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sabato 7 marzo 2015

Libia. Non ripetere l'errore, scriveForeign Affairs. Eppure la prima guerra di AFRICOM fu un successo. (Spunta la carta Saif?)

27/2/2015

Si torna a parlare di Libia sull’onda della minacciosa propaganda di Isis/Daesh/Califfato a suon di video hollywoodiani ( alcuni dei quali peraltro cominciano ad essere smascherati come fake , falsi: ma come essere certi allora che non lo siano anche altri? ).

Si riparla di Libia e addirittura di un nuovo intervento armato ma stranamente, ricostruendo la vicenda che portò all’"uccisione" di Gheddafi e all' instabilità e violenza che durano tutt'oggi, si tende a far passare l’intervento occidentale in Libia del 2011come un’ iniziativa della Francia di Sarkozy. Al quale viene imputato l’esito disastroso, la disintegrazione dello stato libico.



Una versione quanto meno lacunosa, ripetuta ancora lunedì scorso a Piazza Pulita, mentre un’analisi sul Sole24Ore parlava addirittura di “disinteresse americano” per la Libia, oggi come allora.



Due articoli autorevoli, un commento sul Guardian del giugno 2012 e un altro, recentissimo, su Foreign Affairs – la rivista del Council of Foreign Relations - raccontano una storia differente. Due punti di vista diversi ma in certo senso complementari che fanno da sfondo ai dilemmi di oggi . Sui quali farà il punto un Consiglio europeo il 19-20 marzo.



Il primo è un retroscena, mai ben raccontato dai grandi media, che lega l’intervento in Libia alla missiondi Africom, l’Africa Command Usa che comandò l'operazione. Riuscitissima da quel punto di vista.



Il secondo - dal quale iniziamo - analizza molto criticamente l’intervento targato Nato propiziato da Obama giudicandolo un fallimento, un errore del presidente e traendone una “lezione” per Obama oggi, fosse mai tentato da una nuova avventura .

Una lezione da tenere in considerazione dal momento che viene dalla rivista del CFR, influente pensatoio/associazione sui generis/lobby potente che dir si voglia, che non lesina “consigli”- lo ha fatto altre volte - all’oscillante presidente americano. Che c’entrava e c’entra eccome con la Libia, ieri come oggi, altro che disinteresse .



L’INTERVENTO NATO. “Il 17 marzo 2011 il Consiglio di Sicurezza ONU passò la risoluzione 1973 capeggiata dall’amministrazione Usa, presidente Barack Obama, che autorizzava l’intervento militare” – esordisce il post scritto da Alan J. Kuperman, professore all'università di Austin, Texas.

(In realtà autorizzava solo la no-fly zone ' a scopo umanitario' ebbero a protestare Russia e Cina che mai avrebbero votato a favore di un intervento in Libia- qui Underblog 29/2011 - Mosca lo ripete anche oggi ).



“L’obiettivo, spiegò Obama, era ‘salvare le vite di pacifici manifestanti pro-democrazia che si erano ritrovati bersaglio di razzie da parte del dittatore Muhammar Gheddafi’. Non solo Gheddafi ‘mette in pericolo la nascente Primavera Araba che aveva buttato giù i regimi autoritari di Tunisia ed Egitto – disse il presidente. Sappiamo che aspettando un giorno in più Bengazi potrebbe patire un massacro che potrebbe ripercuotersi nella regione e macchiare la coscienza del mondo’.”



“Due giorni dopo la risoluzione ONU, Stati Uniti e NATO stabilirono la no fly zone sulla Libia e cominciarono a bombardare (I caccia francesi furono i primi, battendo sul tempo gli stessi britannici, un’iniziativa chiaramente concordata con gli alleati, ndr ).

Di lì a sette mesi, dopo una vasta campagna militare col sostegno occidentale i ribelli conquistavano il paese e uccidevano Gheddafi”.





(10.000 missioni, più di 40.000 bombe e missili, forze speciali infiltrate sul terreno, migliaia di commando qatarini, finanziamenti a milizie islamiche considerate terroriste fino ad allora. Tra queste, combattenti passati poi in Siria per rovesciare Assad hanno poi fondato l’Isis e invaso l’Irak, vedi qui Voltairenet.org)



TRIONFO? “Subito dopo la vittoria militare gli ufficiali Usa erano trionfanti. ‘L’operazione NATO in Libia è stato un intervento modello’ . Ma retrospettivamente – continua il post di FA - l’intervento in Libia fu un infame fallimento, secondo i suoi stessi standard.


