Per
l’Italia la caduta di Gheddafi è stata un autentico disastro: nel forum
italo – libico di Agrigento, al fianco di rinnovate volontà volte a
ricostruire i rapporti tra i due paesi, emerge forte la consapevolezza
dei danni provocati dalla guerra del 2011
Per
l’Italia la caduta di Gheddafi è stata un autentico disastro: nel forum
italo – libico di Agrigento, al fianco di rinnovate volontà volte a
ricostruire i rapporti tra i due paesi, emerge forte la consapevolezza
dei danni provocati dalla guerra del 2011
Mauro Indelicato
- Sab, 08/07/2017 - 20:55
Si
è concluso ufficialmente il primo forum Italo – Libico di Agrigento,
che ha visto protagoniste diverse aziende dei due paesi oltre alle
delegazioni governative di Roma e di Tripoli: a rappresentare il nostro
governo è stato il Ministro degli Esteri, Angelino Alfano, mentre per
l’esecutivo libico era presente il vice di Al Serraj, Ahmed Maitig.
Come già affermato nella giornata di venerdì presso la cornice del tempio della Concordia di Agrigento, l’intenzione primaria del forum è inerente al rilancio delle relazioni italo – libiche rispolverando i trattati di amicizia sottoscritti nell’agosto 2008 tra Berlusconi e Gheddafi a Bengasi; l’appuntamento siciliano ha avuto quindi carattere più economico che politico, non è un caso che ad intervenire sono stati numerosi rappresentanti di categorie produttive ed aziende che in passato hanno operato in Libia oppure di imprese che, nel prossimo futuro, sono interessate a cooperare all’interno del paese africano.
Sugli accordi sottoscritti all’interno della Valle dei Templi pesano e non poco le considerazioni, già espresse nelle scorse ore, dell’instabilità politica in Libia e della mancanza di sicurezza in un contesto di latente e continua guerra civile che va avanti dal 2011, da quando cioè è stato rovesciato il governo di Muhammar Gheddafi. Ma ad Agrigento è stato possibile notare, proprio in occasione del forum, quanti danni e quanti reali disastri stanno via via emergendo a sei anni dalla guerra contro l’ex rais: che la scelta ad opera della NATO di bombardare la Libia era da considerarsi altamente nociva per gli interessi italiani, era palese già all’epoca dei fatti; ma oggi, con più di un lustro di distanza dai raid che hanno contribuito a far fallire lo stato libico, i guai per il nostro paese è possibile vederli nella loro interezza tra progetti stroncati dalla guerra, crediti vantati e mai pagati e perdita del tradizionale ruolo politico dell’Italia nella sua ex colonia.
“E’ bene parlare molto chiaro, diverse aziende rischiano il fallimento per via dei tanti crediti che hanno con enti libici – ha dichiarato Gianfranco Damiano, presidente della Camera di Commercio italo – libica – Alcune imprese vantano crediti addirittura dagli anni 90, ma con la fine del governo di Gheddafi recuperare queste somme è ovviamente diventato molto più complicato”.
Nel forum sono emersi numeri molto
importanti riguardo proprio ai crediti di molte aziende italiane nel
paese africano e si parla, in particolare, di una cifra che sfora i 200
milioni di Euro soltanto per il periodo antecedente al 2011 e che non
tiene conto di quanto poi maturato dopo la guerra; costruzione di
infrastrutture negli anni 80 e 90, investimenti in settori energetici
così come anche ambientali, le aziende italiane in Libia hanno operato
in diversi settori accumulando però crediti che, a causa della caduta di
Gheddafi, sono diventati sempre più difficili da recuperare. Durante il
forum, sono state invitate le delegazioni dei due governi ad attuare
proprio questo sforzo: oltre alla garanzia della sicurezza nei territori
in cui si vorrà e potrà investire, è in primo luogo necessario
riprendere il cospicuo tesoretto dei crediti per evitare il fallimento
di numerose imprese ed il ripristino di condizioni di serenità per
futuri investimenti in Libia.
