Global Research, June 03, 2019
“Oh, sono contrario all’intervento militare!” Recita un racconto
“pacifista” ascoltato nel Nord che funge da pretesto per una
dichiarazione sul Venezuela.
Questo preludio consola l’anima, libera la coscienza liberale e s’impegna a mantenere le credenziali accademiche, giornalistiche e politiche desiderate, ma sempre più elusive. Tuttavia, il “pacifismo” trattato qui non ha niente a che fare col recente gesto della Norvegia di cercare una soluzione pacifica. Il governo del Presidente Nicolás Maduro è ovviamente pienamente coinvolto in questo ultimo tentativo di negoziato.
In effetti, il governo venezuelano lo proposte per tutta la crisi. Ad esempio, il primo maggio, il segretario di Stato Mike Pompeo, tra i principali artefici di tale narrativa “pacifista” insieme a John Bolton e al presidente Trump, dichiarò: “L’azione militare è possibile. Se questo è ciò che è richiesto, è quello che faranno gli Stati Uniti… cerchiamo di fare tutto il possibile per evitare la violenza… Preferiremmo una transizione pacifica del governo…”
C’è solo una ragione per cui finora gli Stati Uniti non potevano togliere l’opzione militare dal tavolo e attuarla. Non è perché ha qualche scrupolo sull’invasione di altri Paesi, ma piuttosto perché falliva miseramente nell’ambizioso tentativo di spezzare l’alleanza civile-militare, una precondizione esplicita all’opzione militare, almeno per il momento. Tuttavia, a Washington l’opzione della guerra economica non solo è sempre stata sul tavolo, ma veniva applicata ferocemente. Dopo le elezioni del 2013 del Presidente Nicolás Maduro in seguito la morte di Hugo Chávez, gli Stati Uniti sostennero le violente proteste dell’opposizione contro le elezioni legali, con conseguente pretesto per la legislazione sul Venezuela del presidente Obama nel 2014, volta a sanzionare il personale della Repubblica Bolivariana quale leva della punizione economica coll’obiettivo di ostacolare i funzionari politici chavisti e lo Stato.
Nel marzo 2015, Obama estese tale politica dichiarando il Venezuela “minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, aprendo la porta a ulteriori sanzioni individuali. Trump le ampliava ulteriormente in sanzioni economiche collettive e piena guerra economica. Come notava il noto scrittore e accademico internazionale Vijay Prashad, influente nella sinistra statunitense, “Obama forgiò la lancia; Trump l’ha lanciata al cuore del Venezuela”. La guerra economica guidata da Trump contro il Venezuela colpisce soprattutto l’industria petrolifera. Secondo uno studio dell’aprile 2019 pubblicato negli Stati Uniti dai noti economisti statunitensi Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, queste e altre sanzioni economiche “riducevano l’apporto calorico della popolazione, aumentavano malattie e mortalità (sia tra gli adulti che i bambini) e milioni di venezuelani che lasciavano il Paese a causa del peggioramento della depressione economica e dell’iperinflazione. Esacerbarono la crisi economica del Venezuela e reso quasi impossibile stabilizzare l’economia, contribuendo ulteriormente ad altri morti”.
Continuano a sostenere che “Tali impatti danneggiarono in modo
sproporzionato i venezuelani più poveri e vulnerabili… Si scoprivano che
le sanzioni hanno inflitto e infliggono sempre più danni a vita e
salute umana, tra cui si stima oltre 40000 morti nel 2017-2018; e che
tali sanzioni corrisponderebbero alla definizione di punizione
collettiva della popolazione civile descritta nelle convenzioni
internazionali di Ginevra e dell’Aja, di cui gli Stati Uniti sono
firmatari”.
Il governo venezuelano affermava che la guerra include anche non meno di tre sabotaggi elettrici nel marzo 2019 (7-14 marzo, 29 marzo e 30 marzo). Accompagnati da tre tentativi di colpo di Stato, il 23 gennaio, il 23 febbraio e il 30 aprile. Tutti incontrarono un’opposizione multipla e diffusa nelle strade da parte del Chavismo per difendere la rivoluzione. Tuttavia, si può immaginare come questa mobilitazione di massa influisca sull’economia già malconcia e sulla rotta “normale” di quella che è diventata una vita molto difficile. Inoltre, la guerra dei media degli USA contro Maduro e il Chavismo è una delle più feroci contro qualsiasi leader rivoluzionario della storia recente.
