Libia. Certamente non è stato un argomento - come dire? - “sviscerato” dalle ‘autorevoli’ corrispondenze da Lough Erne, l’amena località del Nord Irlanda (occupato da Sua Maestà britannica) teatro del G8.
Ma qualche riga, una mezza frase, è stata ripresa su quanto sussurrato in merito da Obama al suo nuovo palafreniere d’Italia, Enrico Letta. In sintesi è stato richiesto a Roma di prodursi in buoni uffici mediatori con il nuovo regime tricefalo Tripoli-Bengasi-Fezzan.Toh, chi si vede. La Nuova Libia
Qualcuno degli acuti commentatori si è sprofondato anche in dotte reminiscenze storiche sul “ruolo mediterraneo dell’Italia” e sui suoi “incancellabili legami storici con la quarta sponda”.
In realtà, dopo aver aperto il vaso di Pandora a suon di bombe Nato per esportare “democrazia” e assassinare Gheddafi e parte del suo popolo, gli angloamericani hanno palesemente lì, nel loro dopoguerra, trovato “qualche difficoltà”. Compresa qualche morte eccellente. E’ vero che i pozzi petroliferi sono stati comunque spartiti tra i Lords Protettori (Francia inclusa) ma la situazione, su quella sponda del Mediterraneo è oggi tutt’altro che “normalizzata”.
Di qui la “delega politica” al fedele governo coloniale Letta.
Che tenterà pure di obbedire ai comandi imperiali con qualche mossa “diplomatica”, ma che non potrà che innalzare, e molto presto, bandiera bianca.
E’ un fatto che dopo più di due anni dalla vera e propria guerra del Pentagono e della Nato contro lo Stato nordafricano della Libia, il regime da loro imposto come “Congresso Nazionale Generale” oggi stia chiedendo aiuto ai suoi padroni neo-coloniali.
Lo stesso segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, aveva di recente dichiarato che il governo filo-occidentale di Tripoli ha richiesto assistenza sulla sicurezza. E un gruppo di sedicenti “esperti” si è subito recato in Libia e riferirà al Comando Nato a fine mese “il modo e la via da seguire”. Così Rasmussen ha spiegato la sua “delega militare” chiamata a ipotizzare formule di “addestramento di forze di sicurezza libiche” sotto l’egida occidentale.
Il contesto è quello di un continuo aggravarsi della stabilità “atlantica” in Libia e, da lì, in tutto il Nord ed Ovest Africa. Un lascito della guerra scatenata da Usa, Francia e Nato nel febbraio 2011 e partecipata dall’Italia e da altre nazioni ascare occidentali. La Libia di Gheddafi, strade e città modello, ora trasformate in rovine, ha ceduto il passo ad uno Stato tribale governato da vari gruppi armati molto virtualmente legati all’ectoplasma Cng. Di fatto milizie che cercano di frantumare l’unità libica in tre “entità” territoriali diverse a Est, a Sud e a Ovest. I massacri (l’ultimo a Bengasi, l’8 giugno, tra civili e miliziani fondamentalisti dello “Scudo della Libia”) e le guerre per procura (mercenari in Siria, integralisti in Mali) sono all’ordine del giorno.
Ed è lì che il governo Letta è stato chiamato a intervenire.
In un altro Afghanistan.
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