nel proprio giardino di casa era quello di fornire qualche piccolo e miserevole privilegio alle popolazioni povere bianche rispetto alla minoranza degli schiavi di colore. Questo aveva l’effetto duplice di creare tra le classi bianche meno abbienti la percezione che sotto quel sistema essi erano superiori alla popolazione di colore così come il timore che avrebbero potuto peggiorare le loro condizioni rispetto a quel che già erano. L’elite vuole sempre tanto per se stessa, ma i privilegi pietosi che hanno dato ai bianchi erano un investimento per rafforzare la loro posizione dominante non solo per impedire che i poveri bianchi si coalizzassero con i poveri di colore per rovesciare il dominio dell’elite una volta per tutte, ma anche per garantirsi che agissero efficacemente con una propria forza di sicurezza informale per reprimere le rivolte delle popolazioni di colore. C’è una stretta analogia con ciò che dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’elite britannica fece per reprimere ogni effettiva resistenza del popolo britannico contro questa e i suoi crimini, persino più gravi contro le popolazioni del Sud del pianeta, introducendo il welfare state.
Questo fu rafforzato attraverso la propaganda che promuoveva la criminalizzazione e dunque la paura per la popolazione di colore – una psicologia sotterranea spiegata in profondità da Frantz Fanon. E ovviamente non sono soltanto i popoli bianchi ad essere bombardati con l’informazione manipolata dall’elite imperialista bianca, ma tutti i popoli e dunque la percezione della supremazia bianca è estesa a i popoli non-bianchi al punto che ha condotto a presumere il concetto che più attributi “bianchi” si hanno, maggiori sono i vantaggi. Questo ha creato divisioni non solo tra i bianchi e i non-bianchi, ma all’interno persino delle stesse popolazioni non-bianche che sono stato ugualmente plagiate nel pensare che le loro sofferenze non siano causate dall’elite imperialista ma da quelli che sono maggiormente schiacciati da quel sistema. L’imperialismo occidentale ha assicurato l’espansione di questa strategia in tutti gli angoli del mondo, con l’Africa e i suoi popoli che sono i più colpiti. È importante per questo comprendere ed essere in grado di spiegare perché la versione degli eventi in relazione alla Libia come riportata dai principali canali di comunicazione occidentali è opposta alla realtà. Muammar Gheddafi è stato il più bistrattato tra tutti i leader del Nord Africa, perché a differenza delle altre nazioni nord-africane giunte ad annoverare popolazioni a maggioranza nettamente araba, sotto la leadership di Gheddafi la Libia era più vicina al continente africano, e ricercava concretamente l’indipendenza dell’Africa dagli interessi dell’imperialismo occidentale. L’Africa è il granaio dell’imperialismo e i passi efficaci di Gheddafi per arrestare il neo-colonialismo sul continente costituivano il principale fattore che lo rendevano la pià grande minaccia per l’egemonia occidentale nel futuro prossimo. Lungo gli anni del potere di Gheddafi, la fraseologia spesso utilizzata per descriverlo tra i media imperialisti e addomesticati dall’elite occidentale, era tipica della terminologia razzista che è stata storicamente usata per descrivere i popoli d’Africa. Per esempio, Gheddafi qualora avesse indossato costumi tradizionali, parallelamente per descriverlo venivano usate espressioni come “eccentrico” o “cane matto”. Questo è solo un esempio di come la demonizzazione della Libia di Gheddafi è inziata prima che la Nato bombardasse a cominciare dal marzo dell’anno scorso.
