
Lo chiamano il “ghetto di Alì” a Sabha, una fortezza nel deserto nel sud est della Libia, mura alte e filo spinato, miliziani armati di mitragliatrici lungo tutto il perimetro, dentro due gironi danteschi, uno per uomini, l’altro per donne e bambini, dove da mesi vengono tenuti prigionieri un migliaio di migranti, sottoposti a violenze di ogni genere, torture in diretta telefonica con le famiglie rimaste nei villaggi, filmate e inviate per spillare altri soldi. Il mare, il miraggio di quella costa dove sono diretti per imbarcarsi su un gommone fatiscente o su una qualsiasi carretta che li porterà in Italia, è ancora molto ma molto lontano da lì, quasi 800 chilometri. E’ la prigione “privata” dei trafficanti di uomini, impenetrabile e feroce, quella in cui le milizie delle organizzazioni criminali che portano in Europa centinaia di migliaia di migranti, torturano, violentano, stuprano, uccidono senza pietà: qualsiasi cosa pur di incassare, e su banche estere, altri soldi, un riscatto per la vita di uomini, donne e bambini rapiti nel deserto lungo la rotta del centro Africa, Costa d’Avorio-Burkina Faso- Niger-Guinea Bissau, o portati lì con l’inganno da presunti mediatori del viaggio.
Chi può paga e, se resiste, nel giro di qualche mese è fuori con segni indelebili sul corpo e nella mente, chi non può viene ucciso. Chi prova a scappare viene stroncato alle spalle da colpi di mitragliatrici.
“Eravamo in mezzo al deserto – racconta uno dei prigionieri sopravvissuti – era una grande struttura, recintata con dei grossi e alti muri in pietra, costantemente vigilata da diverse persone, di varie etnie, in abiti civili e armati di fucili e pistole. La struttura è suddivisa in tre blocchi: nel mio eravamo 200 migranti di varie etnie…Giunti nel ghetto, i membri dell’organizzazione ci dissero che avremmo dovuto fargli pervenire, altri 1200 euro per essere liberati. Ogni giorno telefonavano alla mia famiglia e mentre avanzavano le richieste di denaro mi torturavano e seviziavano in maniera tale da fargli sentire le mie urla strazianti”. Migranti appesi a testa in giù flagellati con tubi di gomma in tutto il corpo, i “ribelli” trattati con cavi elettrici applicati nelle parti intime, donne stuprate e seviziate. “Durante la mia permanenza nel ghetto, da dove è impossibile uscire, ho visto uccidere persone. So che mio cugino e altri hanno provato a scappare e che sono stati ripresi e ridotti in fin di vita. Temo che anche lui sia stato ucciso”.
Un altro migrante spiega l’inganno con cui uomini e donne che hanno già pagato per il viaggio verso l’Italia finiscono nel ghetto. “Sono partito dalla Costa d’Avorio e in Niger ho conosciuto un facilitatore. Lo abbiamo pagato per raggiungere Tripoli. Eravamo circa cento. Malgrado gli accordi erano di condurci a Tripoli, siamo arrivati a Sabha nel deserto dopo quattro giorni. Ci dissero che saremmo rimasti lì solo un paio di giorni, ma eravamo in prigionieri. All’interno della grande recinzione ci hanno perquisiti e spogliati di qualsiasi nostro avere. Vi era un grande muro in pietra alto tre metri, all’interno quattro containers, tre per gli uomini e uno per le donne. Eravamo quasi 800 persone. Il carcere era vigilato ininterrottamente da guardie armate di fucili mitragliatori. Porto ancora addosso i segni delle violenze fisiche subite, in particolare delle ustioni dovute all’acqua bollente che mi versavano addosso. Sono rimasto lì cinque mesi fino a quando i miei familiari non hanno versato su Money gram la somma richiesta per riscattare la mia libertà”.
Preso da: http://www.repubblica.it/cronaca/2017/04/14/news/sabha_il_lager_dei_migranti_nel_deserto_della_libia-162951614/
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