E ci siamo ricascati – tutti – di nuovo. E purtroppo, molti, consapevolmente e quindi diventando complici. Un altro evento eclatante è stato programmato e realizzato e con un attento – anche se per nulla innovativo – uso della comunicazione, la nostra attenzione è stata spostata dalla causa all’effetto e ora l’agenda politica e giornalistica ci “obbliga” a scegliere tra due posizioni, entrambi ininfluenti sulle cause originarie, che ci spingono a sprecare tutte le nostre energie, la voce, l’inchiostro e il tempo, a scagliarci contro un lato o l’altro di un muro di gomma.
Ops! Scusate. Sono venuto meno alla
regola principale del giornalismo e cioè quella di enunciare nelle prime
cinque righe il “cosa, come e quando” di cui dovevo parlare. Ma non
l’ho fatto per errore. L’omissione è voluta, perché la considerazione
iniziale potrei usarla ogni settimana per una “crisi”, un’emergenza o
uno “choc” differente. Funziona sempre allo stesso modo. Questa volta mi riferisco all’emergenza profughi, alla foto del bambino kurdo-siriano affogato, a Renzi che dice che quelli di destra sono “bestie” e Salvini che gli dà del verme, ecc.
Per inchinarmi alla logica del mestiere
recupero la mancanza iniziale con una serie di precisazioni che
legittimeranno gli insulti da parte di tutti i coinvolti.
La crisi dei profughi non era
solo “prevedibile”, come hanno dichiarato in tanti – non ultimi Schulz e
Putin – ma in qualche modo “favorita”. Innanzitutto
l’amministrazione politica ha un senso solo se è in grado di anticipare i
processi e accompagnarli, limitarne i danni, invertirne gli effetti. Se
nessuno in Europa è stato in grado di farlo ci dovrebbero essere
dimissioni di massa. Purtroppo è peggio di così: tutti sapevano come
andava a finire e nessuno ha fatto alcunché. A molti semplicemente
conveniva che finisse così per fini economici o elettorali, altri lo
volevano e alcuni, infine, pur sapendo, non potevano farci nulla.
L’origine dell’ultima ondata è la destabilizzazione decisa a tavolino del Medio Oriente e del Mondo arabo.
Se nessuno impedisce agli americani di seminare scientemente il Caos
per poi gestirlo o “risolverlo” su richiesta e presentando un conto
salatissimo, le crisi si susseguono di anno in anno: terrorismo, guerre,
fame, inondazioni migratorie, destabilizzazione politica. Tutta colpa
degli americani? Ebbene sì, lapidatemi se volete, ma io credo fermamente
di sì. E stranamente chi ne fa le spese è sempre e assolutamente
l’Europa, che gli Usa – sin dalla guerra di secessione – indicano come
il nemico principale da abbattere. Altro che imperi del Male veri o di
cartone.
E questo risponde in anticipo
anche a chi dice: “sì, ma allora quelli che vengono dal Pakistan o
dall’Africa nera cosa c’entrano con la crisi siriana?”. Poco
con quella siriana, tutto con la crisi mondiale esplosa, guarda caso,
all’inizio del 2000 quando, inavvedutamente, molti avevano profetizzato
la fine del “secolo americano”.
C’entrano i profughi con la crisi del
gas e del petrolio? Assolutamente sì. Come la guerra in Ucraina, la
destabilizzazione della Libia, la creazione dell’Isis e praticamente
tutto il resto. Compreso l’abbattimento dell’ultimo governo legittimo in
Italia (quello, con buona pace di molti, con presidente Berlusconi).
Ma ritorniamo ai profughi. Anzi, alla
comunicazione sui profughi. Molti sono morti quando non c’era un bravo
fotografo (fotografa) a scattare il clic. Ora c’è stata. Lei dice – e
chi può metterlo in dubbio – che quella foto l’ha voluta fare e
diffondere per tutto il mondo per “scuotere” le coscienze e non perché
scattare foto sensazionali è quello che fanno quelli della sua
professione. Questa storia mi ricorda quando ero a L’Aquila con la Croce
Rossa il giorno dopo il terremoto. Quando i pompieri tiravano fuori i
corpi dalla Casa dello Studente non si riusciva a portar via le barelle
per la ressa di fotografi e cameramen che si spintonavano per poter
cogliere lo scatto più sensazionale. E gli amici e i parenti delle
vittime li aggredivano e li insultavano chiamandoli “sciacalli”.