Il 16 maggio, dopo un mese di stallo, l’amministrazione Trump ordinò l’invasione della polizia nell’ambasciata venezuelana a Washington, arrestando quattro membri del collettivo di protezione dell’ambasciata presenti su invito del governo del Venezuela, mentre i “pacifisti” mantenevano il loro silenzio sulla guerra nella stessa città in cui molti di loro vivono e lavorano.
Cosa rimane di tale narrativa “pacifista” in opposizione a un eventuale intervento militare e in favore di una “transizione pacifica”, pur restando in silenzio sull’attuale guerra multiforme? I “pacifisti” sono complici apologetici della retorica di Washington sulla “transizione pacifica”, inquadrando l’opposizione alla politica USA sul Venezuela unicamente su come evitare l’intervento militare mentre non denunciano i tentativi di golpe e la guerra economica sostenuti dagli USA.
Tale politica sembra essere volta a provocare un’implosione sociale in Venezuela in modo che gli Stati Uniti possano istituire un governo cliente senza mai occupare militarmente il terreno. Questa è la nuova guerra? Se lo è, allora tale tipo di guerra non è così nuovo. Non era questo l’obiettivo degli Stati Uniti nel 1960 nel blocco contro Cuba, cioè creare “disincanto e disaffezione basati su insoddisfazione economica e difficoltà” come indicato dal dipartimento di Stato nel 1960, in modo che la gente si ribellasse al governo? E non era questo lo scenario che si dispiegò per rovesciare il governo democraticamente eletto di Salvador Allende nel 1973? Questo nuovo regime, che cambia il vino in bottiglie vecchie, è altrettanto letale oggi come lo era ieri. Gli Stati Uniti non imparano dalla storia.
*
Questo preludio consola l’anima, libera la coscienza liberale e s’impegna a mantenere le credenziali accademiche, giornalistiche e politiche desiderate, ma sempre più elusive. Tuttavia, il “pacifismo” trattato qui non ha niente a che fare col recente gesto della Norvegia di cercare una soluzione pacifica. Il governo del Presidente Nicolás Maduro è ovviamente pienamente coinvolto in questo ultimo tentativo di negoziato.
In effetti, il governo venezuelano lo proposte per tutta la crisi. Ad esempio, il primo maggio, il segretario di Stato Mike Pompeo, tra i principali artefici di tale narrativa “pacifista” insieme a John Bolton e al presidente Trump, dichiarò: “L’azione militare è possibile. Se questo è ciò che è richiesto, è quello che faranno gli Stati Uniti… cerchiamo di fare tutto il possibile per evitare la violenza… Preferiremmo una transizione pacifica del governo…”
C’è solo una ragione per cui finora gli Stati Uniti non potevano togliere l’opzione militare dal tavolo e attuarla. Non è perché ha qualche scrupolo sull’invasione di altri Paesi, ma piuttosto perché falliva miseramente nell’ambizioso tentativo di spezzare l’alleanza civile-militare, una precondizione esplicita all’opzione militare, almeno per il momento. Tuttavia, a Washington l’opzione della guerra economica non solo è sempre stata sul tavolo, ma veniva applicata ferocemente. Dopo le elezioni del 2013 del Presidente Nicolás Maduro in seguito la morte di Hugo Chávez, gli Stati Uniti sostennero le violente proteste dell’opposizione contro le elezioni legali, con conseguente pretesto per la legislazione sul Venezuela del presidente Obama nel 2014, volta a sanzionare il personale della Repubblica Bolivariana quale leva della punizione economica coll’obiettivo di ostacolare i funzionari politici chavisti e lo Stato.
