10 giugno 2013.
È stata una vera e propria battaglia quella che si è combattuta sabato scorso a Bengasi, nell’est della Libia, quando un nutrito gruppo di dimostranti ha assaltato il quartier generale della Prima brigata della Libya Shield (“Scudo”), sigla che riunisce diverse milizie degli ex “ribelli” (tuwar) anti-Gheddafi e che, almeno in linea teorica, risponde al ministero dell’Interno. Il bilancio degli scontri è di almeno 31 morti e oltre un centinaio di feriti. Il giorno successivo, dopo un’audizione in Parlamento, il capo di Stato maggiore delle forze armate libiche Yussef al Mangoush (foto) ha presentato le proprie dimissioni che sono state subito accettate. Il suo vice Salem al-Gnaidy ha assunto la guida ad interim delle forze armate in attesa della nomina di un nuovo capo di Stato maggiore.
Secondo le testimonianze riportata anche dal Libya Herald, sabato circa 200 manifestanti, alcuni dei quali armati, si sono radunati di fronte alla caserma della milizia nel quartiere di Sidi Khalifa (Bengasi est) chiedendone l’allontanamento e lo scioglimento. Non è chiaro chi abbia cominciato a sparare, ma ben presto sono iniziati i combattimenti, durante i quali si sono registrate anche diverse esplosioni. A un certo punto sono dovute intervenire anche le forze speciali dell’esercito libico per prendere possesso dell’edificio. La maggior parte delle vittime si contano tra i manifestanti, ma risultano diversi morti anche tra i membri della Libya Shield.
Non è chiaro neanche chi sia stato a organizzare la manifestazione di protesta. Secondo alcuni sarebbero stati i federalisti. Proprio la scorsa settimana migliaia di persone sono scese in piazza nella città di Al Marj, una novantina di chilometri a est di Bengasi, per dichiarare l’autonomia della Cirenaica (ricca di petrolio e storicamente “avversaria” della Tripolitania) dal governo di Tripoli. A capo delle rivendicazioni autonomiste c’è il Consiglio della Cirenaica, un partito politico locale guidato da Ahmed Zoubair al-Senoussi, cugino del re Idris I, deposto da Gheddafi nel 1969.
Secondo altri, ad assaltare il quartier generale della Libya Shield sono stati “semplici cittadini” (ma comunque abbondantemente armati) stanchi dello strapotere delle milizie non inquadrate nella polizia e nell’esercito regolari. Anche durante i funerali delle vittime, fortunatamente conclusisi senza incidenti, sono risuonati slogan contro le milizie armate.
Nel frattempo il Parlamento ha approvato una risoluzione nella quale chiede con urgenza al governo di compiere “tutti i passi necessari per porre fine alla presenza di gruppi armati non autorizzati”. Inoltre si propone un piano per integrare nel giro di un paio di settimane gli ex “ribelli” nell’esercito, ma solo singolarmente e non all’interno delle formazioni paramilitari nelle quali hanno combattuto.
Da parte sua il premier libico Ali Zeidan ha annunciato che darà l’ennesimo ultimatum ai miliziani per il disarmo. Tuttavia i precedenti tentativi in questo senso si sono già dimostrati fallimentari. Anche perché attualmente le milizie non solo possono competere (e anzi superare) con le forze armate governative per numero ed equipaggiamento, ma paradossalmente rappresentano anche uno strumento indispensabile per il controllo del territorio. E questo a Tripoli lo sanno bene. Tanto che la settimana scorsa Zeidan ha annunciato l’intenzione di schierare i miliziani a supporto dell’esercito nel sud del Paese, per controllare la vasta e turbolenta zona desertica lungo la frontiera. Il tutto in cambio di un “incentivo” di 1.200 dollari.
Non è un caso che sabato un portavoce militare ha definito l’attacco al quartier generale della Libya Shield come “una aggressione contro una forza di riserva dell’Esercito libico”. Il problema è che queste formazioni di ex tuwar, pur se formalmente dipendenti da Tripoli, agiscono in piena autonomia. Come ha dimostrato l’assedio dello scorso anno a Bani Walid, considerata una roccaforte gheddafiana, che è durato oltre un mese nonostante il parere contrario del governo. Tra i protagonisti di quel sanguinoso assedio c’erano proprio gli uomini della Libya Shield, che arrivarono a bloccare i rappresentanti governativi che cercarono di trattare con gli assediati.
Fonte:http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21414
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