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venerdì 29 marzo 2013

Libia, venti detenuti torturati per ore

di Riccardo Noury - 9 Giugno 2012

La Libia è ancora lontana dal ripristino dello stato di diritto. L'ultimo episodio, accertato da Amnesty International, è avvenuto nella prigione di Ain Zara, già nota ai tempi di Gheddafi. 20 detenuti sono stati picchiati e torturati con bastoni e tubi di gomma. E le denunce non si fermano



Riccardo Noury La settimana che si sta concludendo dimostra ancora una volta quanto la Libia sia lontana dal ripristino dello stato di diritto e del controllo delle autorità centrali: occupato l'aeroporto internazionale di Tripoli (nella foto), rinviate le elezioni, l'attentato a Bengasi e, per quello che riguarda in particolare questo post, la scoperta di nuovi casi di tortura.

L'ultimo, verificato da una missione di Amnesty International nel paese, si è verificato il 14 maggio ma è emerso nella sua gravità solo negli ultimi giorni: 20 detenuti sono stati picchiati e lasciati per due giorni sul pavimento della prigione di Ain Zara, già nota ai tempi di Gheddafi per essere uno dei principali centri di tortura. Al momento, risulta che nessuno dei 20 detenuti sia stato visitato da un medico indipendente e che almeno uno dei torturatori sia ancora in servizio. Amnesty International ha lanciato un appello in loro favore.

I fatti. La sera del 14 maggio alcuni secondini in tenuta militare entrano nel blocco 3B per fare una perquisizione. Ordinano a un gruppo di detenuti, tra cui Abdel Latif Ali Tawil, Abdel Ati Mohamed Mosbah, Mohamed Sherif e Abdel Nasser al-Din Taher, di seguirli in un'altra ala del carcere. Li obbligano a spogliarsi, tenendosi addosso solo le mutande, e iniziano a picchiarli con bastoni e tubi di gomma. Quando i detenuti perdono i sensi, li rianimano a secchiate d'acqua per poi ricominciare le torture. Dopo la mezzanotte, il pestaggio termina. Nelle successive 48 ore, i 20 detenuti rimangono lì, sul pavimento della cella.

Quando la delegazione di Amnesty International visita la prigione di Ain Zara, il 24 maggio, i segni delle torture sono ancora visibili sui corpi di molti dei 20 detenuti. Uno di loro ha una ferita da taglio sulla testa e un altro ha ferite sulla schiena.

Uno dei responsabili della prigione ammette che qualcosa è andato storto, condanna la brutalità del pestaggio e informa che il giorno prima rappresentanti del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) hanno visitato il carcere e parlato coi detenuti. Ci tiene però a precisare, come a intendere che al divieto assoluto di tortura ci potrebbe essere un'eccezione, che si è trattato di una reazione alla scoperta di droga e coltelli nel blocco che ospita i detenuti.

Il 25 maggio Amnesty International ha scritto al ministro della Giustizia e dei diritti umani chiedendo l'apertura di un'inchiesta e ricordando che la Libia è stato parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione contro la tortura e che, come tale, ha l'obbligo di indagare su tutte le denunce di tortura, sottoporre a processo i responsabili e fornire riparazione alle vittime.

Il giorno dopo, sabato 26 maggio, i familiari dei detenuti torturati hanno manifestato di fronte alla sede del Cnt, chiedendo che gli autori delle torture siano puniti. A preoccuparli è il fatto che almeno uno degli aguzzini sia ancora in servizio, nello stesso carcere.

Dalla fine del conflitto in Libia, e sono passati ormai oltre otto mesi, Amnesty International continua a ricevere denunce di tortura: numerosi i casi mortali. La maggior parte delle torture chiama in causa le milizie armate.

L'unica buona notizia della settimana è che la Corte suprema ha deciso di rivedere la Legge 37, sulla base della quale glorificare "Gheddafi, il suo sistema politico, le sue idee o i suoi figli" è considerato atto di "propaganda sensazionalista". Chiunque, in un modo non meglio precisato dalla legge, "rechi danno alla rivoluzione del 17 febbraio" va in prigione; stesso destino per chi "offende" lo stato, le sue istituzioni" e (non poteva mancare) "l'Islam" o per chi "offende pubblicamente la popolazione libica". Quasi mai la Legge 37 determina l'entità della pena, salvo il riferimento all'ergastolo, ma il codice penale prescrive, per "reati" del genere, condanne dai tre ai 15 anni di carcere.

Speriamo che la Corte suprema intervenga, presto e bene. Uno dei primi a pagare, altrimenti, potrebbe essere Hisham Anour Ben Khayal, un chirurgo accusato di aver agito contro la "rivoluzione del 17 febbraio".

Hisham Anour Ben Khayal, presunto lealista gheddafiano, avrebbe lasciato volutamente morire un rivoltoso. Poco importa, nella Libia odierna, se il chirurgo neghi che il paziente fosse stato affidato a lui e se abbia denunciato di essere stato torturato dai miliziani che lo hanno catturato ad al-Zawiya.
Fonte:http://www.cadoinpiedi.it/2012/06/09/libia_venti_detenuti_torturati_per_ore.html

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