La Libia non solo non si è sviluppata come democrazia ma è diventata uno ‘stato fallito’ ( failed state). Morti violente e altri abusi di diritti umani sono aumentati moltissimo. Invece di aiutare gli Stati Uniti a combattere il terrorismo, come fece Gheddafi nell’ultimo decennio, la Libia è ora un porto sicuro per milizie affiliate sia ad al Qaeda sia a Isis. Altri interessi americani sono stati lesi: indebolendo la non proliferazione nucleare, raffreddando la cooperazione Russa all’ONU, alimentando la guerra civile".



Il lungo articolo non fa che espandere i punti citati. Non esitando a smentire la narrazione dei media di allora che, sull’onda dei resoconti dei ‘ribelli’, faceva credere a decine di migliaia di morti ad opera dei soldati del Raiss - evidentemente per giustificare l’intervento. "Human Right Watch documentò 231 vittime nei primi giorni, non 10.000 come disse la tv Saudita al Arabiya - ci dice ora il post; dall’inizio della ribellione a metà febbraio alla metà di marzo quando arrivò la NATO, solo 1000 morirono fra soldati e ribelli. Pochi i civili. Dei 949 feriti a Misurata solo 30 erano donne e bambini, il 3%, i morti furono 257 su 400.000 abitanti. Lo stesso a Tripoli.





“Dati che smentiscono che Gheddafi colpisse indiscriminatamente i civili,” si sottolinea, come ci veniva fatto credere per mostrare la crudeltà del tiranno da abbattere. E come invece hanno fatto e fanno ancora le milizie in Libia, che ha avuto altri 10.000 vittime.




E le armi, il fornitissimo arsenale di Gheddafi, comprese le migliaia di missili antiaerei portatili, finiti nelle mani di Islamisti radicali, alcuni persino di Boko Haram in Nigeria, altri rivenduti a Algeria e Egitto. Un disastro.



NO, ERRORE. “La migliore politica sarebbe stata non intervenire – è la tesi di fondo dell’articolo di FA - perché i civili libici non erano affatto nel mirino. Se gli Usa avessero seguito quella strada avrebbero evitato il caos e dato una possibilità al paese di fare progressi sotto il successore predestinato del Raiss, il figlio relativamente liberale, educato in Occidente Saif al –Islam”.



Saif il secondogenito, studi a Londra dove aveva molti amici influenti (da Tony Blair a Lord Mandelson che incontrò anche nella villa dei Rothschild a Corfù) con cui faceva anche affari. Con l’avvallo del padre si accingeva a fare importanti riforme, che l’intervento NATO bloccò. Gheddafi stava infatti avendo la meglio sui ribelli – sostiene il post.




A Saif viene persino data voce citando una sua intervista dal carcere dell’ottobre 2014 in cui pacatamente si dice dispiaciuto di non essere riuscito a realizzare i suoi piani: “Sfortunatamente ci fu l’insurrezione ed entrambe le parti fecero errori che ora permettono al gruppo estremista Daesh/Isis di raccogliere i pezzi e volgere la Libia in una entità fondamentalista’”.



Il post di FA sembra quasi prendere la difesa postuma di Gheddafi padre – non poi così feroce e disposto a farsi da parte col realismo già dimostrato nel 2004 al tempo della guerra in Irak quando consegnò le centrifughe rinunciando al nucleare (e aprì agli interessi occidentali accogliendo società petrolifere e investendo nelle grandi banche miliardi, poi sequestrati con l’arrivo della NATO ).



Non solo. Dà un giudizio negativo sull’attuale capo del governo laico di Tobruk, quello riconosciuto dalla cosiddetta ‘comunità internazionale’ ma non da quello islamista a Tripoli. “ Un generale rinnegato chiamato Khalifa Hifter”, lo definisce il post.



