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La Valletta si è tenuta la riunione tra i ministri degli Esteri del
Meditteraneo occidentale: la Libia rivendica la diminuzione delle
partenze dalle sue coste, ma reclama soldi e mezzi per debellare il
fenomeno.
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La Valletta si è tenuta la riunione tra i ministri degli Esteri del
Meditteraneo occidentale: la Libia rivendica la diminuzione delle
partenze dalle sue coste, ma reclama soldi e mezzi per debellare il
fenomeno.
Mauro Indelicato
- Ven, 18/01/2019 - 14:13
È atterrato a Malta mentre nella sua Tripoli infuriano ancora i combattimenti: Mohammed Siyala,
ministro degli esteri libico al servizio del governo di Al Sarraj,
arriva sull’isola da cui passa anche un bel po’ di passato e presente
della Libia per discutere di migranti.
Alle sua spalle lascia una capitale nuovamente piombata nel vortice delle violenze e dei combattimenti, una situazione che pone l’esecutivo da lui stesso rappresentato in quel momento nuovamente in discussione.
Il summit però è troppo importante per cancellarlo od affrontarlo senza la Libia. A Malta infatti si discute di immigrazione e si sbarchi verso l’Italia e gli altri paesi della regione. Un forum con tutti i ministri degli esteri del Mediterraneo occidentale, volto a fare il punto della situazione anche alle luce dei recenti casi che hanno riguardato le navi Ong.
Sul tavolo, Siyala porta dati e numeri che a prima vista sembrano dare responsi positivi: “Le partenze di migranti dalle nostra coste sono ridotte dell'80 per cento nell'ultimo anno”, afferma Siyala. Un trend iniziato nell’agosto del 2017, che vede però nelle iniziative italiane la spinte più significative per provare a frenare l’emergenza sbarchi. Del resto è proprio l’Italia il paese più esposto al flusso migratorio che parte dalla Libia.
Quando al Viminale siede ancora Marco Minniti, si elabora un piano con Al Sarraj per mettere un freno agli sbarchi che nel luglio 2017 raggiungono livelli record. Si danno soldi a Tripoli e si invia personale a riparare motovedette e ad addestrare equipaggi. Non che la cosa non sia realmente accaduta, ad inizio anno Al Sarraj presenzia ad una cerimonia di ingresso di nuove reclute nella guardia costiera. Ma in realtà diverse somme, come riportato da un’inchiesta della Reuters, vengono stornate ai gruppi che gestiscono il traffico di esseri umani che bloccano quindi nuove partenze.
Nel 2018 invece, la rotta libica subisce un drastico crollo di partenze dalle coste tripoline quando l’attività delle navi Ong viene messa in discussione. Una rotta quindi in cui i numeri parlano di un netto ridimensionamento ma non di una completa chiusura. Ed è per questo che lo stesso ministro Siyala avverte: “Servono maggiori fondi e nuovi impegni da parte dell’Europa”. Il nodo cruciale è il controllo delle frontiere meridionali del paese: dal Niger entrano ancora migliaia di migranti, molti di meno rispetto agli anni passati ma comunque sempre un gran numero. L’Italia in Niger ha una missione che serve ad addestrare i militari locali per fermare le carovane in partenza, mentre la Francia ha nel paese africano diversi soldati. Ma le rotte proseguono lo stesso.
Il governo libico vorrebbe dunque soldi e mezzi per fronteggiare l’emergenza che parte dal sud del paese. Ma il problema è sempre lì: il rischio è che i soldi in realtà finiscano in mani sbagliate. La destabilizzazione della Libia non permette al momento di procedere verso pianificati piani e precisi programmi a lungo termine. Nel sud in particolar modo poi, la situazione sul campo appare nettamente fuori controllo: intere lande del deserto sono preda di bande di criminali, ma anche di islamisti e jihadisti, oltre che di mercenari del Ciad. Non solo il governo di Tripoli qui non ha di fatto alcuna autorità, ma l’unico che al momento potrebbe ridare un po’ di stabilità è Khalifa Haftar che proprio nei giorni scorsi annuncia l’avvio di una campagna militare nel Fezzan. E fin quando non si risolve il discorso relativo al duello tra autorità di Tripoli ed autorità fedeli all’uomo forte della Cirenaica, è impossibile parlare di seri piani da concordare.