Nel marzo 2015, Obama estese tale politica dichiarando il Venezuela “minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, aprendo la porta a ulteriori sanzioni individuali. Trump le ampliava ulteriormente in sanzioni economiche collettive e piena guerra economica. Come notava il noto scrittore e accademico internazionale Vijay Prashad, influente nella sinistra statunitense, “Obama forgiò la lancia; Trump l’ha lanciata al cuore del Venezuela”. La guerra economica guidata da Trump contro il Venezuela colpisce soprattutto l’industria petrolifera. Secondo uno studio dell’aprile 2019 pubblicato negli Stati Uniti dai noti economisti statunitensi Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, queste e altre sanzioni economiche “riducevano l’apporto calorico della popolazione, aumentavano malattie e mortalità (sia tra gli adulti che i bambini) e milioni di venezuelani che lasciavano il Paese a causa del peggioramento della depressione economica e dell’iperinflazione. Esacerbarono la crisi economica del Venezuela e reso quasi impossibile stabilizzare l’economia, contribuendo ulteriormente ad altri morti”.
Il governo venezuelano affermava che la guerra include anche non meno di tre sabotaggi elettrici nel marzo 2019 (7-14 marzo, 29 marzo e 30 marzo). Accompagnati da tre tentativi di colpo di Stato, il 23 gennaio, il 23 febbraio e il 30 aprile. Tutti incontrarono un’opposizione multipla e diffusa nelle strade da parte del Chavismo per difendere la rivoluzione. Tuttavia, si può immaginare come questa mobilitazione di massa influisca sull’economia già malconcia e sulla rotta “normale” di quella che è diventata una vita molto difficile. Inoltre, la guerra dei media degli USA contro Maduro e il Chavismo è una delle più feroci contro qualsiasi leader rivoluzionario della storia recente.
Il 16 maggio, dopo un mese di stallo, l’amministrazione Trump ordinò l’invasione della polizia nell’ambasciata venezuelana a Washington, arrestando quattro membri del collettivo di protezione dell’ambasciata presenti su invito del governo del Venezuela, mentre i “pacifisti” mantenevano il loro silenzio sulla guerra nella stessa città in cui molti di loro vivono e lavorano.
Cosa rimane di tale narrativa “pacifista” in opposizione a un eventuale intervento militare e in favore di una “transizione pacifica”, pur restando in silenzio sull’attuale guerra multiforme? I “pacifisti” sono complici apologetici della retorica di Washington sulla “transizione pacifica”, inquadrando l’opposizione alla politica USA sul Venezuela unicamente su come evitare l’intervento militare mentre non denunciano i tentativi di golpe e la guerra economica sostenuti dagli USA.
Tale politica sembra essere volta a provocare un’implosione sociale in Venezuela in modo che gli Stati Uniti possano istituire un governo cliente senza mai occupare militarmente il terreno. Questa è la nuova guerra? Se lo è, allora tale tipo di guerra non è così nuovo. Non era questo l’obiettivo degli Stati Uniti nel 1960 nel blocco contro Cuba, cioè creare “disincanto e disaffezione basati su insoddisfazione economica e difficoltà” come indicato dal dipartimento di Stato nel 1960, in modo che la gente si ribellasse al governo? E non era questo lo scenario che si dispiegò per rovesciare il governo democraticamente eletto di Salvador Allende nel 1973? Questo nuovo regime, che cambia il vino in bottiglie vecchie, è altrettanto letale oggi come lo era ieri. Gli Stati Uniti non imparano dalla storia.
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This article was originally published on Aurora. Traduzione di Alessandro Lattanzio.
Arnold August è
giornalista e docente canadese, autore di Democrazia a Cuba e le
elezioni del 1997-98, Cuba e i suoi vicini: Democrazia in movimento e
Cuba – Relazioni con gli Stati Uniti: Obama e oltre. Collabora con molti
siti, trasmissioni televisive e radiofoniche in America Latina, Cuba,
Europa, Nord America e Medio Oriente. Sito web: Arnoldaugust.com.
Notes
1) “La trama per uccidere il Venezuela”, di Vijay Prashad, in Salon.com
2) Le sanzioni economiche come punizione collettiva: il caso del Venezuela di Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs. Aprile 2019.
3) Memorandum Dal vicesegretario di Stato per gli affari inter-americani (Mallory) al sottosegretario di Stato per gli affari inter-americani (Rubottom). Washington DC, 6 aprile 1960.
2) Le sanzioni economiche come punizione collettiva: il caso del Venezuela di Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs. Aprile 2019.
3) Memorandum Dal vicesegretario di Stato per gli affari inter-americani (Mallory) al sottosegretario di Stato per gli affari inter-americani (Rubottom). Washington DC, 6 aprile 1960.
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