Oltre ai crediti vantati però, c’è la spinosa questione degli accordi economici legati agli sviluppi di numerosi progetti andati in fumo con la caduta di Gheddafi; tra tutti, spicca l’investimento per la nuova autostrada da Tripoli a Bengasi, un affare di diversi milioni di Euro frutto degli accordi del 2008 che però al momento sembra impossibile da portare avanti per via degli scontri tuttora presenti lungo l’asse in cui dovrebbe sorgere l’opera viaria più grande del paese africano: “In realtà il progetto è andato avanti – ha spiegato Federica Ribecchi, presidente del consorzio PMC dell’Anas – A livello burocratico si è potuto svolgere tutto in territorio italiano ed anche le procedure per gli appalti dei quattro macro lotti non si sono fermate così come, allo stesso modo, ogni adempimento contrattuale è stato garantito; le aziende chiedono però sicurezza per i futuri cantieri”. L’affare inerente l’autostrada è soltanto uno dei tanti previsti dagli accordi sottoscritti dal 2008 in poi, ma la guerra latente imperante in gran parte del paese non permette alle aziende di operare e di investire in quelle opere affidate ad imprese italiane; anche da questo punto di vista quindi, i danni derivanti dai raid volti a demolire il regime di Gheddafi sono ingenti per l’Italia.
Infine vi è anche un importante discorso politico: se prima le relazioni tra Roma e Tripoli erano privilegiate, in futuro il rischio è che essere non lo siano più e che nel paese africano lo spazio prima destinato all’Italia venga invece girato ad altri paesi; la preoccupazione di molti imprenditori giunti ad Agrigento per il forum riguarda proprio questa grave prospettiva. Dal canto suo, il Ministro Alfano nella conferenza stampa finale ha tenuto a rassicurare molti dei presenti: “L’Italia riconosce Al Serraj, ma dialoga con tutte le forze sul campo – ha affermato ai cronisti – L’apertura di un ufficio visti nell’est del paese e l’incontro tenuto a Roma nel mese di marzo tra le tribù del, dimostra come il nostro paese sia attivo nel promuovere accordi di stabilità tra i vari attori libici”. Ma le preoccupazioni restano: il forum ha voluto riavvicinare i due paesi e l’impressione è che l’Italia abbia intenzione di lanciare una vera e propria corsa dopo aver capito, in ritardo, l’errore non soltanto derivante dall’aver accettato i raid contro Gheddafi ma anche dalle mosse successive al 2011; pur tuttavia, le condizioni sono fortemente mutate e diametralmente opposte rispetto a quelle precedenti alla guerra e se, da un lato, sarà molto dura pensare ad una ricomposizione dello stato libico nel breve volgere di pochi anni, dall’altro lato si presenta ancora più difficile riproporre il nostro paese con un ruolo politico ben definito ed in continuità con quanto visto negli anni pre bellici.
Il conflitto del 2011 ha leso gravemente i nostri interessi nella nostra sponda mediterranea privilegiata: dal rischio fallimento di numerose imprese, fino alla questione energetica e senza dimenticare poi l’annosa tematica dell’immigrazione, i guai derivanti dalla caduta del precedente regime libico sembrano destinati a farsi sentire ancora per lungo tempo.
Come già affermato nella giornata di venerdì presso la cornice del tempio della Concordia di Agrigento, l’intenzione primaria del forum è inerente al rilancio delle relazioni italo – libiche rispolverando i trattati di amicizia sottoscritti nell’agosto 2008 tra Berlusconi e Gheddafi a Bengasi; l’appuntamento siciliano ha avuto quindi carattere più economico che politico, non è un caso che ad intervenire sono stati numerosi rappresentanti di categorie produttive ed aziende che in passato hanno operato in Libia oppure di imprese che, nel prossimo futuro, sono interessate a cooperare all’interno del paese africano.