(Hifter o Haftar: è l’inetto generale che dopo aver perso la guerra in Ciad e tradito Gheddafi fuggì negli Usa dove rimase 20 anni, salvo tornare in Libia con l’avvento dei ‘ribelli’. Uomo di fiducia della CIA lo consideravano McClatchy e la Reuters; la CIA del resto – come l’MI6 – aveva legami con i ‘ribelli’, tra i quali c’erano veri gruppi terroristici come AQIM- Al Qaeda islam nel Magreb – vedi qui Underblog 10/4/2011)



LA LEZIONE. L’articolo sembra proprio suggerire di puntare su Saif al-Islam, detenuto a Zintan da quando venne arrestato da milizie Nato. Lo si evince anche dalla "lezione" al presidente Usa.





Obama “si dispiace per la Libia ma ha tratto la lezione sbagliata”. ‘Abbiamo sottostimato … il bisogno di arrivare in uno sforzo maggiore nel ricostruire la società”, ha affermato in un’intervista qualche mese fa. L’errore insomma fu intervenire militarmente senza preparare il ‘dopo Gheddafi’, sostiene il presidente. Ed è la narrazione che sentiamo ripetere in Italia.



Niente affatto, scrive il post della rivista del CFR (dove peraltro coesistono linee diverse). L’errore in Libia non è stato l’inadeguatezza del dopo-intervento, è stato scegliere di intervenire – afferma il post. E tira fuori una spiegazione convincente quanto sorprendente.



“In casi come la Libia dove un governo sta schiacciando una ribellione, un intervento militare può facilmente avere l’effetto opposto accrescendo violenza, collasso dello stato e terrorismo. La prospettiva di un intervento crea poi incentivi perversi per le milizie spinte a provocare ritorsioni governative così da gridare al genocidio per attrarre assistenza da parte di stranieri – il caso morale per un intervento umanitario”(sic).



“La vera lezione della Libia è che quando uno stato sta per avere la meglio sui ribelli la comunità internazionale deve evitare di lanciare una campagna militare umanitaria per aiutare i militanti(sic) ….La strada prudente è promuovere riforme pacifiche come quelle che stava proponendo il figlio di Gheddafi Saif.



CONVERSIONE A “U” Analisi interessante, che magari calzerebbe anche in altre situazioni, per es. la Siria o l’Ucraina: errori anche quelli?

Certo una conversione di 180° rispetto a tre anni fa, quando i massacri di civili da parte del Raiss - il mostro, il cattivissimo del momento - erano presi per buoni da tutti i media occidentali.

Ma se nonè vero che massacrava, com’è che il colonnello Gheddafi è poi diventato il nemico n.1?



Una ragione forse c’è e il post del Guardian su Africom la spiega, raccontando la strategia americana di riconquista dell’Africa, da sottrarre alla sempre più intensa penetrazione commerciale cinese. Un obiettivo in cui Usa (e GB) trovavano un alleato naturale nella Francia ex coloniale.



Dan Glazebrook giornalista esperto in Medio Oriente e dintorni, nel suo post (The imperial agenda of the US’s ‘Africa Command’ marches on) la prende un po’ alla lontana. Partendo dalle proxy wars inventate più di un secolo e mezzo fa.



LE GUERRE PER PROCURA, IERI E OGGI. “Meno ci vedono, meno ci odieranno”, scherzava il generale Britannico Frederick Roberts durante la guerra Anglo-afgana del 1878-80, inaugurando la politica di cooptare i leader Afghani per controllare le loro genti per conto dell’impero.



“La ‘regola indiretta’ venne chiamata, e fu a lungo considerata la chiave del successo dell’ impero Britannico, larghi pezzi del quale vennero conquistati e tenuti non da soldati di sua Maestà ma da militi reclutati altrove. Il lavoro sporco del controllo imperiale doveva essere condotto senza far sgorgare troppo sangue dell’uomo bianco”.



“E’ una lezione re-imparata dai politici negli ultimi anni dopo l’impopolarità delle guerre neocoloniali in Afghanistan e Irak col loro carico di morti e feriti.

“E’ il principio delle guerre per procura ( proxy wars) fatte compiere da altri ‘per conto di’ e del controllo del territorio lasciato ad alleati armati e foraggiati dai veri beneficiari che restano nell’ombra” - alleati che di volta vanno trovati o magari ‘creati’ appositamente, aggiungiamo.