Un tale ritratto era accompagnato da una totale assenza di documentazione delle realtà del Paese. La più importante era che nonostante i sofferti anni delle sanzioni occidentali, la Libia raggiunse il più alto livello nella classifica dello sviluppo umano in Africa, nell’educazione pubblica e nella sanità e bassissimi tassi di criminalità per citare solo alcuni obiettivi centrati. Finché la Nato non ha sostenuto il colpo di Sato dello scorso anno, la popolazione libica di colore si attestava a un terzo della popolazione complessiva e la maggioranza di essa sosteneva inevitabilmente Gheddafi. C’erano anche quasi un milione di lavoratori immigrati da altri Paesi africani che vivevano in Libia perché la Jamahiriyah (regime delle masse) garantiva a queste persone una vita migliore. Non è una coincidenza che i delegati a terra della Nato, i “ribelli”, fossero profondamente ispirati da sentimenti di odio razziale verso l’Africa nera, un fattore essenziale per l’Occidente in modo da distruggere tutte le conquiste che erano state costruire da Gheddafi per distruggere il nuovo colonialismo.
Questa strategia duale di divulgare bugie riguardo la Jamahiriyah – ad esempio che fosse una dittatura responsabile di sistematici crimini contro il suo popolo – e al contempo censurare ogni versione alternativa è diventata più violenta quando la crisi è esplosa nel Paese, e ormai non c’era alcuno spazio di diffusione per quest’ultima tra i media imperialisti.
Con davvero poche eccezioni, le sole persone nel mondo che hanno parlato riguardo simili risultati e la verità sulla crisi in Libia, sono state quelle legate ai movimenti rivoluzionari nel Sud del Mondo come quelli sud-africani, latino americani e afro-americani. Come per tutti coloro che si oppongo a chi resiste all’imperialismo, questi movimenti e i loro argomenti sono stati sempre trattati come nemici e demonizzati dai media imperialisti. Così la sola versione esposta alle masse è quella che promuove la supremazia occidentale e demonizza chiunque ad essa provi ad opporsi.
Uno degli esempi più limpidi di questo è la dottrina del “non ci sono alternative” promossa durante la premiership britannica di Margaret Tatcher. Non c’è alternativa al sistema occidentale di globalizzazione capitalista. Il musicista e scrittore Akala nel suo nuovo libro “Doublethoughts” elabora una analisi eccellente della nostra società ma meritoriamente presenta quella società, che lui colloca in un continente chiamato Ignorantia, come una finzione. Spiega in quale modo in Ignorantia, che è un sinonimo per indicare le nazioni imperialiste, la società sia completamente indottrinata per mantenere questa ignoranza, la violenza e il controllo come le tre maggiori virtù morali. Aggiunge che l’ignoranza è la punta della lancia di questo indottrinamento e che noi siamo educati dalla nascita a sottovalutare tutti i più oppressi dal sistema. Egli scrive: “[La] persistenza nel nostro sistema si basa sul fatto che noi accettiamo interamente, abbracciamo e incoraggiamo la sincera verità che l’uomo è ignorante, che tale ignoranza genera violenza e se non controllata quella violenza può seriamente essere usata e forse addirittura abusata [diretta verso un membro di una classe sociale inferiore ad esempio]”.
Nel caso della Libia, con l’ignoranza sul Paese diffusa con successo nella mente delle persone, gli imperialisti sono stati capaci di cavarsela con le masse che hanno accettato, ad esempio non resistendo, la loro versione per cui essi avrebbero monitorato tutto il territorio per proteggere la popolazione civile!
Il fatto che le masse non possano accorgersi di una simile follia, malgrado questa strategia sia vecchia di secoli, è un esempio piuttosto recente di quanto siamo ignoranti e quanto sia facile per gli imperialisti stabilire il controllo di chi si oppone all’agenda dell’egemonia occidentale o dell’unipolarismo. È come se i soli a cui viene mostrata la più devastante faccia dell’imperialismo possano vedere la verità, e quando ero in Libia e in Siria mi capitava spesso di sentire come in Occidente, quando parli della verità vieni trattato come un “cospirazionista”, mentre in quei luoghi la verità è la loro realtà e l’esistenza giornaliera.
