di Valter Vecellio
La Libia è una torta da 130 miliardi
di dollari subito, e almeno 34 volte di più se l’attuale situazione si
dovesse mai in qualche modo “normalizzare”. Per capire qualcosa di
quello che accade in quell’ormai non paese si deve cercare di capire le
mosse dell’ENI…
Ce lo stanno dicendo praticamente tutti i giorni, da tempo; da settimane, da mesi: bisogna intervenire in Libia. Cosa significa “intervenire” non è ben chiaro, ma bisogna “intervenire”.
Ora per “intervenire” ci sono due soli
modi: si mandano delle truppe, dei militari, si va a combattere a tutti
gli effetti una guerra. Si va come si è andati in Somalia, in Irak, in
Afghanistan… Si va ad uccidere, e si va ad essere uccisi. Si va a
combattere, come già combattono i francesi in tutti quei paesi
dell’Africa francofona: dal Ciad al Mali, dal Burkina Fasu; come già
sono presenti in Libia, e come sono già presenti, in quello che un tempo
era “il bel suol d’amore”, inglesi e statunitensi. Avendo ben chiaro
che la Libia di oggi è un verminaio nel quale si rischia di restare
impigliati più e peggio che in Irak e in Afghanistan.
Chi
dice che bisogna “intervenire” dice questo, e questo deve dire: deve
avere il coraggio di dirci che la Libia costituisce una irresistibile
torta che tanti si vogliono mangiare. Stiamo parlando di un non paese
che galleggia in un mare di petrolio. Un non paese con due poli interni
principali costituiti da Tripoli e Tobruk, spalleggiati da una quantità
di poteri reali esterni in lotta e competizione tra loro. Per dire: il
38 per cento del petrolio africano passa dalla Libia, e questo 38 per
cento costituisce l’11 per cento dei consumi europei. Questo petrolio
dagli esperti viene ritenuto un greggio di ottima qualità, costa
relativamente poco, fa gola alle grandi compagnie petrolifere; per quel
che riguarda la Tripolitania è praticamente appannaggio dell’ENI. Un
appannaggio che l’ENI si garantisce manovrando in modo spregiudicato tra
fazioni, tribù e sceiccati; e che francesi, inglesi, americani naturalmente non vedono con favore. Vorrebbero esserci loro, a fare quello che fa l’ENI.
La
Libia costituisce una “torta” da 130 miliardi di dollari subito, e
almeno 34 volte di più se l’attuale situazione si dovesse mai in qualche
modo “normalizzare”. Per capire qualcosa di quello che accade in
quell’ormai non paese si deve cercare di capire le mosse dell’ENI in
Tripolitania, della BP, della Shell, della Total in Cirenaica e nel
Fezzan. Della partita fa parte anche la Russia, che opera attraverso
l’Egitto di Al Sisi. Buona parte delle armi che circolano in Libia,
vengono da Mosca e Parigi. Nei progetti, e nei sogni delle varie
cancellerie europee e mondiali, la Francia che già ha interessi
consolidati nell’Africa sub sahariana, dovrebbe fare il guardiano nel
Fezzan, la regione meridionale della Libia. Al Regno Unito fa gola la
Cirenaica, e in questo modo terrebbe a freno anche le mire
russo-egiziane, l’Italia dovrebbe in qualche modo continuare a operare
in Tripolitania; gli Stati Uniti – questi Stati Uniti più confusi e
indecisi che mai – si candidano a supervisori del tutto.
Questi bei piani naturalmente sono
realizzati a tavolino, non fanno poi i conti con la realtà: le gelosie,
le rivalità, gli appetiti tribali; gli interessi dell’Egitto, che non
sono quelli dei paesi europei, i fanatici islamisti, che giocano anche
loro una partita, dal Qatar arriva un quotidiano fiume di denaro a
sostegno dei gruppi estremisti e terroristici. Insomma, è bene sapere
che la sbandierata lotta al califfato dell’ISIS e
ai terroristi è solo un aspetto, forse il più appariscente, ma neppure
il più importante, della guerra che si sta combattendo in Libia. Gli
interessi occidentali mascherati da obiettivi comuni, in realtà sono più
che mai divergenti. Si prepara, e probabilmente già si combatte, una
guerra dove in campo ci sono finti amici e alleati, finti avversari e
nemici.
C’è poi un altro modo di “intervenire”.
Si chiama “intelligence”. Ne parlano in tanti, però oltre che invocarla
dovrebbero spiegare cosa significa “intelligence”, cosa comporta. Vuol
dire niente più e niente meno che “operazioni sporche”. Persone
specializzate in quel tipo di guerra che si fa e non si ammette, e che
consiste nell’eliminazione di nemici o ritenuti tali. Quel tipo di cose
che leggiamo nelle spy–stories e che vediamo nei film
di spionaggio. Solo che non si tratta di romanzi o di film; sono
operazioni meticolosamente studiate, risultato di informazioni spesso
raccolte illegalmente, corrompendo e applicando la legge: il nemico del
mio nemico è mio amico. Ecco, questa è l’intelligence. O questo o non è.
Se si applica la vecchia regola di seguire il denaro, forse si comincia
a capire qualcosa di quello che si fa senza dire, di quello che si dice
senza fare.
Ora rispondiamo pure: vogliamo, dobbiamo, possiamo “intervenire” in Libia?
(Articolo già su La Voce di New York il 17 marzo)
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