Reportage da Ras Jdir, lungo la linea che divide i due paesi dove c'è un campo per rifugiati. In pochi hanno compiuto la scelta dura di restare nella desolazione di Choucha: l'area è stata infatti abbandonata dalle Nazioni Unite e da tutte le organizzazioni internazionali intervenute nei due anni di emergenza
di MAURO MONDELLO 23 ottobre 2014
CHOUCHA (confine Tunisia- Libia) - L'auto percorre l'ultimo tratto di strada in mezzo ad una implacabile tempesta di sabbia. Da almeno 30 chilometri ormai il paesaggio intorno non regala che un'infinita distesa di terra deserta: siamo a pochi passi da Ras Jdir, la linea di frontiera che apre le porte della Libia, in un luogo perduto nel quale, ormai da 3 anni, un centinaio di uomini e donne lottano per sopravvivere. Lo chiamano Choucha, questo pezzo dimenticato di mondo nel Sud profondissimo della Tunisia, un cumulo di tende malmesse, fatte di tela e di stracci, nelle quali vivono gli ultimi profughi della guerra libica.
Non a caso sono qui. È proprio qui infatti che nel febbraio del 2011, durante l'emergenza rifugiati seguita alla rivolta contro il regime del colonnello Gheddafi, ( cioè l' aggressione NATO/RATTI contro la Libia) l'Alto Commissariato per le Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) insediò uno dei campi profughi più grandi di sempre: si calcola che nei due anni e quattro mesi di operatività il presidio di Choucha abbia ricevuto quasi 3 milioni di persone in fuga dal conflitto in Libia. Per mesi i funzionari delle Nazioni Unite si sono impegnati in un complicato lavoro di indicizzazione delle migliaia di esseri umani arrivate nel campo: fuggire da una guerra non era infatti considerato abbastanza, così si è provveduto a distinguere gli uomini e le donne fra profughi, quindi in fuga da una guerra, da una persecuzione etnica, da un'oggettiva condizione di disperazione, e migranti, mossi invece dalla sola ricerca di una migliore condizione economica. I primi sono stati via via imbarcati verso una nuova avventura, in uno dei paesi che ha accettato le loro richieste di asilo; ai secondi è stato invece offerto il rimpatrio volontario nei paesi d'origine. Molti, anziché attendere un responso ufficiale, hanno preferito prendere uno dei barconi in partenza dalla costa libica, nella speranza di raggiungere l'isola di Lampedusa.
Nel campo non c'è più acqua né corrente elettrica. Alcuni, pochi a dire il vero, hanno compiuto la scelta più dura, restando nella desolazione di Choucha: il campo è stato infatti abbandonato dalle Nazioni Unite e da tutte le organizzazioni internazionali intervenute nei due anni di emergenza il 30 giugno 2013. Da allora sono stati tagliati acqua, elettricità e ogni servizio di assistenza, fra cui anche l'infermeria medica. "Vengo dalla Somalia, dal mio paese me ne sono andato quando ero ancora un ragazzino. Vivevo in Libia da diversi anni quando è scoppiata la guerra e sai qual è stata la mia unica colpa? Quella di provare a resistere. Sono arrivato qui a Choucha quando ormai era troppo tardi, o almeno così mi hanno detto. Troppo tardi per cosa? Per vivere? Per reclamare il mio diritto ad esistere in questo mondo? - racconta Ayud, 34 anni, di Kismayo, una città nel sud della Somalia dilaniata dalla guerra civile e dalle battaglie fra milizie islamiste ed esercito nazionale - Mi hanno offerto di tornare nel mio paese, ma io in Somalia non ci posso andare, c'è la guerra lì! Sono rimasto a Choucha perché ho il diritto di vivere e non voglio prendere una barca e rischiare di morire, per dimostrare cosa, che sono vivo? Io sono qui adesso, e pretendo che qualcuno mi ascolti: siamo essere umani, ma ci trattano peggio di bestie."
Ora l'area è controllata dall'esercito tunisino. Dal giugno del 2013 ad oggi la responsabilità del campo di Choucha è passata nelle mani dell'esercito tunisino, che di fatto si limita a controllare la zona con un pattugliamento costante e senza offrire alcun supporto umanitario. Nelle scorse settimane la Croce Rossa Internazionale e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni hanno confermato l'intenzione delle autorità tunisine di sgomberare la tendopoli per ragioni di sicurezza. Per i 114 occupanti di Choucha resteranno allora poche opzioni. La permanenza in Tunisia appare difficile, sia per le complicate condizioni economiche e politiche in cui versa il paese, ancora alla ricerca di stabilità dopo la rivoluzione del 2011, che per la mancanza di una legge nazionale che disciplini il diritto di asilo. Agli uomini e alle donne di Choucha non resterà quindi che rientrare in Libia o salpare su un barcone con destinazione Lampedusa. Per dimostrare, un'altra volta, di essere ancora, prima che profughi o migranti, esseri umani.
Preso da: http://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2014/10/23/news/tunisia-98844853/
Nessun commento:
Posta un commento