Andrea Fais: Il tuo lavoro di corrispondente di guerra è molto complesso, e forse uno dei più pericolosi in generale. In un teatro di guerra, le regole della normale vita consuetudinaria spariscono e la realtà diventa completamente diversa dalla routine quotidiana: niente è sicuro e garantito, come era nel tuo Paese o nella vita di tutti i giorni di prima. E per una donna, tutto questo è forse anche più impegnativo che per un uomo. Perché hai scelto questo tipo di carriera?
Lizzie Phelan: In qualche modo, non ho scelto io questa carriera ma è lei ad aver scelto me. Vengo da una famiglia di sinistra che nelle sue origini è la mia famiglia irlandese, la quale fu attiva in prima fila nella estenuante e sanguinosa battaglia contro i britannici, e il nome “Phelan” è il nome originario della mia nonna irlandese, proveniente da una famiglia dei clan McAteer e Phelan, entrambi fortemente impegnati in quella battaglia. Suo padre, William Phelan, wea un membro dell’Esercito Civile Irlandese – uno dei reparti guida della Pasqua di sangue del 1916 contro il dominio di Londra. Fu imprigionato e torturato dai britannici nel 1920. Tra la famiglia McAteer, il mio parente Michael McAteer era nel secondo battaglione dell’IRA e fu coinvolto nell’assalto alle Quattro Corti che innescò la Battaglia di Dublino del 1922. Perciò, sono stata cresciuta con una consapevolezza su cosa sia l’imperialismo, perché sarà sempre contrastato con ogni mezzo possibile dai più oppressi e perché chiunque vi si opponga deve sostenere in maniera incondizionata coloro che combattono sulla linea del fronte.
Inoltre, prima io sono una giornalista, sono una sostenitrice della giustizia, e si può solo e veramente essere un tale sostenitore se ci si oppone al più iniquo sistema mai visto nella storia, l’imperialismo occidentale. Potrei essere accusata di abusare di questa citazione ma per me è molto importante. Malcolm X disse: “Se non state attenti i media vi faranno amare gli oppressori e odiare gli oppressi”. Questa è la verità e così io vedo il mio ruolo, in base ai mezzi che ho a disposizione per sfidare questa realtà, che è ciò per cui scelgo di raccontare gli eventi relativi ai fronti di guerra dai quali si resiste contro l’imperialismo e i suoi peggiori crimini. La sicurezza del mio Paese a cui fai riferimento non finisce quando lascio l’Inghilterra, bensì mi segue ovunque io vada. Questo non è per dire che sono assicurata dalla totale protezione, ovviamente potrei essere colpita dalle mitragliatrici o sfiorata dai proiettili, come qualsiasi altro civile. Ma a differenza di ogni altro civile, avendo un passaporto britannico, le probabilità di essere colpita penso siano davvero poche. È perché gli abusi contro un occidentale sono considerati con maggior gravità dai media imperialisti e dalle istituzioni politiche occidentali. Infatti, mentre ero in Libia durante l’invasione di Tripoli da parte dei ribelli sostenuta dalla Nato, un britannico che ho molta ragione di credere vicino ai soldati britannici, mi guardò e disse: “Quel passaporto britannico che tu odi è ciò che porterà in salvo la tua pelle”. Ovviamente aveva ragione, e fu quello a salvarmi. Se io fossi stata una giornalista libica, sarei stata subito uccisa o peggio quando i ribelli sarebbero entrati in città. Analogamente, i fatti che ho riportato riguardo la crisi libica non sono diversi da quello che le masse libiche stanno dicendo. Ma solo perché sono britannica, posso godere di una più grande “credibilità”. Questo rimanda chiaramente alla gerarchia dei privilegi stabilita dall’imperialismo, i maggiori di cui sono riservati a bianchi occidentali, come ti dicevo poc’anzi. Le persone che dispongono di tali privilegi, o negano di averli, sapendo di averli e non facendo niente per cambiare le cose, o usano l’accesso a questi privilegi come un viatico per sfidare il sistema che li ha creati. Come internazionalista, considero il mio ruolo orientato verso quest’ultima scelta. I potenziali sacrifici a cui questa scelta mi espone, sono nulla se paragonati ai sacrifici fatti da chi si trova sul fronte a difendere sé stesso e l’umanità dai brutali metodi imperialisti.
