10/9/2017.
Noi pensiamo che il debito si analizzi prima di tutto dalla sua
origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo.
Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano
colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre
economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i
finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini. Noi non
c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il
debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in
assistenti tecnici – anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”.
Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei
“finanziatori”. Un termine che si usa
ogni giorno, come se ci fossero degli uomini che solo “sbadigliando”
possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono
stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei
movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per
cinquant’anni, sessant’anni e più. Cioè siamo stati portati a
compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.
Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata
dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente
organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a
delle norme che ci sono completamente estranee. In modo
che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court,
di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia,
di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare
il debito.
Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è
un problema di onore. Abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo
ministro della Norvegia, intervenuta qui. Ha detto, lei che è
un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non
può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i
nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo,
saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno
condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché
guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono
il rimborso. E si parla di crisi. No, signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua.
Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare.
Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del
debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci
devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il
debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del
Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così
poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato.
Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il
dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri
combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.
Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi
è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari
diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore.
Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individi. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi
perché di fronte a queste ricchezze individuali, che hanno nomi e
cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei
bassifondi. C’è crisi
perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di
fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa
lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere
finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No! Non
possiamo essere complici. Non possiamo accompagnare quelli che succhiano
il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle
loro azioni assassine. Signor presidente, sentiamo parlare di club –
Club di Roma, Club di Parigi, Club di dappertutto. Sentiamo parlare del
Gruppo dei Cinque, dei Sette, del Gruppo dei Dieci, forse del Gruppo dei
Cento o che so io. E’ normale allora che anche noi creiamo il nostro
club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche
Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del
Club di Addis
Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba
contro il debito. E’ solo così che potremo dire, oggi, che rifiutando di
pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma, al contrario, intenzioni
fraterne.
Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa.
Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli
uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il
debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la
dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa
morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale.
La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta
il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della
Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino
di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli
che pagano, e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare.
Noi dobbiamo dire, al contrario, che oggi è normale si preferisca
riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi.
Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per
sopravvivere e per necessità. I ricchi sono quelli che rubano al fisco,
alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non
è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi
pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe, qui, che il debito fosse
semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito
uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a
pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso
come fatta da “giovani”, senza maturità ed esperienza. Non vorrei
neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo.
Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un
fatto dovuto. E posso citare, tra quelli che dicono di non pagare il
debito, dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per
esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare. Non ha la mia età,
anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand,
che ha detto che i paesi africani non possono pagare, i paesi poveri
non possono pagare. Posso citare la signora primo ministro di Norvegia.
Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo, è solo un
esempio.
Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la
mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che, quanto al suo paese, la
Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che
stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. E per questo,
d’altronde, è normale che paghi un contributo maggiore, qui. Signor
presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto
saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra
conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non
possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo
per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da
solo rifiuta di pagare il debito, io non sarò qui alla prossima
conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col
sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare
potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano
compra un’arma, è contro un africano. Non contro un europeo, non contro
un asiatico. E’ contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia
della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al
problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma, signor
presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che
possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari
fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra.
Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa,
perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo
abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a
Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per
creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove
si trovano.
Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito
di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che, a partire da
Addis Abeba, decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi
deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili.
Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani.
Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa.
Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che
produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto a mostrare
qui la cotonella, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso,
cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione e io
stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è
un solo filo che venga d’Europa
o d’America. Non faccio una sfilata di moda, ma vorrei semplicemente
dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di
vivere liberi e degni.
(Thomas Sankara, estratto dal “discorso sul debito” pronunciato al vertice panafricano di Addis Abeba, Etiopia, il 29 luglio 1987.
Un anno dopo, il 28 ottobre, Sankara verrà assassinato a Ouagadougu,
capitale del Burkina Faso, che quattro anni prima aveva liberato, con la
sua rivoluzione, dal colonialismo francese. Il presidente
dell’Organizzazione per l’Unità Africana, cui Sankara si rivolge nel
discorso, è il congolese Denis Sassou-Nguesso, mentre la citata premier
norvegese è Gro Harlem Brundtland, progressista e ambientalista. Riletto
oggi, il celebre discorso di Sankara – martire socialista della
sovranità democratica dell’Africa – è particolarmente illuminante, di
fronte alla tragedia quotidiana dell’esodo dei migranti africani).
Preso da: http://www.libreidee.org/2017/09/sankara-basta-rapinare-lafrica-col-debito-e-lo-uccisero/
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