Quando il Colonnello e il Comandante
lavoravano insieme per "sconfiggere l'imperialismo occidentale e creare
un mondo più bilanciato"
Di Ernesto Ferrante -
Sarebbe troppo lungo condensare “qui e
adesso”, “tutto e subito” anni di tranelli ed imboscate, opportunità
sprecate e guerre fratricide inoculate dai soliti untori, peraltro già
esaminate da varie prospettive, per cui ci limiteremo ad analizzare, in
maniera sintetica, il contributo che alla causa africana ha dato
Gheddafi e l’asse creatosi con Hugo Chavez.
La crisi del sistema turboliberista,
entrata in una fase acuta con la crisi economica del 2008, ha spinto le
potenze imperialiste, in primis la Francia di Sarkozy e Hollande e gli
Stati Uniti del guerrafondaio democratico Barack Obama, a lanciarsi
nelle guerre di “ricolonizzazione” dell’Africa.
Le tragedie della Costa d’Avorio, della
Libia e del Mali, sono state alcune delle tappe più recenti di questa
spedizione occidentale di predazione. Un rigurgito coloniale fatto di
due livelli criminali differenti: uno “armato” di mitra e bombe e
l’altro “munito” di telefoni satellitari, barconi, scafisti, broker e
sedicenti volontari non governativi. Entrambi con gli stessi micidiali
effetti: impoverimento e tribalizzazione di vaste aree e larghi strati
della popolazione e, al contempo, arricchimento di signorotti locali,
faccendieri e pescecani del mondo finanziario transnazionale.
L’esatto opposto del Continente giovane,
orgoglioso e moderno immaginato dal Colonnello massacrato sei anni fa a
Sirte dai traditori di un Paese e di un sogno, nascosti dietro la sigla
Consiglio (anti)nazionale di transizione e sostenuti militarmente,
economicamente ed “ideologicamente” dalle orde salafite, dai satelliti
petro-monarchici e da celebrati riferimenti della gauche caviar quali
Jean Ziegler, Illan Pappé, Tariq Alì, Samir Amin e soprattutto Bernard
Henry Levy.
Dire Gheddafi è dire Fondo Monetario
Africano, alloggi popolari decorosi, Banca Centrale Africana,
telecomunicazioni moderne, trasporti integrati, Stati Uniti d’Africa. La
Grande Jamahiriya Araba Libica Popolare e Socialista del colonnello,
amato quando doveva salvare banche e aziende di casa nostra e poi
ripudiato da Berlusconi e dal centro-destra-sinistra a telegiornali ed
appetiti unificati per garantirsi i favori dello Zio Sam, non aveva
debito pubblico, mentre sotto questo gigantesco macigno crollano le
potenze democratiche occidentali seppellendo i propri popoli.
La guerra di rapina condotta contro la
Libia e la sua occupazione da parte delle potenze imperialiste, anche
per il tramite delle bande salafite, oltre al furto del petrolio ha
portato anche al saccheggio di 200 miliardi di fondi sovrani libici
depositati in banche occidentali e 15mila tonnellate d’oro della Banca
centrale libica. Gli otto mesi di intensi bombardamenti NATO hanno
distrutto le infrastrutture strategiche.
Con il pretesto della ricostruzione, le
imprese occidentali in crisi, soprattutto quelle francesi, hanno avuto
una boccata d’ossigeno. Le sovrafatturazioni dei lavori hanno fatto
sprofondare la nuova Libia “democratizzata” nella spirale infernale del
debito pubblico illimitato. Proprio quello che il colonnello,
assassinato insieme a 100mila suoi compatrioti, ha sempre voluto evitare
con la lotta antimperialista per la liberazione dell’Africa e quel
sogno romantico e visionario che risponde al nome di Stati Uniti
d’Africa (SUA).
Un insieme di paesi sovrani potenti,
prosperi e capaci di difendersi da ogni aggressione esterna e di
competere sullo scacchiere internazionale con gli altri attori.
Gheddafi aveva capito prima di molti
altri che i singoli stati non avrebbero potuto resistere da soli
all’offensiva su larga scala del mondialismo turbocapitalista.
La Grande Jamahiriya Araba Libica
Popolare e Socialista era un paese prospero. La popolazione possedeva il
livello di vita più elevato dell’Africa e un grado di sviluppo
economico molto avanzato. La politica economica per l’Africa di Gheddafi
è stata contraddistinta dagli ingenti investimenti della Libya Arab
Africa Investment Company (LAAICO) nei paesi a sud del Sahara e dalla
destinazione di ingenti risorse al potenziamento delle infrastrutture e
all’ammodernamento dei settori bancario, agricolo, alberghiero,
energetico, turistico, dei media, delle telecomunicazioni e del
trasporto aereo.