Andrea Fais: Un nuovo mondo sembra arrivare. L’ordine unipolare sorto nel 1991, dalle rovine della Guerra Fredda, giorno dopo giorno, sta scomparendo, lentamente sostituito da un nuovo ordine internazionale multipolare composto da nuove potenze emergenti come la Federazione Russa e la Cina, e nuove promettenti economie come l’India o il Brasile. Questo fenomeno ha dato a tali Paesi un impulso a formare nuove alleanze come il gruppo BRICS o l’Organizzazione per l Cooperazione di Shanghai. Quanto alto è il livello di allerta nelle stanze del Dipartimento americano alla Difesa?
Lizzie Phelan: Il nuovo mondo multipolare in arrivo è la continuazione delle grandi lotte secolari dei popoli del Sud del Mondo contro l’imperialismo ed è la prima fase della costruzione di un pianeta giusto che anziché incoraggiare l’autodistruzione, ponga le fondamenta per un progresso dell’umanità. Questo nuovo mondo verrà comunque, solo se le previsioni di Fidel Castro a proposito dei reali pericoli di una catastrofe ambientale o nucleare che distruggerebbe il mondo saranno neutralizzate. Il fallimento dell’unipolarismo dell’Occidente ha aumentato le possibilità di una catastrofe nucleare, e possiamo vedere che la recente intensificazione dell’aggressione militare cominciata con la distruzione atlantica della Libia è un segnale che l’Occidente è attanagliato dal panico nel tentativo di scatenarsi per recuperare la sua egemonia. Sia la Siria che la Libia sono importanti in quest’ottica per una serie di motivi. Anzitutto, ambedue gli Stati sono nell’area del Mediterraneo che l’Europa occidentale vede come il proprio cortile, e sia Muammar Gheddafi, sia Bashar al-Assad rifiutarono gli inviti della Francia a formare un’”Unione Mediterranea” che avrebbe incluso Israele. In un’epoca in cui l’Occidente sta innescando la competizione con Russia e Cina, è fondamentale che si assicuri in questa regione quella dominazione militare che ha, nel breve periodo, raggiunto già in Libia. Considerando la Siria parte dell’asse di resistenza ad Israele formato da Hezbollah, Siria e Iran, l’Occidente ritiene che è essenziale rovesciare la Siria di Assad, così che Hezbollah possa facilmente cadere e di conseguenza l’Iran possa essere facilmente aggredito. Questo lascerebbe inoltre sia la Russia, sia la Cina privi di alleati che potrebbero sfidare Israele.
Chiaramente questo è ciò che l’Occidente vorrebbe per tirarsi fuori ma un tentativo ancora più violento di distruggere la Siria, dacché il sistema dell’imperialismo stesso è irrazionale, potrebbe innescare una rappresaglia da parte dell’asse contro Israele, per ciò la mossa dell’Occidente è difficile da intuire. Questo avviene perché ci sono contraddizioni tra gli imperialisti, i liberali e i fanatici, che hanno stessi obiettivi, ma i primi hanno una più larga visione di lungo-termine che i secondi, rappresentati da figure come Netanyahu, non possiedono e sono dunque suicidi.
Credo sia inevitabile che una rappresaglia – che sarebbe una rappresaglia controproducente – arriverà molto presto da parte della resistenza all’imperialismo.
Ancora, citando Malcolm X: “Non ritengo che quando un uomo viene trattato in maniera criminale, quel criminale abbia il diritto di dire a quell’uomo che tattiche utilizzare per liberarsi del criminale. Quando un criminale comincia ad abusare di me, io userò tutto ciò che è necessario per liberarmene”.
Andrea Fais
Eurasia, 6 marzo, 2012.
Eurasia, 6 marzo, 2012.
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