Libya Free… to steal, rape and kill![06.11.2011] di GilGuySparks
I lealisti e le forze governative lo avevano detto dai primi giorni dei disordini in Libia nella parte orientale del paese; coloro che si presentavano come i democratici, vittime di repressioni efferate, erano, per lo più, una congerie mal assortita di estremisti islamici, esuli dalla dubbia fama e qualche migliaio di giovanissimi tra i 18 e i 25 anni che hanno dimostrato fin da subito quali fossero le loro reali intenzioni. Lo si era visto nei numerosi filmati e nelle fotografie che rappresentavano, senza dubbio alcuno, l’inaudita ferocia, la compiaciuta adorazione e ostentazione per le torture efferate, la negazione di qualsiasi, anche minimo, rispetto per gli esseri umani e le loro cose.
Lo avevano sperimentato, questo mix spietato, gli abitanti di Bengasi diversi mesi fa, il cui terrore era andato crescendo, man mano che il potere passava dalle mani del legittimo governo libico in quelle delle bande criminali e assassine che spadroneggiavano, picchiando a morte, razziando, stuprando e commettendo ogni genere di abuso sulla popolazione civile. Questi giovani, che il colonnello Gheddafi aveva descritto come invasati e drogati, agivano e continuano ad agire in un delirio di onnipotenza, tipico di coloro che sono stati testimoni complici di inenarrabili bagni di sangue e orge di violenze. Questi bravi ragazzi imberbi sono stati educati, in poco più di otto mesi, alla barbarie deliberata; hanno perpetrato o hanno visto perpetrare violenze inaudite rivolte prevalentemente ad esseri umani inermi. Le vittime sono state senz’altro anche le forze militari lealiste, le cui fosse comuni sparse tra Bengasi e Misurata, tra Sirte e Tripoli nessun organismo umanitario internazionale, nessun giornalista occidentale andrà mai a documentare e denunciare. I barbuti pseudo rivoluzionari che si accompagnavano con torme di quei ragazzi invasati della peggiore teppaglia, con la scure e il machete alla cinta hanno amputato le dita, le mani, i piedi e le teste di un numero di esseri umani incommensurabile. Non sono stati risparmiati a questo scempio né i bambini, né le donne, né gli anziani. Centinaia di migliaia sono ormai i desaparecidos libici e le efferatezze continuano sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale e delle autorità neo insediate che dovrebbero essere portate in giudizio per aver infranto qualsiasi legge nazionale ed internazionale sui diritti civili, umani in tempo di pace così come di guerra.
La violenza feroce, disumana, spettacolarizzata da quelle decine di videofonini che riprendevano, tra una torma di degenerati ululanti un mal riposto “Allah Akbar”, le torture, ampiamente censurate, alle quali è stato sottoposto l’anziano leader e colonnello del popolo libico, Muammar Gheddafi, sono state la rappresentazione di quello che ha subito la Libia e il suo popolo dagli inizi di febbraio ad oggi, cioè da quando è scattato il piano golpistico dei paesi occidentali per rovesciare uno Stato sovrano. Difficilmente la Libia potrà mai tornare a i livelli di sviluppo che aveva raggiunto con la Jamahiriya; più di otto mesi di bombardamenti di infrastrutture civili hanno ridotto la Libia ad un cumulo di macerie, mentre i saccheggi, le ruberie e le violenze più atroci hanno trasformato un popolo che aveva il più alto benessere tra i popoli dell’Africa, in un popolo in condizioni di grave indigenza, privato di servizi essenziali, privato della stessa sicurezza per sé, per i propri familiari e per le proprie cose. Con la risoluzione Onu 1973 gli Stati occidentali aderenti alla Nato hanno distrutto assieme agli edifici, la possibilità di una serena esistenza, la certezza del diritto e della stessa vita di migliaia di persone. Con la pretesa, assurda e menzognera, di difendere i diritti umani e civili della popolazione libica, la Nato e i suoi alleati arabi hanno, in tutti questi mesi, difeso una banda di stragisti, malfattori, estremisti islamici e criminali efferati della peggior specie.
