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venerdì 7 novembre 2014

Samia, scampata al naufragio: «Sette ore a nuotare in acqua con mia figlia in spalla»

In fuga dalla Libia, madre e figlia sono in via Aldini dopo un naufragio nel Mediterraneo. La donna ha nuotato con la bambina sulle spalle: quella notte morirono in 140 nel Canale di Sicilia. Samia e Sandra puntano ora ad andare in Germania

di Nicola Palma
Milano, 16 ottobre 2014 - A vederla così minuta non lo diresti proprio. Quasi stenti a credere che questa donnina di quaranta chili scarsi sia riuscita a resistere in acqua per sette ore: «Ho pregato Dio: salva me e la mia bambina». Oggi Samia e la piccola Sandra sono a Milano, ospitate nel centro d’accoglienza di via Antonio Aldini. Due dei 45.876 profughi finora assistiti dal Comune col determinante aiuto di volontari come Gianluca, che si è preso subito a cuore il caso della trentaduenne nordafricana: «Magari tra qualche giorno partiranno e non le vedrò più – si commuove – ma sarò stato comunque felice di averle conosciute». Samia annuisce. Un po’ d’italiano lo capisce, anche se è il francese la sua lingua madre. Originaria del Marocco, ha vissuto per anni in Libia: «Mi occupavo di vendere biglietti per alcune compagnie aeree». Un buon lavoro. Poi, però, è arrivata la guerra. E la voglia di sfuggirvi a qualsiasi costo. Correndo qualunque rischio. «Non volevo che mia figlia crescesse in Africa».


Il viaggio costa carissimo: 3mila euro. E il mezzo è obbligato: due striminziti strapuntini su uno dei tanti barconi che solcano il Canale di Sicilia timonati da scafisti senza scrupoli. «Ho racimolato il necessario – inizia la storia – e a mezzanotte siamo salite a bordo con altre 263 persone». Nessuno ha il giubbotto di salvataggio: «Ci avevano promesso che lo avremmo trovato a bordo, poi invece ci hanno detto che avremmo dovuto pagare altri 300 euro». Niente da fare: «Tutti avevano finito i soldi, praticamente nessuno ha potuto comprarlo». Si parte comunque. Ma la traversata dura pochissimo: «Attorno all’1.30 il natante si è ribaltato: siamo finiti in mare». Samia inizia a nuotare. Al buio. Tra gambe e braccia che cercano affannosamente di allontanare il baratro: alla fine moriranno in 140. «Mi sono messa Sandra sulle spalle e siamo riuscite, non so come, ad approdare alle 8 del mattino sulla spiaggia di Zuwarah».

Ancora in Libia, sulla costa nord-occidentale. Nuova odissea. Senza denaro in tasca, però. Samia contatta un altro traghettatore e lo convince a farsi trasportare gratis dall’altra parte del Mediterraneo. «Ci siamo radunati attorno all’una di notte e siamo salpati alle tre». Orario previsto per l’arrivo: le 12 del giorno dopo. Macché. Il mare è in burrasca, il battello vaga senza sosta. E senza meta. Qui il racconto si fa un po’ confuso: «Abbiamo incrociato una nave russa: gli uomini dell’equipaggio ci hanno suggerito di contattare un’altra imbarcazione dove, a loro dire, c’erano persone della Croce Rossa. Poi siamo stati effettivamente salvati da un battello italiano, ma ricordo solo che le persone che ci hanno aiutato avevano sulla tuta blu un 3 e una M».

Tra mille peripezie, Samia e Sandra sono in Italia: «Dalla Sicilia abbiamo raggiunto Crotone e da lì siamo giunti qui in autobus». Conferma Gianluca: «Sono arrivate l’altra notte su due pullman carichi di rifugiati». E ora? «L’Italia è bellissima, ma ci sono troppi arabi... – sorride la donna – Voglio andare in Germania». Come? «In treno fino a Verona e poi in Austria: sto prendendo informazioni dai siriani, mia mamma mi ha detto che è meglio non passare dalla frontiera francese perché c’è tanta polizia». Documenti? «Ho perso ogni cosa, non ho più nulla, ma me la caverò». Sandra sgrana gli occhi divertita. «La vedi, lei è tutta la mia vita. E quella notte in mare Dio ha voluto che sopravvivessimo entrambe alla tempesta». nicola.palma@ilgiorno.net

Preso da: http://www.ilgiorno.it/milano/profughi-salvi-miracolo-1.307876

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