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sabato 16 marzo 2013

La prevedibile deflagrazione della Libia

Pubblicato il: 10 marzo, 2012
Analisi / Esteri | Di Ettore Chiorra

La prevedibile deflagrazione della Libia

Anche se la guerra in Libia è ormai uscita dal panorama mediatico del nostro Paese, i conflitti non sono terminati e anzi si potrebbe tranquillamente parlare di una guerra civile in atto. Dalla fine della guarra, la Libia è nel caos più totale. La distruzione portata dai bombardamenti della NATO, richiesti a gran voce dai ribelli, ha sventrato intere aree del Paese che ancora non sono state ricostruite, lasciando sfollate migliaia di persone costrette a vivere in vere e proprie città fantasma, degne delle più terrificanti scenografie cinematografiche. La microcriminalità dilaga e la popolazione libica è terrorizzata dall’assoluta mancanza di sicurezza dovuta anche alla imperante corruzione dei nuovi funzionari amministrativi. Gli scontri tra le centinaia di tribù presenti sul territorio, che avevano convissuto pacificamente per oltre quarant’anni sotto il governo di Gheddafi, crescono esponenzialmente aumentando l’insicurezza della popolazione vittima di attacchi e scorrerie delle varie fazioni.
 Numerose ONG hanno inoltre denunciato l’uso di cruente torture nelle carceri libiche, ormai stracolme di prigionieri privati della libertà e dei diritti più basilari senza un’accusa formale. Nella cittadina di Tawerga vi è stato un vero e proprio massacro ai danni della popolazione nera, accusata di essere leale all’ex Rais. La situazione va peggiorando ma l’esecutivo aveva già inviato segnali preoccupanti a inizio gennaio quando Muṣṭafā ʿAbd al-Jalīl, presidente ad interim della Libia, ha dichiarato che nel Paese vi era il forte rischio che si scatenasse un conflitto tra i lealisti dell’ex Rais e i ribelli: un conflitto che avrebbe innescato automaticamente una guerra civile. A testimonianza degli scontri e delle violenze, che continuano nel territorio libico, vi è il caso di Bani Walid, una piccola cittadina libica conquistata per qualche ora dai lealisti di Gheddafi, poi sconfitti dalle milizie del Consiglio Nazionali di Transizione. A tre mesi dalle dichiarazioni di Jalil, l’ANSA – rilanciando una notizia di Russia Today – ha divulgato una nota dal contenuto ancor più sconcertante: “Migliaia tra rappresentanti delle tribù e comandanti delle milizie libiche hanno proclamato oggi a Bengasi l’indipendenza della Cirenaica in una cerimonia ufficiale. I rappresentanti hanno eletto un congresso regionale e ratificato la formazione di un esercito indipendente. La decisione é stata assunta a un incontro a cui hanno partecipato almeno 2.000 persone.”
Questa divisione dello Stato libico cambia, e non di poco, gli equilibri nel Nord Africa, indebolendo ulteriormente una regione già estremamente provata dalla primavera araba. Ovviamente dietro la scusa dei conflitti etnico-tribali si celano come al solito degli interessi economici. Anche se ormai il Paese è stato assoggettato ai voleri occidentali è sicuramente più facile e redditizio controllare e intrattenere relazioni commerciali e politiche con due Stati piccoli e deboli piuttosto che con uno Stato più grosso. È lo stesso copione già scritto all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, e portato avanti da una ventina d’anni che ha visto il suo culmine con la frammentazione della Jugoslavia, da cui il termine di “balcanizzazione”. Lo scenario si è riproposto anche nel 2011 con la divisione del Sudan e in molti vorrebbero vederlo applicato anche al caso del Tibet, dello Xinjiang e del Caucaso russo. La creazione di realtà nazionali sempre più piccole e fragili, che nascono direttamente sotto l’ala protettrice dell’Occidente, è un leit-motiv che accompagna la sorte di tutti i Paesi ostili alle potenze occidentali, o potenzialmente tali. In questo contesto è di vitale importanza rilanciare lo studio e l’analisi geopolitica, una delle poche armi di salvezza per quelle popolazioni e unico strumento di comprensione per chi fortunatamente non si trova a vivere in quelle realtà.
Il tragico episodio della Libia ci fornisce l’occasione di comprendere come l’analisi geopolitica sia uno strumento prezioso nelle mani di chi mira a sconfiggere l’imperialismo. Fra i tanti testi dedicati a questo complesso fenomeno globale, è senz’altro opportuno leggere l’illuminante libro di François Thual, ex funzionario del ministero francese della Difesa, dal titolo “Il Mondo Fatto a Pezzi”, pubblicato in Francia nel 2002 e in Italia nel 2008 dalla casa editrice All’insegna del Veltro. L’ultimo capitolo del libro – “Verso nuove frammentazioni?” – prende in esame la possibile ridefinizione di nuovi Stati e riporta una frase che potrebbe suonare apocalittica ma che in realtà è figlia di un attento studio delle dinamiche geopolitiche globali: “In Cirenaica, sul tracciato delle vecchie reti senussite, l’agitazione islamista potrebbe provocare l’esplosione di un paese artificiale e recente come la Libia. Nella Cirenaica si concentrano le ricchezze petrolifere; e il regime di Gheddafi irrita certe capitali occidentali che non vedrebbero male una divisione della Libia”. Dieci anni prima degli eventi che hanno sconvolto la Libia c’era già chi parlava di una possibile frammentazione del Paese, mettendo in luce il ruolo che certe potenze dominanti avrebbero potuto giocare su questo campo. Oggi come non mai è necessario riavvicinarsi alla geopolitica come strumento di lotta non solo culturale all’imperialismo, tenendo bene in mente le parole di Ernesto Massi che, appena due anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, scriveva: “La geopolitica è prassi prima di essere dottrina; i popoli che la praticano non la studiano; però quelli che la studiano potrebbero essere indotti a praticarla: é perciò logico che i popoli che la praticano impediscano agli altri di studiarla”.

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