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Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
I paesi NATO, per niente soddisfatti di aver
contribuito al disastro della Libia nel 2011 —quando diedero avvio ad
una sanguinosa campagna di bombardamenti per defenestrare Gheddafi—,
scalpitano per una seconda guerra d’aggressione. Allora il governo
Italiano, Berlusconi primo ministro, malgrado i mal di pancia, partecipò
all’aggressione. Renzi, in barba alle sue affermazioni, rischia di fare
la stessa fine.
«Il
fatto che Matteo Renzi, in perfetto stile berlusconiano —in Tv e non in
Parlamento— abbia detto che finché lui sarà primo ministro non ci sarà
alcuna invasione italiana della Libia è una buona notizia che tuttavia
non mette al riparo l’Italia dal trovarsi immischiata in un conflitto
devastante e di lunga durata, e non assolve Renzi da tutte le sue
porcate.
Tra queste porcate c’è infatti anche il decreto del 10 febbraio, secretato e quindi tenuto nascosto agli italiani e allo stesso Parlamento in violazione degli Art. 11 e 78 della Cosituzione —il
primo fa divieto al nostro Paese di partecipare a guerre che noin sia
difensive, il secondo stabilisce che lo stato di guerra sia dichiarato
dal Parlamento. Cosa dice questo Decreto? Con lo stratagemma che le forze militari da inviare in teatro di guerra saranno poste sotto il comando dei servizi segreti,
il Parlamento viene aggirato, anzi gli viene sottratta l’ultima parola,
che spetterà invece solo al Presidente del Consiglio, cioè a Renzi
stesso —è la governance, ovvero il massimo dell’accentramento dei poteri.
Sirte: da roccaforte di Gheddafi ad avamposto dello Stato Islamico |
Insomma,
Renzi, attacatissimo alla sua poltrona e ubbidendo alla sua smisurata
ambizione, ben sapendo che la stragrande maggioranza degli italiani è
contraria ad ogni avventura militare, non vuole una “invasione”, un
invio di truppe in grande stile, contempla però di voler partecipare con
truppe speciali alla spartizione del bottino libico —la lotta al nemico pubblico numero uno, l’ISIS, essendo un motivo del tutto secondario.
«La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica – dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi – gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.A prescindere dalla dimensione delle forze che saranno inviate, l’intenzione del governo, col sostegno del Presidente della Repubblica —che abdica alle stesse prerogative attribuitegli dalla Costituzione—, è quindi quella di partecipare, assieme agli altri predoni imperialisti, alla spartizione della Libia. Renzi, attende solo un alibi, la messinscena della chiamata di un cosiddetto “governo di unità nazionale”, che cioè i corrotti zimbelli delle diverse potenze si mettano d’accordo. Ma se questo accordo tra questi burattini non c’è è proprio perché divisi sono i loro burattinai.
Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. (…) Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.
Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica».
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore del 6 marzo.
I predoni occidentali non fanno mistero su quale sia il loro disegno: fare a brandelli la Libia, distruggerla come Stato unitario per far posto ad uno spezzatino composto da 3 o 4 satrapie, ognuna sotto la tutela delle diverse potenze straniere, ognuna governata da lacchè alle loro dirette dipendenze.
Questa
spartizione per zone d’influenza potrebbe seguire la divisione
amministrativa che fu al tempo inventata —dopo vent’anni di guerra di
sterminio— dal colonialismo fascista.
L’intervento
militare dei paesi NATO, la loro brama di spartirsi le spoglie e le
ricchezze della Libia non sarà indolore. Esso susciterà la tenace quanto
legittima resistenza delle forze islamiche e patriottiche libiche,
spingendo le varie milizie, quelle tribali incluse, a fare fronte
comune, di contro a quelle ascare già ora su libro paga delle potenze
straniere e delle diverse multinazionali (ENI compresa).
Se
comune è la volontà delle potenze di procedere allo smembramento della
Libia, esse sono tuttavia divise su quali debbano essere i confini dei
loro rispettivi protettorati coloniali. Dietro alla comune volontà ci
sono infatti opposti appetiti e ambizioni egemoniche conflittuali. La
competizione neo-coloniale tra le stesse potenze europee, è l’ennesima
dimostrazione che l’Unione europea è un’entità fallita. Il
ginepraio libico potrebbe accentuare questa competizione, senza
escludere che i soldati di questa o quella potenza possano prima o poi
cadere vittima di “fuoco amico”.
Diciamo quindi no all’invio di truppe d’invasione in Libia, comunque mascherate. Che sia il popolo libico a porre fine alla guerra fratricida ed a decidere il proprio destino».
* Fonte: Programma101
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