Tante buone intenzioni dunque, così come tanti numeri positivi: ma finché la Libia rimane con il suo quadro fortemente frastagliato, allora appare del tutto prematuro affrontare di netto tematiche delicate come quelle dell’immigrazione.
Il summit però è troppo importante per cancellarlo od affrontarlo senza la Libia. A Malta infatti si discute di immigrazione e si sbarchi verso l’Italia e gli altri paesi della regione. Un forum con tutti i ministri degli esteri del Mediterraneo occidentale, volto a fare il punto della situazione anche alle luce dei recenti casi che hanno riguardato le navi Ong.
Sul tavolo, Siyala porta dati e numeri che a prima vista sembrano dare responsi positivi: “Le partenze di migranti dalle nostra coste sono ridotte dell'80 per cento nell'ultimo anno”, afferma Siyala. Un trend iniziato nell’agosto del 2017, che vede però nelle iniziative italiane la spinte più significative per provare a frenare l’emergenza sbarchi. Del resto è proprio l’Italia il paese più esposto al flusso migratorio che parte dalla Libia.
Quando al Viminale siede ancora Marco Minniti, si elabora un piano con Al Sarraj per mettere un freno agli sbarchi che nel luglio 2017 raggiungono livelli record. Si danno soldi a Tripoli e si invia personale a riparare motovedette e ad addestrare equipaggi. Non che la cosa non sia realmente accaduta, ad inizio anno Al Sarraj presenzia ad una cerimonia di ingresso di nuove reclute nella guardia costiera. Ma in realtà diverse somme, come riportato da un’inchiesta della Reuters, vengono stornate ai gruppi che gestiscono il traffico di esseri umani che bloccano quindi nuove partenze.
Nel 2018 invece, la rotta libica subisce un drastico crollo di partenze dalle coste tripoline quando l’attività delle navi Ong viene messa in discussione. Una rotta quindi in cui i numeri parlano di un netto ridimensionamento ma non di una completa chiusura. Ed è per questo che lo stesso ministro Siyala avverte: “Servono maggiori fondi e nuovi impegni da parte dell’Europa”. Il nodo cruciale è il controllo delle frontiere meridionali del paese: dal Niger entrano ancora migliaia di migranti, molti di meno rispetto agli anni passati ma comunque sempre un gran numero. L’Italia in Niger ha una missione che serve ad addestrare i militari locali per fermare le carovane in partenza, mentre la Francia ha nel paese africano diversi soldati. Ma le rotte proseguono lo stesso.
Il governo libico vorrebbe dunque soldi e mezzi per fronteggiare l’emergenza che parte dal sud del paese. Ma il problema è sempre lì: il rischio è che i soldi in realtà finiscano in mani sbagliate. La destabilizzazione della Libia non permette al momento di procedere verso pianificati piani e precisi programmi a lungo termine. Nel sud in particolar modo poi, la situazione sul campo appare nettamente fuori controllo: intere lande del deserto sono preda di bande di criminali, ma anche di islamisti e jihadisti, oltre che di mercenari del Ciad. Non solo il governo di Tripoli qui non ha di fatto alcuna autorità, ma l’unico che al momento potrebbe ridare un po’ di stabilità è Khalifa Haftar che proprio nei giorni scorsi annuncia l’avvio di una campagna militare nel Fezzan. E fin quando non si risolve il discorso relativo al duello tra autorità di Tripoli ed autorità fedeli all’uomo forte della Cirenaica, è impossibile parlare di seri piani da concordare.
Tante buone intenzioni dunque, così come tanti numeri positivi: ma finché la Libia rimane con il suo quadro fortemente frastagliato, allora appare del tutto prematuro affrontare di netto tematiche delicate come quelle dell’immigrazione.
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