venerdì, 6, aprile, 2018
di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA
All’apertura della nuova Legislatura sono avvenute due cose che hanno
sorpreso molti. Da un lato Giorgio Napolitano in un discorso del tutto
irrituale dallo scranno di Presidente (provvisorio) del Senato ha
rivendicato il diritto delle forze anti-establishment che hanno vinto le
elezioni a formare il nuovo governo, dall’altro Mario Monti in una
trasmissione televisiva ha affermato di non condividere i governi
tecnici preferendo quelli politici. Che cosa ha spinto a queste prese di
posizione? Noi crediamo che siano il segno di un timore, il timore che
una eventuale intesa di governo tra Centro-destra e M5S abbia
come conseguenza l’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta
sui gravi fatti avvenuti dal 2011 al 2014, una lente di
ingrandimento sui due personaggi che giocarono in quegli anni il ruolo
di protagonisti: per l’appunto Napolitano e Monti.
Deve anzitutto essere chiarito il ruolo che l’ex Presidente della Repubblica ebbe nel condurre alle dimissioni l’ultimo esecutivo guidato da Berlusconi,
nonostante non vi fosse stata alcuna crisi di governo, né parlamentare
né extraparlamentare. Ci sono testimonianze importantissime che
potrebbero relazionare in merito a quei fatti. Pensiamo, ad esempio,
all’ex Segretario al Tesoro della prima amministrazione Obama, Timothy
Geithner, che nel suo libro “Stress Test” parla di “alti funzionari europei” che chiesero aiuto agli americani per far cadere il governo Berlusconi.
Forse Geithner è a conoscenza di qualcos’altro. È probabile che gli
“alti funzionari europei” si siano sbottonati con lui su chi fungesse da
“garante interno” per quel progetto eversivo. Ascoltare l’ex ministro
del tesoro statunitense potrebbe essere molto utile. Così come
potrebbero essere acquisiti i video integrali registrati dal giornalista
Alan Friedman durante le interviste che fece qualche anno fa ai
protagonisti dell’epoca: Prodi, Monti, D’Alema e De Benedetti, dai quali
emerse che Napolitano – già in estate – aveva sondato
un’eventuale disponibilità di Monti nel caso in cui la situazione sui
mercati si fosse complicata. Fatto gravissimo visto che in
estate – così come anche in autunno – Berlusconi godeva della fiducia di
entrambe le Camere. Ma le responsabilità di Re Giorgio non finiscono
qui.
Attraverso un’invenzione costituzionale contraria a qualsiasi prassi,
dopo le elezioni del febbraio 2013 l’allora Capo dello Stato, nominò
una specie di “consilium principis” (come se fosse un imperatore), cioè
una commissione di “saggi” che doveva a lui relazionare su quali punti
programmatici il nuovo governo avrebbe dovuto lavorare. Una invenzione
che fa a pugni sia con la Costituzione che con la prassi costituzionale.
Una scelta che fece perdere del tempo prezioso a Bersani, il quale nel
frattempo aveva ricevuto l’incarico esplorativo, nella ricerca di un
accordo di governo col M5S. Eletto per la seconda volta al Colle,
Napolitano ha nominato Presidente del Consiglio Enrico Letta con
l’appoggio di centrosinistra e centrodestra, senza neppure consentire a
Bersani di presentarsi in parlamento per il voto di fiducia e lasciando i
5Stelle fuori dal governo, che anche cinque anni fa era uscito dalle
urne come il primo partito italiano. Ma allora Napolitano fece di tutto
per bloccare il processo democratico, cosa che oggi – per paura – invita
tutti a rispettare.
Il “grande vecchio” dovrebbe rispondere davanti alla commissione parlamentare anche per altri due fatti:
il primo è la guerra in Libia del 2011, dove Berlusconi – nonostante la
sua ferma opposizione – fu costretto ad aderire all’asse
franco-americano capeggiato da Sarkozy proprio a seguito di una moral
suasion dell’ex Capo dello Stato, la seconda è il mancato scioglimento
delle Camere nel 2014 dopo la sentenza con cui la Corte costituzionale
dichiarò l’incostituzionalità del porcellum. Napolitano liquidò la
questione dicendo che, stando alla sentenza della Corte, le Camere erano
comunque legittime ed era necessario procedere con le riforme. Una
falsità. La Consulta disse soltanto che le Camere sono organi
indefettibili, ma che a fronte di quella pronuncia avrebbero potuto
legiferare solo per gli atti urgenti e non rinviabili. E invece
Napolitano non solo non sciolse le Camere, ma diede alla Legislatura
addirittura un impulso decisivo nominando Presidente del Consiglio dei
ministri l’astro nascente del Pd Matteo Renzi, che ora critica duramente
nascondendo che il rampollo di Rignano è stata una sua creazione
politica.
Per quanto riguarda Mario Monti i fatti sono più circostanziati:
alla festa estiva della Versiliana del settembre 2016 il ministro della
giustizia Andrea Orlando (Pd) affermò che nel 2012, se il Parlamento
non avesse votato l’introduzione del pareggio di bilancio in
Costituzione, la Bce avrebbe “chiuso i rubinetti”. Affermazioni gravi
che riguardano Monti: fu lui a firmare il famigerato Fiscal Compact
(marzo 2012) che prevede zero spesa a deficit (cioè appunto il pareggio
di bilancio), e fu sempre lui il Presidente del Consiglio quando il
Parlamento approvò in seconda votazione l’introduzione in Costituzione
proprio del vincolo del pareggio di bilancio (aprile 2012). Quei due
passaggi avvennero sotto il forte impulso di Monti, che del rigore e del
pareggio di bilancio fece una vera e propria battaglia vestendo i panni
del Sacerdote dell’euro. Come dimenticare l’alto livello del
personaggio quando disse che lui era “il genero perfetto della suocera
tedesca”.
Un altro fatto sul quale Monti deve rispondere è il tradimento del suo giuramento da Presidente del Consiglio dei ministri
(adempiere alle funzioni “nell’interesse esclusivo della Nazione”). In
un’intervista alla Cnn, Monti ammise infatti: “Stiamo effettivamente
distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale”,
che in parole semplici significa: stiamo di proposito impoverendo i
cittadini italiani attraverso la morsa fiscale (la cosiddetta “cura da
cavallo”). Il tutto allo scopo di tornare ad essere competitivi
(aumentare le esportazioni rispetto alle importazioni) in un regime di
cambi fissi (l’euro), scaricando il peso di questa politica su cittadini
e imprese, attraverso – appunto – la “distruzione della domanda
interna”. Un fatto gravissimo che può configurare un’ipotesi di reato
tra quelli rubricati nei delitti contro la personalità dello Stato.
Dopo che la commissione parlamentare avrà accertato i fatti sia con
riferimento ai comportamenti di Napolitano che a quelli di Monti,
spetterà alla Magistratura avviare le indagini per verificare se i fatti
accertati dalla commissione parlamentare siano penalmente rilevanti. Ma
al di là della Magistratura, vedere nelle aule parlamentari i
principali protagonisti del disastro del Paese, interrogati e incalzati
con domande scomode sui fatti accaduti in quei tre anni di sospensione
della democrazia, sarebbe un atto di giustizia per quei milioni di italiani che hanno sofferto e pagato le conseguenze delle scellerate decisioni di Napolitano e Monti.
Preso da: http://www.imolaoggi.it/2018/04/06/occorre-una-commissione-parlamentare-dinchiesta-su-napolitano-e-monti/
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