Come accade in Africa, scrive Glazebrook (nel 2012). “ L’intervento in Libia è la prima guerra di AFRICOM, l’Africa Command’ dell’esercito americano, una sorta di test” . Una narrazione poco ripresa dai grandi media, ma presente in vari blog e siti alternativi.



COS’E’ AFRICOM. “Per riaffermare la sua influenza indebolita davanti ai crescenti investimenti Cinesi, gli Stati Uniti nell’ottobre 2008 (presidente George W. Bush) dettero vita all’AFRICOM- Africa Command che coordina tutte le attività militari Americane in Africa.

La sua missione ufficiale è ‘contribuire ad accrescere la sicurezza e la stabilità in Africa, consentendo agli stati Africani e alle organizzazioni regionali di promuovere la democrazia, espandere lo sviluppo provvedere alla loro difesa e servire meglio le loro popolazioni’.



La missione ufficiosa, rivelata dall’ammiraglio Robert Moeller in due occasioni, è meno nobile: Africom ha lo scopo di preservare ‘il libero flusso delle risorse naturali dall’Africa al mercato globale’; ancora più esplicitamente: ‘…Non fraintendiamo. Il lavoro di Africom è proteggere le vite Americane e promuovere gli interessi Americani” in Africa.



“Il personale ridotto di Africom – circa 2000 persone – risponde all’ambizione del progetto, e alla minaccia che pone a una vera indipendenza Africana. L’idea, ancora una volta, è che non saranno forze Americane o europee a combattere e morire per interessi occidentali nelle prossime guerre coloniali in Africa, ma gli Africani. I soldati Usa impiegati non saranno lì per combattere ma per dirigere (addestrare, consigliare, infiltrare, magari, ndr). La speranza è che le forze dell’Unione Africana possano essere soggette a una catena di comando sotto l’egida di Africom”.




LA LIBIA COME TEST DI SUCCESSO. Dal punto di vista di Africom “il test Libico è stato un notevole successo: un potere regionale significativo è stato distrutto senza la perdita di un singolo soldato americano o europeo”.



Di più. “Il significato di questa guerra per Africom è stato molto più profondo: oltre ad essersi liberato di Gheddafi, Africom ha eliminato il più fiero avversario al suo stesso progetto” .


Ecco il vero scopo dell'intervento.




GHEDDAFI E L’ UNIONE AFRICANA. “Gheddafi aveva infatti dedicato gli ultimi anni della sua vita politica a un progetto pan-Africano, chiaramente molto diverso dal concepire l’Africa come fornitore di materie prime grezze e lavoro a bassisimo costo. Non era stato solo la forza promotrice dell’Unione Africana nel 2002, ma ne era stato anche eletto capo e aveva fatto della Libia uno dei maggiori donatori.



“Con sgomento di alcuni colleghi Africani, il Colonnello spingeva per degli Stati Uniti d’Africa con un’unica moneta, un esercito e un passaporto comuni. E più concretamente investì qualcosa come $150 miliardi nel continente Africano, in infrastrutture e progetti di sviluppo, una larghezza di mezzi che gli procurò molti amici, specialmente fra le piccole nazioni.

Chiaramente, finché Gheddafi avesse avuto questo tipo di influenza Africom non sarebbe decollato”.



CAMPO LIBERO. “Da quando Gheddafi è stato rimosso, Africom è andato avanti a tutto vapore Non è una coincidenza che dopo qualche mese dalla caduta di Tripoli, lo stesso mese dell’esecuzione dei Raiss, il presidente Obama ha annunciato il dispiegamento di 100 forze speciali Usa in quattro diversi paesi africani, Uganda compresa, Apparentemente ‘per combattere Joseph Kony’ (sorta di terrorista rispuntato fuori e molto pompato ) in realtà per addestrare gli Africani a combattere la guerra per procura in Somalia dove 2000 ugandesi erano stati mandati un mese prima”.

“Quattordici esercitazioni congiunte tra Africom e stati Africani sono state pianificate solo nel 2013, mentre il programma Africom di addestramento navale parla di passaggio da progetti di addestramento a ‘operazioni reali’”.