La violenza feroce, disumana, spettacolarizzata da quelle decine di videofonini che riprendevano, tra una torma di degenerati ululanti un mal riposto “Allah Akbar”, le torture, ampiamente censurate, alle quali è stato sottoposto l’anziano leader e colonnello del popolo libico, Muammar Gheddafi, sono state la rappresentazione di quello che ha subito la Libia e il suo popolo dagli inizi di febbraio ad oggi, cioè da quando è scattato il piano golpistico dei paesi occidentali per rovesciare uno Stato sovrano. Difficilmente la Libia potrà mai tornare a i livelli di sviluppo che aveva raggiunto con la Jamahiriya; più di otto mesi di bombardamenti di infrastrutture civili hanno ridotto la Libia ad un cumulo di macerie, mentre i saccheggi, le ruberie e le violenze più atroci hanno trasformato un popolo che aveva il più alto benessere tra i popoli dell’Africa, in un popolo in condizioni di grave indigenza, privato di servizi essenziali, privato della stessa sicurezza per sé, per i propri familiari e per le proprie cose. Con la risoluzione Onu 1973 gli Stati occidentali aderenti alla Nato hanno distrutto assieme agli edifici, la possibilità di una serena esistenza, la certezza del diritto e della stessa vita di migliaia di persone. Con la pretesa, assurda e menzognera, di difendere i diritti umani e civili della popolazione libica, la Nato e i suoi alleati arabi hanno, in tutti questi mesi, difeso una banda di stragisti, malfattori, estremisti islamici e criminali efferati della peggior specie.
Usando le parole del prof. James Petras : “fondamentalisti […], delinquenti, assassini. […] Come possiamo vedere in Libia, nel saccheggio e nel terrore che sta accadendo dentro il paese, […] le uniche forze sulle quali gli Stati Uniti possono contare sono quelle che potremmo chiamare la spazzatura della società, teppa sottoproletaria che si presta al saccheggio del paese.”
Una parte minoritaria della popolazione aveva appoggiato i ribelli, aveva parteggiato per loro anche a Tripoli anche se in minoranza evidente; a distanza di poco più di due mesi dalla caduta di Tripoli nelle mani di quel miscuglio di milizie islamiste e bande armate di facinorosi, assettati di violenze e facili arricchimenti, moltissimi dei simpatizzanti dei ribelli cominciano a realizzare che quei bravi ragazzi sono mossi unicamente dalla ricerca senza scrupoli della brama di ricchezze e di un potere che nelle loro teste si declina come esercizio senza freni del sopruso sull’altro, sul diverso, sulle donne, su tutti coloro che gli si oppongono. Aveva ragione Gheddafi che li definiva drogati per i loro comportamenti, non sapendo dare altra spiegazione alle loro azioni, ma non erano drogati con droghe sintetiche o di altra natura, erano e sono come animali feroci che assaggiato il sapore del sangue, il gusto per la sadica tortura e quello della polvere da sparo dei loro fucili mitragliatori, si muovono come degli invasati, si comportano come tossici all’ultimo stadio; necessitano, come fossero in astinenza, dell’appagamento quotidiano nell’esercizio di violenze barbare, catturando prede inermi da poter seviziare impunemente e commettendo abusi sfrenati, giunti come sono all’apice della loro volontà di potenza.
