29/8/2018
“Prima di mostrarli al Pontefice, i video sono stati (da noi) verificati”. Peccato che i redattori de L’Avvenire,
prima di presentare come “autentici” i video (e/o i fotogrammi di
questi) a Papa Bergoglio non si siano degnati neanche di dare una
occhiata a qualche sito italiano (ad esempio il blasonato Butac, che riprende una inchiesta del sito Snopes, corredata da un interessante video) che attesta come, ad esempio, la raccapricciante foto mostrata da L’Avvenire come (“Fermo immagine dal video dei lager libici”) e sbandierata anche da Repubblica (foto n. 3), non rappresenti affatto “migranti torturati nei lager della Libia” bensì tre presunti criminali catturati in Nigeria nel 2017
dalla folla prima di essere consegnati alla polizia. Del resto, non è
questa l’unica immagine fake che dovrebbe documentare le torture a
richiedenti asilo imprigionati in Libia. Ad esempio, quella,
famosissima, dei segni delle frustate sulla schiena è stata creata da un
intraprendente nigeriano, esperto in Makeup – tale Hakeem Onilogbo – che crediamo abbia fatto una fortuna vendendo foto raccapriccianti
ai media occidentali. Media che si direbbero prendano per buona
qualsiasi “documentazione dalla Libia”; come, ad esempio una
fustigazione ripresa chissà dove e che viene presentata dalla RAI come “video girato con smartphone di profughi frustati e picchiati in lager libici” o addirittura il farlocchissimo video
diffuso dalla CNN nel quale due tizi sorridenti (presunti “richiedenti
asilo in Libia”) vengono venduti come “schiavi” da un tizio
provvidenzialmente celato da un muro.
Ma tutto questo significa forse che i richiedenti asilo che si trovano
in Libia non sono sottoposti a vessazioni, detenzioni arbitrarie,
violenze? Assolutamente no. La loro condizione è drammatica, sopratutto
quando chi viene incaricato di “provvedere ad essi” sono bande di
criminali. Ad esempio, le sanguinarie “milizie di Misurata” alle quali,
nel 2017 - verosimilmente per non turbare l’esito delle elezioni
politiche dell’anno successivo - il ministro Minniti tentò di affidare (pare, in cambio di cinque milioni di dollari)
il compito di non far sbarcare più richiedenti asilo in Italia. Oggi,
le cose sono cambiate. In meglio, nonostante impazzi una campagna
mediatica senza precedenti che accusa la Guardia costiera libica di
riportare i migranti in “campi di tortura”. E chiunque si permette di
mettere in dubbio questa vulgata finisce, ovviamente, per essere etichettato come “razzista” o, addirittura, “al soldo di Salvini”.
Intanto, una precisazione. Con la distruzione dello stato libico (nel
quale, fino al 2011 lavoravano ben 1.800.000 migranti) moltissimi
dipendenti pubblici, per sopravvivere, sono stati costretti a vendersi a
qualche fazione o banda sponsorizzata dai padroni di turno. È stato
questo anche il destino della Guardia costiera libica che, fino al 2017,
si identificava con la cosiddetta Al-Bija, (dal nome del suo comandante). Nell’estate 2017 - con
l’accordo tra Gentiloni e il “nostro” presidente libico Fayez al-Serraj
- le cose cambiano. Viene estromessa la banda di Al-Bija e istituita
una zona SAR (ricerca e salvataggio) di competenza della rinata Guardia
costiera libica la quale, addestrata da personale della nostra Guardia
costiera, riceve dall’Italia e dall’Unione Europea natanti e strumenti
per potere operare. A questa situazione si accompagna un netto
miglioramento dei centri dove venivano e vengono trattenuti i
richiedenti asilo riportati in Libia dalla Guardia costiera. Centri che
attualmente sono gestiti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per
i rifugiati (UNHCR) e , nonostante un patetico appello, con l’ausilio di ONG italiane vincitrici di una gara di appalto
bandita dal Ministero dell’Interno. Nonostante l’indubbio miglioramento
della situazione garantito da questi accordi, alla fine del 2017 parte
una colossale campagna di demonizzazione della Guardia costiera libica
basata su un dossier della sorosiana Open Migration che - sia detto en passant - mai aveva speso una parola contro la Milizia di Zawiya (forse perchè, come attestato da numerose inchieste,
era quella che “riforniva” di richiedenti asilo le navi delle ONG
dirette in Italia). Campagna che ora tocca l’apice (speriamo) con la
presentazione delle fotografie al Papa.
Si rallegra, a tal riguardo L’Avvenire: "Prima
di rimandarli indietro ci si deve pensare bene" ha affermato il Papa,
proprio mentre in Italia la polemica sull'accoglienza ai migranti si fa
sempre di più nodo dolente della politica. E se i racconti di chi
sopravvive a tanta brutalità non bastano più, a parlare per loro ora ci
sono le immagini. Bisogna avere stomaco per guardarle fino in fondo: il
Papa, sempre vicino ai sofferenti, non ha esistato. Ha visto le prove: e
sa di cosa parla.”
Ma, al di là delle macchinazioni de L’Avvenire - lo ripetiamo ancora una
volta - la situazione dei richiedenti asilo in Libia (sia quelli
riportati a terra dalla Guardia costiera sia quelli lì arrivati sperando
di poter raggiungere l’Europa) resta drammatica; anche perché la Libia è
costellata da “prigioni private” dove i trafficanti rinchiudono
migranti per poi, tramite video-smartphone chiedere soldi ai loro
parenti. Una situazione determinata, principalmente dalla dissoluzione
di uno Stato e, quindi, dalla guerra del 2011 (salutata come
“umanitaria” da tanti allocchi della “sinistra antagonista” italiana).
Che fare per lenire questa situazione? “Aprire i porti italiani”, come
viene incessantemente chiesto (certamente in buona fede) da tanti della
“sinistra antagonista”? Di certo, garantire a chiunque mette piede in
Libia di essere accolto in Italia e, quindi, in Europa farebbe crescere
esponenzialmente l’afflusso di disperati in Libia con le conseguenze che
è facile immaginare. E allora cosa concretamente fare? Ci auguriamo che
la questione diventi, finalmente, argomento di dibattito e discussione
per i tanti che oggi si limitano a salmodiare accuse di “razzismo”.
P.S. Dopo che il giornale Avvenire, aveva annunciato sul suo sito la
disponibilità a far visionare - da giornalisti o blogger - i video di
torture, ho contattato la redazione del giornale che mi ha dato il
recapito telefonico di Nello Scavo, autore dell’articolo di cui sopra,
il quale mi ha specificato che i video di torture NON SONO STATI RIPRESI
all’interno di centri di detenzione gestiti dalla Guardia costiera o da
altre strutture governative libiche.
Francesco Santoianni
Preso da: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-libia_ma_quali_foto_hanno_mostrato_al_pontefice/6119_25219/
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