Nel settore del trasporto aereo, per
rompere il monopolio delle compagnie europee, è stata creata la
compagnia aerea Afriqiyah il cui logo è “9.9.99”, data della nascita
dell’Unione africana (UA) a Sirte, che ha sostituito la vecchia “Air
Africa”, in fallimento. Al leone di Qasr Abu Hadi è legata anche la
rivoluzione nel mondo delle telecomunicazioni, con il lancio del primo
satellite africano per telecomunicazioni (Rascom 1), avvenuto il 26
dicembre 2007. Con un impegno di 300 milioni su un totale 400 milioni di
dollari, è stato spezzato il monopolio dell’affitto del satellite
europeo Intelsat per la telefonia, che costava ai popoli africani 500
milioni di dollari l’anno. Il costo di una conversazione telefonica in
Africa era il più caro al mondo a causa di questa soprattassa.
Nel campo finanziario e monetario,
Gheddafi ha dato inizio ad importanti progetti: la creazione del Fondo
Monetario Africano (FMA), della Banca Centrale Africana (BCA) e della
Banca Africana degli Investimenti (BAI). Strumenti formidabili per
consentire all’Africa di liberarsi del giogo del FMI, dei tassi
micidiali dei suoi prestiti finanziari e del regime coloniale di
asservimento imperniato sul “franco della comunità finanziaria
africana”.
Tra i sogni di Muammar Gheddafi, uno dei
più ricorrenti era quello di fornire acqua fresca a tutti i libici e
per rendere la Libia autosufficiente nella produzione alimentare. Fin
dai suoi primi passi, il governo della Jamahiriya ha proceduto alla
nazionalizzazione delle compagnie petrolifere, destinando buona parte
dei proventi dell’oro nero alla costruzione di centinaia di pozzi. I
primi studi di fattibilità risalgono addirittura al 1974. Nel 1983 fu
istituita l’Autorità del Grande Fiume Artificiale, un progetto
finanziato interamente dal governo e programmato in cinque fasi, senza
oneri a carico del popolo o prestiti internazionali. Su carta, il costo
del progetto era di quasi 30 miliardi dollari. Nel 1996, durante
l’apertura della seconda fase del progetto del Grande Fiume
Artificiale, Gheddafi disse: “Questa è la risposta più grande
all’America e a tutte le forze del male che ci accusano di coinvolti nel
terrorismo. Noi siamo solo coinvolti nella pace e nel progresso.
L’America è contro la vita e il progresso, e spinge il mondo verso
l’oscurità”.
Al tempo dell’aggressione guerra guidata
dalla NATO contro la Libia nel 2011, erano state completate già tre
fasi del progetto Grande Fiume Artificiale. La prima e più importante ha
consentito la fornitura di due milioni di metri cubi di acqua al giorno
attraverso la super conduttura di 1.200 km da Bengasi a Sirte,
inaugurata nell’agosto del 1991. Con la fase due, la fascia costiera
occidentale e Tripoli hanno potuto beneficiare di un milione di metri
cubi di acqua al giorno. La terza fase prevedeva l’espansione del
sistema esistente e la possibilità per Tobruk e la costa di avere un
nuovo sistema di pozzi. I “fiumi” pensati dagli ingegneri libici, sono
una rete di 4000 chilometri di tubi in cemento di 4 metri di diametro,
sepolti sotto le sabbie del deserto per evitare l’evaporazione. I numeri
sono impressionanti non solo per i parametri africani: 1.300 pozzi,
500.000 sezioni di tubo, 3.700 chilometri di strade e 250 milioni di
metri cubi di scavo. Indipendenza idrica ma anche autarchia: tutto il
materiale utilizzato per l’opera è stato prodotto localmente. Il Grande
Fiume Artificiale, una volta ultimato, avrebbe consentito di ottenere
circa 155.000 ettari di terra da coltivare, rendendo “il deserto verde
come la bandiera della Jamahiriya libica”, per usare le parole di
Gheddafi.
Durante i bombardamenti del 2011, sono
stati colpiti dalle bombe il Grande Fiume, le sue condutture di
alimentazione nei pressi di Brega e la fabbrica che produce i tubi per
ripararlo. La fornitura di acqua per il 70% della popolazione, sia per
uso domestico che per l’irrigazione, è stata compromessa.
Le “colpe” gravi di Gheddafi sono
facilmente riassumibili: La Libia era l’ultimo nell’elenco dei Paesi
indebitati (il debito era il 3,3% del PIL, un’inezia rispetto al paese
aggressore (la Francia) dov’è è l’84,5%. La luce e l’acqua calda erano
gratuite, il prezzo di un litro di benzina era di 0,08 euro, le banche
libiche prestavano senza interesse, i cittadini non pagavano tasse, ogni
famiglia libica, su presentazione del libretto di famiglia, riceveva
l’equivalente di 300 euro di aiuti al mese, ad ogni studente meritevole
che voleva studiare all’estero, il “governo” dava una borsa di studio di
1627,11 euro al mese.
Il sogno africano del Colonnello diventa scintilla nel cuore del Comandante Hugo Chavez
“Siamo nelle condizioni di poter
sconfiggere l’imperialismo occidentale e creare un mondo più
bilanciato”. Così Chavez, il 22 ottobre 2010. parlando dell’integrazione
tra gli Stati dell’Africa e dell’America Latina, della promozione del
fronte sud-sud con il colonnello.
