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mercoledì 5 novembre 2014

Sbarcati dalla Libia, ora i profughi lavorano per la comunità

Sulzano, i dodici richiedenti asilo politico per tutta la mattina hanno pulito le vie e i giardinetti del paese

di Milla Prandelli
Sulzano (Brescia), 30 ottobre 2014 - Alfa, Pamusa, Alì, Usmane e altri otto ragazzi provenienti da Gambia, Mali, Nigeria e Senegal sono stati fortunati, perché a Sulzano hanno trovato quella che ieri ci hanno raccontato essere la loro “nuova” famiglia italiana, ovvero i volontari del locale circolo di Legambiente. Ospiti all’albergo Alpino, i dodici richiedenti asilo politico ieri per tutta mattina hanno pulito le vie e i giardinetti del paese dove sono arrivati dopo essere partiti dalla Libia qualche mese fa. «Sulzano e soprattutto i volontari ci hanno accolto molto bene – racconta Pamusa, 18 anni – per questo motivo abbiamo deciso di impegnarci. Quando ci hanno chiesto di aiutarli a pulire alcune aree del Comune abbiamo accettato tutti. Speriamo che questo ci faccia conoscere anche gli altri abitanti. Qui ci è stata data una casa. Siamo grati a tutti».

Da quando sono arrivati, nel mese di agosto e non senza polemiche, i giovani africani sono costantemente seguiti dal circolo ambientalista, i cui membri li accompagnano a sbrigare pratiche, fare acquisti e persino a scuola. «Grazie alla disponibilità del Comune per due volte la settimana i ragazzi vanno a scuola nella sala civica – spiega Dario Balotta di Legambiente – Inoltre fanno sport, vanno all’oratorio e chi è di culto cristiano segue le Sante Messe. Non solo, perché i ragazzi volontariamente ci hanno chiesto di fare alcune attività che siano utili al paese. Cercano di non stare con le mani in mano, aiutando anche il proprietario dell’hotel».
Le storie dei 12 ragazzi sono tutte diverse, anche se in comune hanno la disperazione e la sofferenza. «In Libia – racconta Alfa – lavoravo. Poi mi hanno tolto i documenti e una sera mi hanno gettato in un barcone. Non sapevo che sarei arrivato in Italia. Ho dovuto fuggire dal mio paese per motivi politici». «Io che non ho la mamma e il papà, sono morti – conclude Pamusa – qui ho trovato dei genitori e dei fratelli italiani. Spero di rimanere qui, dove ci sono paesaggi meravigliosi e di trovare presto un lavoro. Il mio più grande desiderio è lavorare».

Fonte: http://www.ilgiorno.it/brescia/profughi-libia-1.352136

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