31/3/2018
Sono negli Usa. Compro un pacchetto di sigari e pago con carta di credito. Arrivo a casa, apro il pc per iniziare il lavoro
quotidiano e mi compare una pubblicità di sigari. Pochi giorni fa vado
nel bar di un mio amico che aveva messo in vendita su Internet una
cucina da ristorante; mi racconta la sua avventura per vendere queste
apparecchiature. Torno a casa, apro il cellulare, e mi compaiono annunci
di vendita di cucine da ristorante. Quello che mi ha sorpreso è la
rapidità con cui il dato che io avevo fornito col mio acquisto (sigari) è
stato elaborato per mandarmi una pubblicità mirata. Il tempo trascorso
dall’acquisto all’apertura del pc, infatti, era di circa trenta minuti.
Un tempo poco superiore è trascorso nell’intervallo in cui ero a casa
del mio amico e il momento in cui mi è comparsa la pubblicità delle
cucine. Ora, premetto che pur essendo un complottista convinto, non sono
affatto preoccupato che venga tracciato tutto ciò che faccio, vendo,
compro, ecc. Quando certi strumenti saranno ancora più invasivi, sarà
forse la volta buona che inizieremo a lasciare sempre più spesso a casa i
cellulari e solleveremo sempre più lo sguardo dagli schermi dei nostri
apparecchi elettronici, per volgerlo all’ambiente attorno a noi o al
cielo. Le domande che mi faccio sono due, e di altro tipo.
Innanzitutto a me pare che l’analisi dei dati che vengono
immagazzinati per dare pubblicità sia sempre più sofisticata e vada
molto al di là di quello che ci raccontano. Ci viene detto, infatti, che
Google usa decine di indicatori per mandare pubblicitàmirate,
comprese il luogo in cui siamo. E fin qui ok, lo si può intuire anche
dal fatto che ormai quasi tutti i siti ti chiedono “la tua posizione”,
quando addirittura non la individuano in automatico. Mi accorgo infatti
che se apro il pc in Francia, immediatamente mi compaiono pubblicità in francese; in Usa
mi compaiono pubblicità in inglese, e così via. Se faccio una ricerca
su Amazon compare in automatico “luogo di spedizione”, seguito dalla
nazione in cui mi trovo. A me pare invece che emerga un controllo
molto più permeante e globale, che comprende l’analisi immediata e
incrociata di tutti i dati possibili, compresi gli acquisti fatti con
carta di credito e il luogo specifico in cui ci troviamo (casa,
supermercato, indirizzo di un amico, ecc.). Non si tratta, cioè, di un
banale (si fa per dire) incrocio di dati, per rilevare la propensione al
consumo degli utenti, ma di qualcosa di molto più specifico e
permeante.
Leggendo gli esempi che pubblichiamo alla fine dell’articolo, si può intuire che questo tipo di controllo
comprende anche le cose che vengono dette a voce, e le attività
effettuate nel quotidiano che vengono registrate in molti modi. Allora
la domanda che mi pongo è: dal momento che esistono da tempo sistemi per
monitorare tramite cellulare o pc gli stati d’animo e le emozioni di
chi accede alla rete, tali sistemi sono già attivi sui nostri apparecchi
elettronici? E in che misura? Il caso Cambridge Analytica ha fatto
emergere un fenomeno molto più importante e grave della semplice
raccolta di dati per fini politici (cosa di cui nessuno dubitava): è
emerso che con i dati in possesso delle società di analisi si può
accedere non solo alle caratteristiche, ai gusti, e alle tendenze dei
fruitori della Rete, ma anche ai dati che si vorrebbero tenere nascosti
(ad esempio si può capire se una persona è sessualmente impotente, se ha
la tendenza al tradimento o meno, e ad altri dati che, in teoria, non sono
così evidenti). Detto in altre parole, da Internet si può capire non
solo ciò che scriviamo di noi, ma anche ciò che non scriviamo.
Uno dei motivi per cui sulla maggior parte dei cellulari oggi in
circolazione non si può togliere la batteria (una cosa assurda, dal
punto di vista commerciale, logico, e pratico) è che rimaniamo connessi
(quindi rintracciabili e individuabili) anche quando abbiamo il
cellulare spento. Se tutto questo è vero, sorge spontanea un’altra
domanda: perché non si utilizzano queste informazioni per la prevenzione
alle varie forme di criminalità? Perché non le si utilizzano per fare
indagini sempre più sofisticate sui crimini commessi? Il sospetto è che,
dato il funzionamento della società, essi vengano utilizzati per
commetterli, non per prevenirli o difendersi da esso. Mentre la
creazione del diritto alla privacy, come abbiamo sottolineato in un altro articolo, è solo l’ennesima presa in giro di un sistema che fa finta di tutelare i cittadini, e poi usa tali strumenti per diminuirne i diritti
anziché aumentarli. Di seguito posto quanto raccontato da persone che
conosco. Da notare che cose simili erano capitate anche a me, ma le
attribuivo alle cosiddette “coincidenze significative” di Jung. Invece
era semplice tecnologia.
SG. “Sto cercando una casa in affitto in Appennino e sabato
appunto sono andata a fare un giro in una frazione di un paesino che non
conoscevo ma che mi avevano detto essere bella. Mi sono fermata
nell’unica trattoria della zona e ho chiesto se conoscevano un signore
di cui mi avevano dato solo il soprannome dicendomi che affittava una
casa molto carina. Quindi mi fermo a parlare con due o tre persone
locali e ottengo il num di tel di questo signore. Bene, il giorno dopo,
cioè ieri, sulla mia bacheca Fb mi si aprono come al solito le
finestrine: persone che potresti conoscere” e tra di loro chi era il
primo? Uno di quei tipi con cui ho parlato neanche 5 min in quella
trattoria con cui non ci siamo nemmeno presentati e non ci siamo
scambiati nessun numero o dato!!! Come mai succede questo?? Hanno
rilevato la posizione?? Scusate l’ignoranza ma a me ha fatto un po’
impressione!!!”.
MG: “Mi è capitato solo di scrivere il nome di una marca su
Messenger, parlando con un’amica e mi sono ritrovata pubblicità di
quella marca su Fb e Google…”.
VN: “Una ragazza leggeva la storia del “piccolo principe” a suo
nipote. Non aveva cercato nulla a riguardo online, e nemmeno su Google.
Solo con la voce, e leggendo, raccontava il “piccolo principe”. Ebbene,
dopo qualche giorno, le appare su Fb un’inserzione pubblicitaria che
sponsorizzava gadget e agendine del suddetto racconto. Non si tratta
solo di ricerche che noi stessi facciamo online, ma anche dei microfoni e
delle fotocamere dei nostri cellulari super tecnologici”.
(Paolo Franceschetti, “La pubblicità e il controllo nell’era di Internet”, dal blog “Petali di Loto” del 26 marzo 2018).
Preso da: http://www.libreidee.org/2018/03/il-telefono-e-in-ascolto-sa-dove-sei-chi-incontri-e-cosa-dici/
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