Hillary Clinton parla davanti alla Commissione del Senato Usa sui fatti di Bengasi (LaPresse)
Nel 2011, i governi della coalizione
anti-Gheddafi, per avere mani libere, hanno mentito alle proprie
comunità nazionali ed hanno condotto una guerra di aggressione vietata
dalle rispettive costituzioni nazionali. Le mail della Clinton
pubblicate da Wikileaks il 16 marzo 2016 hanno rivelato le motivazioni
della campagna militare: il presidente Sarkozy volle così "ottenere il
petrolio libico, consolidare l'influenza nella regione, aumentare la
propria reputazione a livello nazionale, affermare il potere militare
francese e togliere l'ascendente di Gheddafi sull'Africa francofona". (Foreign Policy).
Poi, i principali attori che
hanno dato vita all'operazione Nato "Unified Protector" dopo aver
devastato la Libia con l'aiuto di una miriade di gruppi armati
caratterizzati dal radicalismo islamico, hanno lasciato che questi se la
dividessero, riconoscendo i loro rappresentanti non eletti come
"legittimi rappresentanti del popolo libico".
La devastazione e le violenze
nel paese sono proseguite per anni fino all'apparizione dei militanti
dell'Isis. Fino ad allora, la comunità internazionale è rimasta in
silenzio, lasciando il paese nel caos più totale, in balìa di ben 1700
bande armate che si contendevano il potere. Tutto è così proseguito
finché nel 2014 il generale Khalifa Belqasim Haftar, a capo del governo
di Tobruk e dell'esercito nazionale libico (Lna), non ha dato il via
all'operazione "Dignità" che mirava a neutralizzare al Qaeda e le
milizie islamiste e riprendere il controllo del territorio. Tuttavia, di
fronte ai successi del generale Haftar la risposta della comunità
internazionale è stata inaspettata: non solo si è rifiutata di fornire
un qualsiasi aiuto, ma ha fatto sapere che le due parti dovevano
"mettersi d'accordo". La motivazione di questo atteggiamento è che la
situazione era imbarazzante: gli stessi attori della coalizione
anti-Gheddafi erano impegnati a replicare una nuova "impresa" in Siria,
perciò non potevano inimicarsi gli amici libici — ovvero al-Qaida e la
Fratellanza musulmana turcofila di Misurata — che fornivano armi e
uomini alla guerriglia siriana. Successivamente, il 17 dicembre 2015,
l'Onu e la comunità internazionale hanno imposto un proprio uomo: Fayez
al Sarraj. Lo scopo principale degli sponsor del governo di al Serraj
era che il controllo della Libyan Investment Authority, della National
Oil Corporation e della Banca centrale libica fosse in mani amiche. Così
essi hanno dato vita ad un governo di "Accordo nazionale" (Gna) guidato
da al Sarraj.
In questo senso l'Italia ha
fatto la scelta di campo di appoggiare Serraj. Solo recentemente
l'Italia ha stipulato un accordo anche con Haftar, conservando comunque
l'appoggio anche al governo Serraj. La posizione italiana, prima
intransigente nei confronti di Haftar, è lentamente mutata dopo la
ripresa delle relazioni con il Cairo ed in considerazione della
riconciliazione tra i due leader libici, ottenuta grazie alla mediazione
francese. Infatti grazie all'iniziativa di Parigi, Haftar e Serraj
hanno rinunciato alla lotta armata tra rispettive forze controllate.
Inoltre i due leader hanno convenuto di indire libere elezioni entro la
primavera del 2018. Ma in attesa, Haftar non se ne è stato con le mani
in mano e alla fine di settembre ha liberato il porto di Bengasi.
Il governo di Tobruk ha
conseguito uno degli scopi principali dell'operazione Dignità: la
sottrazione alle milizie islamiste del porto di Bengasi. Sconfiggendo la
manovalanza addestrata nei campi algerini di cui la Nato si è servita
per rovesciare Gheddafi, Lna il 3 ottobre ha reso di nuovo operativo il
porto più importante della Libia per quando riguarda l'estrazione e
l'esportazione petrolifera. Questo evento, insieme alla riconquista di
Bengasi e della regione petrolifera della Cirenaica, ha tutte le
potenzialità per ridare la vitalità economica necessaria alla
ricostruzione del paese. Inoltre, Haftar ha l'indubbio vantaggio di aver
guadagnato la fiducia di molte tribù libiche e di proporsi così
favorevolmente come leadership per le elezioni del 2018.
Indubbiamente Serraj — che
rappresenta il principale punto di riferimento italiano — ha lo
svantaggio di doversi appoggiare sulle milizie filo-islamiche di
Misurata e di scontrarsi nella stessa città di Tripoli con il terzo
soggetto politico del paese: il governo guidato da Khalifa al-Ghawil e
sostenuto dal Qatar, che rivendica la legittimità politica.
E' evidente che nella forte
conflittualità interna non sono proiettate solo le conflittualità
tribali e religiose interne ma anche quelle di attori esterni che si
contendono lo sfruttamento delle risorse, ossia il 40 per cento delle
risorse petrolifere africane.
Resta il paradosso di una Libia
un tempo non afflitta dai problemi attuali, come l'estremismo islamico
ed il deficit estero, ora povera e tornata a subire la soggezione ai
vari paesi "benefattori".
In tal senso, è indicativo è il
fatto che il 19 di ottobre a Tunisi la Francia ha donato un milione di
dollari al Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) da
utilizzare per le esigenze di stabilizzazione della Libia. Si tratta
della 36esima "rata" di una donazione di complessivi 40 milioni di
dollari ancora da completare. Per quando lodevoli queste donazioni,
giudica il fatto che nel periodo pre-guerra era la Libia che sosteneva
gli altri stati africani. In realtà, il vero metro di misura
dell'altruismo occidentale sono i 150 miliardi di dollari e le 143 tonnellate di oro
della Bank of Lybia: tale è la grande disponibilità finanziaria libica
ancora bloccata dalle sanzioni dell'Onu dal 2011. Ovvero l'enorme
quantità di ricchezza occultata e resa indisponibile per la
ricostruzione.
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