Tuttavia questa violenza inaudita comincia a riversarsi indistintamente, non più sulla popolazione vicina al colonnello Gheddafi, ma investe anche quella parte minoritaria a Tripoli che aveva scelto la fazione dei ribelli e ne aveva sposato la causa. Lo ha compreso e realizzato un abitante di Tripoli, Abdul Mojan nel momento in cui sono venuti dei “ bravi ragazzi lo hanno gettato nel bagagliaio della loro auto, […] e sono partiti con lui un prigioniero dentro. Quando finalmente si sono fermati e lo hanno trascinato fuori, ha chiesto a loro: “Che cosa state facendo io sono un rivoluzionario come voi non ho mai sostenuto Gheddafi”- Ma agli ex ribelli non importava. Avevano preso in simpatia l’edificio del nuovo ufficio nella zona occidentale di Tripoli che il signor Mojan gestiva e volevano le chiavi e i documenti di proprietà. Ha cercato di ragionare con loro, sottolineando che c’erano un sacco di edifici governativi vuoti in piedi. Inutilmente, però. Da un arrogante diciottenne gli fu detto: “Ci siamo sacrificati per questa rivoluzione e tu non lo hai fatto, e ora noi ci prendiamo quello che vogliamo. Potrai riavere l’edificio quando la rivoluzione sarà finita.“
Il signor Mojan era ancora incredulo quando rilasciava al Telegraph la sua intervista “ammettendo che si sentiva fortunato ad esserne uscito senza un pestaggio anche se non c’era nulla che potesse fare per i 5.000 dinari (£ 2.550) che avevano rubato dalla sua auto.”
Una parte minoritaria della popolazione aveva appoggiato i ribelli, aveva parteggiato per loro anche a Tripoli anche se in minoranza evidente; a distanza di poco più di due mesi dalla caduta di Tripoli nelle mani di quel miscuglio di milizie islamiste e bande armate di facinorosi, assettati di violenze e facili arricchimenti, moltissimi dei simpatizzanti dei ribelli cominciano a realizzare che quei bravi ragazzi sono mossi unicamente dalla ricerca senza scrupoli della brama di ricchezze e di un potere che nelle loro teste si declina come esercizio senza freni del sopruso sull’altro, sul diverso, sulle donne, su tutti coloro che gli si oppongono. Aveva ragione Gheddafi che li definiva drogati per i loro comportamenti, non sapendo dare altra spiegazione alle loro azioni, ma non erano drogati con droghe sintetiche o di altra natura, erano e sono come animali feroci che assaggiato il sapore del sangue, il gusto per la sadica tortura e quello della polvere da sparo dei loro fucili mitragliatori, si muovono come degli invasati, si comportano come tossici all’ultimo stadio; necessitano, come fossero in astinenza, dell’appagamento quotidiano nell’esercizio di violenze barbare, catturando prede inermi da poter seviziare impunemente e commettendo abusi sfrenati, giunti come sono all’apice della loro volontà di potenza.
Tuttavia questa violenza inaudita comincia a riversarsi indistintamente, non più sulla popolazione vicina al colonnello Gheddafi, ma investe anche quella parte minoritaria a Tripoli che aveva scelto la fazione dei ribelli e ne aveva sposato la causa. Lo ha compreso e realizzato un abitante di Tripoli, Abdul Mojan nel momento in cui sono venuti dei “ bravi ragazzi lo hanno gettato nel bagagliaio della loro auto, […] e sono partiti con lui un prigioniero dentro. Quando finalmente si sono fermati e lo hanno trascinato fuori, ha chiesto a loro: “Che cosa state facendo io sono un rivoluzionario come voi non ho mai sostenuto Gheddafi”- Ma agli ex ribelli non importava. Avevano preso in simpatia l’edificio del nuovo ufficio nella zona occidentale di Tripoli che il signor Mojan gestiva e volevano le chiavi e i documenti di proprietà. Ha cercato di ragionare con loro, sottolineando che c’erano un sacco di edifici governativi vuoti in piedi. Inutilmente, però. Da un arrogante diciottenne gli fu detto: “Ci siamo sacrificati per questa rivoluzione e tu non lo hai fatto, e ora noi ci prendiamo quello che vogliamo. Potrai riavere l’edificio quando la rivoluzione sarà finita.“
Il signor Mojan era ancora incredulo quando rilasciava al Telegraph la sua intervista “ammettendo che si sentiva fortunato ad esserne uscito senza un pestaggio anche se non c’era nulla che potesse fare per i 5.000 dinari (£ 2.550) che avevano rubato dalla sua auto.”
Molti degli abitanti di Tripoli hanno avuto un momento simile di triste risveglio in queste ultime settimane. I loro liberatori, ancora spavaldi girano per la città armati fino ai denti e non sono tornati alle loro città di origine come avevano promesso.