Agli occidentali piacciono enormemente
di più i “simboli” delle cose reali. Diventano arte, sono comodi e
versatili e soprattutto mettono a posto la coscienza a poco prezzo. Si
fanno manifesti, si ritwitta, si mette il logo accanto al proprio
profilo, si fa magari anche qualche passeggiata con uno striscione e
voilà! Ci si complimenta l’un l’altro per aver salvato il mondo e si va a
letto con la coscienza a posto. Mi ricorda quando ero alla Camera e
ogni mese tiravano fuori leggi e mozioni per liberare le donne,
eliminare discriminazioni, salvare i bambini, abolire la pena di morte,
la fame e tutto il resto. Passava tutto quasi all’unanimità e poi ci si
abbracciava, ci si stringeva le mani, a volte partivano anche i baci…
Un’impostura collettiva. Ora l’Anci della Lombardia ha deciso di
sconfiggere le infiltrazioni della ‘ndrangheta con dei terrificanti
cartelli stradali che intimano: “questo comune è contro la
‘ndrangheta!”. E via! Tutti i mafiosi fanno i bagagli e emigrano nel
comune più vicino, dove il cartello non è ancora stato apposto.
E quando i simboli sono veramente
“forti” ti devi allineare, perché contro i simboli non puoi argomentare:
o sei dentro o sei fuori. E che il gioco sia questo lo si evince
dall’ennesima artificialissima polemica sulle dichiarazioni di Renzi su
“bestie e uomini”. Il concetto, legatissimo all’ostentazione di varie
foto di bambini sullo sfondo del suo comizio, è semplice: è umano
intenerirsi dinanzi alla sofferenza dei bambini, chi non lo fa è una
bestia.
Va precisato, per dovere di cronaca, che
Renzi non ha affatto detto (riguardatevi i tg) che “quelli di destra
sono bestie”. Non è certo così sprovveduto. Ma siccome a ping-pong
si gioca in due, c’è chi ha fatto finta di fraintendere e giù tutti a
dire e scrivere “allora io sono una bestia, ma comunque sempre meglio di
te…” e pappappero… Tanto per alzare il livello del dibattito politico e
partecipare al teatrino della politica in cui, se non hai una parte da
recitare, non vieni calcolato.
D’accordo, dire cose troppo complesse
non fa comunicazione, meglio banalizzare e buttarla in caciara. E
infatti nessuno vuole perdere tempo a interrogarsi sulle cause ma tutti
vogliono sapere cosa fare ora, per contrastare gli effetti che sono
diventati un problema evidente e presente. Pia illusione, perché una
soluzione a portata dei governi nazionali – o locali – non c’è. Il
problema non si può risolvere facendo sit-in contro l’arrivo dei
profughi in un hotel e nemmeno, dall’altra parte, esiste la reale
possibilità di dargli accoglienza o integrarli tutti e nemmeno, se si
volesse, rimandarli a casa. Stiamo ormai parlando di centinaia di
migliaia di persone. Insomma, una soluzione a portata di mano, vera e
seria non c’è. E quindi incentrare il dibattito politico su questo è da
idioti. O da ipocriti.
Quando Obama dice che per risolvere
questa crisi ci vorranno 20 anni, non è una previsione, è un auspicio.
Con l’Europa bloccata per vent’anni a cercare di risolvere questo
immenso problema non ci sarà il tempo né la voglia di programmare
iniziative dettate dall’interesse nazionale, non si potrà seriamente
seguire la politica estera, non si potranno mettere a posto i conti né
far funzionare il welfare. E nel frattempo i musulmani continueranno a
massacrarsi tra di loro, i Paesi dell’Africa con risorse naturali
resteranno ingestibili, la modifica del cambio Dollaro-Yuan ha
avvelenato l’economia cinese, sulla frontiera tra Pakistan e India
soffiano venti di guerra, Il Brasile è entrato in crisi, il progetto
neo-ottomano di Erdogan rischia di affogare in una nuova, eterodiretta,
guerra civile e la Russia è impegnata su dieci fronti, dopo che
l’Europa, che era suo naturale partner, ha cercato di togliergli
l’accesso al mare scippandogli Odessa e Sebastoboli e si è chiusa da
sola i rubinetti del gas che veniva dall’Asia centrale.
Solo negli Usa tutto è normale. Con una
strage al giorno in qualche scuola, scontri con la polizia su qualche
ragazzo afro ucciso, mafie di ogni continente che proliferano e il
casting per il prossimo attore che dovrà recitare la parte dell’Uomo più
potente del Pianeta… (alla Casa Bianca…).
Chiedo scusa al direttore. Mi
aveva chiesto di parlare del povero bambino e della foto che, troppo
tardi, lo ha reso famoso. Mi sono perso a parlare invece dei suoi
assassini e dei mandanti del suo omicidio. Si vede che di
comunicazione non ci capisco un granchè. E nemmeno forse di politica, se
la politica è questa recita che sto vedendo in televisione.
Di Marcello De Angelis
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