In una bellissima lettera, diretta al
terzo summit America Latina-Africa (25 febbraio 2013), il presidente del
Venezuela, Hugo Chavez, tornava sui legami storici e sulla comunanza di
destini tra America del Sud ed Africa, per troppi anni incatenate dallo
schiavismo, dal colonialismo e dall’imperialismo.
Nella missiva letta all’insieme di
delegazioni dal ministro degli Esteri Elias Jaua Milano, il Comandante
scriveva che “America del Sud e Africa sono uno stesso popolo. Si riesce
a comprendere la profondità della realtà sociale e politica del nostro
continente, nelle profondità dell’immenso territorio africano, dove,
sono sicuro, ha avuto origine l’umanità”.
“Gli imperi del passato, continuava il
leader venezuelano, colpevoli del sequestro e dell’assassinio di milioni
di figli e figlie della madre Africa, col fine di alimentare un sistema
di sfruttamento schiavista nelle sue colonie, seminarono nell’America
Latina sangue africano guerriero e combattivo, che è arso dal fuoco che
produce il desiderio di libertà. Questa semina è germogliata, e la
nostra terra partorì uomini della grandezza di Toussaint Louverture,
Alexander Petion, Josè Leonardo Chirino, Pedro Camejo, tra gli altri,
dando come risultato, da più di 200 anni, l’inizio di un processo
indipendentista, unionista, antimperialista nell’America Latina e
Caraibica. Coloro che in passato ci conquistarono, accecati dalla loro
sete di potere, non seppero percepire che il colonialismo barbarico che
ci imponevano, si sarebbe convertito nell’elemento fondatore delle
nostre prime indipendenze”.
L’auspicio e la memoria storica
diventano manifesto politico: “se l’America Latina e Caraibica assieme
all’Africa condividono un passato di oppressione e schiavitù, oggi più
che mai, siamo figli dei nostri libertadores e delle loro gesta,
possiamo dire, dobbiamo dirlo con convinzione e fermezza, ci unisce
anche un presente di lotta irrinunciabile per la libertà e definitiva
indipendenza delle nostre nazioni. Non mi stancherò di ripeterlo: siamo
uno stesso popolo. Siamo obbligati a incontrarci, oltre alla formalità e
i convenevoli, in uno stesso sentire delle nostra unità, e assieme dare
vita all’equazione che verrà applicata nella costruzione delle
condizioni che ci consentono di togliere definitivamente i nostri popoli
dal labirinto nel quale furono cacciati dal colonialismo e in seguito
dal capitalismo neoliberale del XX secolo. I tempi che vive il mondo
attualmente ci obbligano a dedicare le nostre più profonde e urgenti
riflessioni allo sforzo che richiede la trasformazione dell’ASA in uno
vero strumento generatore di sovranità e sviluppo nel sociale,
nell’economia, nella politica e nella tutela ambientale. Nei nostri
continenti dove si trovano sufficienti risorse naturali, politiche e
storiche, che servono per salvare il pianeta dal caos in cui è stato
condotto. Non perdiamo l’opportunità che il sacrificio indipendentista
dei nostri predecessori ci offre al giorno d’oggi, di unire le nostre
capacità per condurre le nostre nazioni verso un autentico polo di
potere, che, per dirlo con le parole del padre Libertador Simon Bolivar,
sia più grande per la sua libertà e gloria che per la sua estensione e
ricchezze”.
Il giorno dopo la sua rielezione nel
2012, Hugo Chavez, intervenendo sulla situazione della Siria e della
Libia, parlava di “crisi pianificate, provocate e prodotte dall’esterno”
e di “un mondo entrato in una nuova era imperiale”.
E sui leader europei e le ragioni
dell’intervento in Libia: “Le riserve monetarie della Libia erano 200
miliardi di dollari in un paese di sei milioni di abitanti. I leader
europei mi ha hanno chiesto con insistenza: perché non parli con
Gheddafi per mettere parte delle sue riserve nelle nostre banche? E alla
fine gliel’hanno rubate. Le riserve nazionali della Libia sono
scomparse. Che cinismo. 200 miliardi di euro sono cadute a fagiolo per
la crisi europea. L’hanno fatto passare per i conti personali di
Gheddafi, ma erano i conti della Libia e ora sono nelle banche europee o
americane”.
La conclusione di Chavez era di quelle
che distinguono il semplice governante dal grande statista, il burocrate
dal leader: “Se solo in questo mondo arrivasse l’era dell’umanità…”.
Un’era probabilmente ancora lontana ma
non lontanissima. L’esito delle elezioni regionali in Venezuela,
nonostante tutte le ingerenze esterne, e le tante commemorazioni in ogni
parte del globo del Colonnello Gheddafi, a sei anni dal suo assassinio,
dimostrano che non tutto è perduto.
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