Qualche abitante di Tripoli che ha ancora lo spirito per fare ironia ha sibilato “Quando hanno detto Libia Free, intendevano le auto, i frigoriferi e i televisori a schermo piatto“.
Le case private dei cittadini di Tripoli e di Sirte, e quelle di quasi tutti i villaggi caduti nelle mani dei ribelli, sono state prese d’assalto e saccheggiate di tutto il loro arredo. Camion di televisori al plasma, lampadari, mobili impianti stereo e tutto ciò che potesse avere un valore vengono caricati e trasportati verso Bengasi dove finiscono nei bazaar e nei mercati a basso costo.
Nella Tripoli liberata può accadere di essere fermati ad un posto di blocco e sentirsi requisire l’auto, ricevendo in cambio ricevute che dicono che verrà restituita dopo la rivoluzione.
Qualche abitante di Tripoli che ha ancora lo spirito per fare ironia ha sibilato “Quando hanno detto Libia Free, intendevano le auto, i frigoriferi e i televisori a schermo piatto“.
Le case private dei cittadini di Tripoli e di Sirte, e quelle di quasi tutti i villaggi caduti nelle mani dei ribelli, sono state prese d’assalto e saccheggiate di tutto il loro arredo. Camion di televisori al plasma, lampadari, mobili impianti stereo e tutto ciò che potesse avere un valore vengono caricati e trasportati verso Bengasi dove finiscono nei bazaar e nei mercati a basso costo.
Nella Tripoli liberata può accadere di essere fermati ad un posto di blocco e sentirsi requisire l’auto, ricevendo in cambio ricevute che dicono che verrà restituita dopo la rivoluzione.
Nella capitale le bande dei miliziani si scontrano sempre più spesso tra di loro, ma non per questioni tribali come qualche volta riportano i giornali e i media, piuttosto per dissidi sulla spartizione dei territori e dei bottini. Le milizie ribelli del CNT hanno assaltato sistematicamente tutti i depositi di armi, di prima necessità, non una sola banca è stata risparmiata, sono state tutte assaltate svuotate del loro contenuto e dati alle fiamme tutti i documenti dei depositi; non sono stati risparmiati neppure i musei da questi saccheggi sfrenati. Come riportato da varie fonti i musei di Bengasi , quello Soltane nella parte est di Sirte, e quello Nazionale e Islamico a Tripoli sono stati razziati di tutto ciò che aveva un valore. Nikolai Sologubovsky, giornalista e vice capo di un comitato russo di solidarietà con il popolo di Libia e Siria aveva dichiarato alla televisione russa, verso la fine di agosto, che il Museo Nazionale di Tripoli al-Jamahiriya era stato saccheggiato e i manufatti venivano spediti via mare verso l’Europa.
Ma ciò che allarma ancora di più, anche quella parte di popolazione che, sebbene minoritaria, aveva appoggiato la pseudo rivoluzione, è il fatto che i presunti liberatori si siano rivelati essere criminali della peggior specie, spesso ubriachi fradici, che girano armati di tutto punto come se fossero i padroni della città di Tripoli. Numerose sono le segnalazioni di scontri armati tra milizie, solo limitandosi la scorsa settimana, sono state registrate non meno di cinque sparatorie di una certa entità che hanno coinvolto gruppi di miliziani di Zintan e quelli delle forze legate al terrorista islamico, ora consigliere militare di Tripoli, Abdel Akim Belhaji. Proprio ieri 5 novembre queste milizie contrapposte si sono affrontate duramente nel quartiere Al Andalous, situato nella zona turistica; mentre in un altro scontro a fuoco tra le stesse milizie, nella Piazza Verde, un bambino sarebbe stato colpito, assieme un’altra persona, da proiettili vaganti.
Altri scontri sono stati registrati nell’ultima settimana presso diversi ospedali, presso l’aeroporto e il porto di Tripoli; gli scontri erano sempre tra fazioni contrapposte di ribelli che hanno lasciato sul campo parecchi morti e decine di feriti.