Sugli accordi sottoscritti all’interno della Valle dei Templi pesano e non poco le considerazioni, già espresse nelle scorse ore, dell’instabilità politica in Libia e della mancanza di sicurezza in un contesto di latente e continua guerra civile che va avanti dal 2011, da quando cioè è stato rovesciato il governo di Muhammar Gheddafi. Ma ad Agrigento è stato possibile notare, proprio in occasione del forum, quanti danni e quanti reali disastri stanno via via emergendo a sei anni dalla guerra contro l’ex rais: che la scelta ad opera della NATO di bombardare la Libia era da considerarsi altamente nociva per gli interessi italiani, era palese già all’epoca dei fatti; ma oggi, con più di un lustro di distanza dai raid che hanno contribuito a far fallire lo stato libico, i guai per il nostro paese è possibile vederli nella loro interezza tra progetti stroncati dalla guerra, crediti vantati e mai pagati e perdita del tradizionale ruolo politico dell’Italia nella sua ex colonia.
“E’ bene parlare molto chiaro, diverse aziende rischiano il fallimento per via dei tanti crediti che hanno con enti libici – ha dichiarato Gianfranco Damiano, presidente della Camera di Commercio italo – libica – Alcune imprese vantano crediti addirittura dagli anni 90, ma con la fine del governo di Gheddafi recuperare queste somme è ovviamente diventato molto più complicato”.
Oltre ai crediti vantati però, c’è la spinosa questione degli accordi economici legati agli sviluppi di numerosi progetti andati in fumo con la caduta di Gheddafi; tra tutti, spicca l’investimento per la nuova autostrada da Tripoli a Bengasi, un affare di diversi milioni di Euro frutto degli accordi del 2008 che però al momento sembra impossibile da portare avanti per via degli scontri tuttora presenti lungo l’asse in cui dovrebbe sorgere l’opera viaria più grande del paese africano: “In realtà il progetto è andato avanti – ha spiegato Federica Ribecchi, presidente del consorzio PMC dell’Anas – A livello burocratico si è potuto svolgere tutto in territorio italiano ed anche le procedure per gli appalti dei quattro macro lotti non si sono fermate così come, allo stesso modo, ogni adempimento contrattuale è stato garantito; le aziende chiedono però sicurezza per i futuri cantieri”. L’affare inerente l’autostrada è soltanto uno dei tanti previsti dagli accordi sottoscritti dal 2008 in poi, ma la guerra latente imperante in gran parte del paese non permette alle aziende di operare e di investire in quelle opere affidate ad imprese italiane; anche da questo punto di vista quindi, i danni derivanti dai raid volti a demolire il regime di Gheddafi sono ingenti per l’Italia.
Infine vi è anche un importante discorso politico: se prima le relazioni tra Roma e Tripoli erano privilegiate, in futuro il rischio è che essere non lo siano più e che nel paese africano lo spazio prima destinato all’Italia venga invece girato ad altri paesi; la preoccupazione di molti imprenditori giunti ad Agrigento per il forum riguarda proprio questa grave prospettiva. Dal canto suo, il Ministro Alfano nella conferenza stampa finale ha tenuto a rassicurare molti dei presenti: “L’Italia riconosce Al Serraj, ma dialoga con tutte le forze sul campo – ha affermato ai cronisti – L’apertura di un ufficio visti nell’est del paese e l’incontro tenuto a Roma nel mese di marzo tra le tribù del, dimostra come il nostro paese sia attivo nel promuovere accordi di stabilità tra i vari attori libici”. Ma le preoccupazioni restano: il forum ha voluto riavvicinare i due paesi e l’impressione è che l’Italia abbia intenzione di lanciare una vera e propria corsa dopo aver capito, in ritardo, l’errore non soltanto derivante dall’aver accettato i raid contro Gheddafi ma anche dalle mosse successive al 2011; pur tuttavia, le condizioni sono fortemente mutate e diametralmente opposte rispetto a quelle precedenti alla guerra e se, da un lato, sarà molto dura pensare ad una ricomposizione dello stato libico nel breve volgere di pochi anni, dall’altro lato si presenta ancora più difficile riproporre il nostro paese con un ruolo politico ben definito ed in continuità con quanto visto negli anni pre bellici.
Il conflitto del 2011 ha leso gravemente i nostri interessi nella nostra sponda mediterranea privilegiata: dal rischio fallimento di numerose imprese, fino alla questione energetica e senza dimenticare poi l’annosa tematica dell’immigrazione, i guai derivanti dalla caduta del precedente regime libico sembrano destinati a farsi sentire ancora per lungo tempo.
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