“Un bel progresso dall’Africa del 2007 quando l’Unione Africana si oppose alla base di Africom sul suolo africano, costringendo il Comando a stabilirsi a Stoccarda, in Germania, scrive Glazebrook, che in un altro post recente sul suo sitoapprofondisce il tema.



“Allora la Libia non serviva solo come baluardo contro i disegni Statunitensi sul continente ma anche come ponte decisivo fra l’Africa Nera a sud del Sahara e l’Arica Araba al nord.

Il razzismo del nuovo regime Libico installato dalla Nato che favorisce quello che finisce per essere un pogrom nazionale contro la popolazione nera, serve per abbattere tale ponte e spingere ancora più indietro la prospettiva di un’eventuale unità Africana.



IL TERRORE AIUTA. Una marcia africana che va avanti spedita, quella di Africom, con operazioni coperte e finanziando strumentalmente gruppi terroristi come Boko Haram in Nigeria, Cameron. E in Mali, paese ricco di uranio e petrolio dove la Francia - divenutaat degli Usa nel contrastare la penettrazione economica e diplomatica Cnese, e è intervenuta già nel marzo 2012 contro un sedicente movimento di liberazione che si era unito ad Al Qaeda. “Gli stessi ‘ribelli’ armati dai nostri alleati occidentali per far cadare Gheddafi”, ebbe a dire il ministro degli esteri Russo Lavrov - qui post di Infowars 7/5/2014: Boko Haram terror attack in Nigeria opens doors to Africom.




( Nel 2012 “il Nigerian Timesriferiva che fondi di Boko Haram erano stati tracciati fino al Regno Unito e all’Arabia Saudita tramite la Al Muntada Trust Fund, già attiva nel promuovere il wahabismo in Nigeria – scrive Infowars…”Il governi americano e francese sono uniti nel contrastare la penetrazione della Cina e la guerra al Terrore, creando instabilità, la bloccherà o quanto meno la frenerà. La Missione Africa consiste nel creare guerra in nome della lotta al Terrorismo, questo è quel che significa “la sicurezza nazionale Americana in Africa” - arriva ad affermare un post di Global Research intitolato’ Africom prepara altri conflitti in Mali, Nigeria e Somalia’ ).



SOCIETA’DISTRUTTE. Si contrappongono strategie trascurando sempre il punto di vista delle società umane dove poi queste vengono dispiegate. Il film Timbuktunei cinema in questi giorni mostra meglio di qualsiasi racconto la vita delle popolazioni berbere assoggettate da Jihadisti salafiti, Isis o simili, proprio nel Mali.

Nella Libia del dopo Gheddafi oltre ai 10.000 morti un milione mezzo di persone sono fuggite lasciando il paese o finendo nei campi profughi .



Sappiamo quello che hanno perso. Il Raiss sarà anche stato un capo autoritario ma la Libia, scriveva questo post e ripeteva alla radio il professor Angelo Del Boca, maggior esperto in materia, era un paese ricco dove si viveva bene. La Jamahirya Araba Libica Popolare Socialista alle sue genti offriva "poca democrazia" ma case, scuole e università erano gratuite, e pure il sistema sanitario. Dal 1980 la mortalità infantile era precipitata, l’aspettativa di vita salita da 61 a 74 anni, il reddito medio - $16.000 annui - si avvicinava a quello dei paesi sviluppati. La Svizzera d’Africa veniva chiamata. Un modello. Annientato da una guerra che ora ci si permette il lusso di definire ‘un errore’.



ADESSO C’E’ DAESH. E se oggi facessimo lo stesso errore denunciato dal post di Foreign Affairs? Se i paesi europei minacciati reagissero prendendo per buona la propaganda sofisticata ma forse truccata, manipolata, falsificata ad arte per spaventare i cittadini occidentali e indurli ad appoggiare nuove guerre d’Africa, in Libia e non solo?

Preso da:

http://www.lastampa.it/2015/02/27/blogs/underblog/libia-non-ripetere-lerrore-scriveforeign-affairs-eppure-la-prima-guerra-di-africom-fu-un-successo-spunta-la-carta-saif-9OvTKqFhSD2yV5uLsWPNtI/pagina.html

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