Perfino a Bengasi dove ha preso inizio il colpo di stato sono stati registrati negli ultimi giorni numerosi scontri tra le stesse milizie; i motivi di questi scontri ruotano sempre attorno alle forniture di armi e ultimamente anche sulle paghe che sarebbero state distribuite tra i ribelli.
I signori della guerra occidentali hanno seminato le divisioni, esasperato la violenza, incoraggiato e spalleggiato estremisti islamici e imberbi ragazzotti che educati alla mattanza gratuita ora si aggirano come belve assetate in cerca della propria soddisfazione, e che continuano a sequestrare, torturare e stuprare migliaia di libici, tutti dichiarati “sospetti sostenitori Gheddafi” in una vasta caccia alle streghe, basata spesso sulla base di accuse che sono poco più di voci.
Capita così in Libia che anche gente che aveva sostenuto la rivoluzione ingenuamente e che fino ad un mese fa era piena di speranza, descriva come un fallimento la rivoluzione. Abbacinati dal sogno surreale di trasformare la Libia in uno stato europeo si sono svegliati in una Libia che aveva come vittoriosi, oscurantisti terroristi islamici e brigate di criminali rabbiosi. Non rimpiangono ancora la Libia di Gheddafi ma avranno tempo per farlo.
E’ il caso di Omar che ha potuto toccare con mano il profilo tagliente della Libia liberata, quando uomini armati di Misurata lo hanno preso e sequestrato. Quei ribelli avevano agito per un ricco uomo d’affari della città, con il quale Omar aveva avuto una controversia parecchi anni fa. “Sono giunti a casa sua e Omar è andato con loro perché credeva nella rivoluzione e ha pensato che era un equivoco che presto sarebbe stato risolto. Ma quando sono arrivati a Misurata lo hanno gettato nella loro prigione privata e hanno detto che avrebbero battuto le piante dei suoi piedi fino a quando non avrebbe confessato. E ‘una vecchia tortura turca chiamata falakha.”
Capita così in Libia che anche gente che aveva sostenuto la rivoluzione ingenuamente e che fino ad un mese fa era piena di speranza, descriva come un fallimento la rivoluzione. Abbacinati dal sogno surreale di trasformare la Libia in uno stato europeo si sono svegliati in una Libia che aveva come vittoriosi, oscurantisti terroristi islamici e brigate di criminali rabbiosi. Non rimpiangono ancora la Libia di Gheddafi ma avranno tempo per farlo.
E’ il caso di Omar che ha potuto toccare con mano il profilo tagliente della Libia liberata, quando uomini armati di Misurata lo hanno preso e sequestrato. Quei ribelli avevano agito per un ricco uomo d’affari della città, con il quale Omar aveva avuto una controversia parecchi anni fa. “Sono giunti a casa sua e Omar è andato con loro perché credeva nella rivoluzione e ha pensato che era un equivoco che presto sarebbe stato risolto. Ma quando sono arrivati a Misurata lo hanno gettato nella loro prigione privata e hanno detto che avrebbero battuto le piante dei suoi piedi fino a quando non avrebbe confessato. E ‘una vecchia tortura turca chiamata falakha.”
Oggi si possono vedere “questi rivoluzionari” guidare sui loro pick-up con grandi mitragliatrici e girare tra i bungalow nel sobborgo di Regata, un delizioso quartiere di palme e bungalow di fronte al mare, mentre raccolgono congelatori e televisori a schermo piatto frutto dei saccheggi.
La storia più di colore, non negata dal comandante Mohammed al-Madhni, è quella che racconta che i ribelli di Zintan rubarono perfino “un elefante dallo zoo di Tripoli come un trofeo di guerra, portando la bestia sfortunata alla loro città in un camion.”
“Siamo qui per aiutare a costruire la democrazia e proteggere la rivoluzione“, ha detto lo stesso Mohammed al-Madhni, con un sorriso furbo.
C’è da credergli.
C’è da credergli.
________________________________________________________________________________________
Fonte:http://gilguysparks.wordpress.com/2011/11/06/libya-free-to-steal-rape-and-kill/
Nessun commento:
Posta un commento