15 ottobre 2018 Michela Mercuri
Vladimir Putin (LaPresse)
La notizia, riportata pochi giorni fa dal The Sun,
sulla presenza di agenti del servizio d'intelligence e di membri delle
forze speciali russe in due basi militari a Tobruk e Bengasi ha
scatenato una serie di polemiche sulle reali intenzioni del Cremlino in
Libia. A poco sono valse le smentite di Mosca — e del portavoce del suo
alleato in Cirenaica Khalifa Haftar — che ha negato anche il
posizionamento di un sistema di difesa anti-missile S300 sul terreno,
altra "illazione" del tabloid britannico, basata su fonti dei servizi
segreti di Londra.
Cosa c'è di vero in questa notizia? E quali potrebbero essere i disegni libici di Putin?
Giova fare un passo indietro.
Nel marzo scorso la Reuters aveva parlato di forze speciali russe in una
base aerea di Sidi Barrani, nell'Egitto occidentale, a pochi chilometri
dal confine libico. La presenza discreta dell'intelligence russa in
Libia non è certo una novità, così come non lo è quella di forze
speciali di altri Paesi tra cui la Francia, che da qualche anno ha
piazzato nella base di Benina, a est di Bengasi, alcuni uomini delle
forze speciali. Anche la presenza americana è oramai un segreto di
Pulcinella. La task force statunitense disporrebbe addirittura di una
base nel sud della Libia per coordinare le operazioni contro le forze
jihadiste ancora sparse per il Paese. L'elenco potrebbe continuare, ma
tanto basta per capire che molti degli attori internazionali invischiati
nel teatro libico hanno da tempo più di un piede nel terreno.
Diversa sarebbe, invece, la
questione di un vero e proprio dispiegamento di armi nell'est del Paese.
Se da un lato l'alleanza russa con Haftar potrebbe essere funzionale a
soddisfare le ambizioni di Putin di uno sbocco sul mare nella Cirenaica,
per ampliare la sua influenza nell'area, dall'altro l'ipotesi che la
Russia (come riportato sempre dal Sun) "vuole trasformare la
Libia in una nuova Siria, provocando il rischio di una crisi migratoria e
petrolifera" sembra una predizione eccessivamente catastrofica. Che
interesse avrebbe Mosca a destabilizzare ulteriormente il quadro libico,
specie in un momento in cui sembrano aprirsi nuovi spiragli
internazionali per una maggiore collaborazione per la pacificazione del
Paese?
Putin avrebbe già dato un
assenso di massima alla partecipazione al vertice di Palermo sulla Libia
del 12 e 13 novembre. Qui, forte della sua alleanza con Haftar,
potrebbe giocare un ruolo nevralgico nelle trattative. Detta in altri
termini, potrebbe essere un attore molto più forte sui tavoli
diplomatici di quanto lo sarebbe con armamenti minacciosamente schierati
sul terreno. Inoltre, durante il Forum internazionale Russian energy
week, che si è svolto a Mosca dal 3 al 6 ottobre scorso, vari esponenti
di spicco delle maggiori compagnie energetiche russe hanno discusso con
il presidente della compagnia petrolifera nazionale libica Noc, Mustafa
Sanallah, di nuovi accordi esplorativi e della ripresa delle attività
nei giacimenti bloccati. Prima ancora la Noc aveva sottoscritto
importanti intese con il gigante russo Rosneft per investimenti nel
settore petrolifero libico. Non solo, lo scorso anno l'interscambio
commerciale tra la Russia e la Libia è più che raddoppiato, sfiorando i
140 milioni di dollari. Pochi giorni fa il ministro dell'economia del
Governo di unità nazionale ha annunciato l'acquisto di un milione di
tonnellate di grano dalla Russia per un totale di 700 milioni di
dollari.
Insomma, ragionando in termini
geostrategici, la Russia avrebbe tutto il vantaggio a giocare la propria
partita in Libia con gli strumenti del soft power piuttosto che con
quelli bellici. Una considerazione che certo non può essere sfuggita a
Putin.
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