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mercoledì 16 luglio 2014

Asmara-Milano passando per la Libia "Dove è meglio non farsi vedere in giro, ché li ti sparano"

Le testimonianze di rifugiati eritrei a Milano che sognano di arrivare in Germania. Storie si ascoltano sotto gli alberi di piazza Oberdan, storico quartiere eritreo in pieno centro. Soprattutto adolescenti soli e uomini, ma anche donne e bambini; da una sera all'altra, non sono quasi mai gli stessi, perché il capoluogo lombardo è terra di transito in attesa di ripartire andare verso il Nord Europa

di STEFANO PASTA
3 luglio 2014
MILANO - Filimon, 17 anni, trema di freddo anche se è giugno e indossa un giaccone caldo. È scappato dall'Eritrea tre anni fa per evitare il servizio militare. Dopo aver attraversato l'Etiopia, il Sudan, la Libia, poi la barca, Agrigento e ora Milano, sogna di arrivare in Germania per aiutare i suoi fratelli. Facendo il segno della pistola, indica una ferita al braccio che ha fatto infezione e spiega: "In Libia è pericoloso girare per le strade". Accanto a lui, un ragazzino di 14 anni, che viaggia solo, racconta che suo fratello Yesuss ha preso una barca, ma non risponde più via Facebook e non sa se sia rimasto in fondo al mare o in qualche parte d'Italia.


In fuga dalla dittatura. Anche un ex insegnante di biologia, che tutti chiamano "Teacher", mi mostra la foto di un nipote di cui non ha notizie. "Teacher", che è stato rapito per 5 mesi nel deserto del Sinai finché i parenti non hanno pagato il riscatto, fugge da una delle dittature più dure del mondo, quella di Afewerki. Mi spiega: "Tutti hanno paura, perché se parli male del governo in pubblico rischi di essere denunciato. Fare questo viaggio è pericoloso, ma almeno qui sono libero di parlare con te. Anche a scuola chiedono ai bambini di spiare i genitori in casa".

Nel quartiere eritreo di Milano. Queste storie si ascoltano sotto gli alberi - e a volte la pioggia - di piazza Oberdan, storico quartiere eritreo in pieno centro di Milano. Sono soprattutto adolescenti soli e uomini, ma anche alcune donne e bambini; da una sera all'altra, non sono quasi mai gli stessi, perché il capoluogo lombardo è uno snodo di quello che è diventato l'Italia: una terra di transito, in cui ci si ferma qualche giorno, in attesa di ripartire andare verso il Nord Europa.

Un luogo di transito. Da metà maggio ad oggi, una parte dei profughi eritrei (2.343 persone) ha trovato ospitalità nei dormitori del Comune, dove ogni sera sono ospitate 200 persone. È una nuova emergenza umanitaria che si unisce a quelle dei siriani che transitano da Milano (oltre 10.600 dalla fine di settembre). Da tempo il Comune chiede a Roma di assumere la regia: "Arrivano circa mille rifugiati al giorno - spiega Pisapia - siamo veramente al limite. La responsabilità è del Governo, che non dà disposizioni in modo da diluire l'accoglienza, e in particolare del ministero dell'Interno, che non è riuscito a distribuire su tutto il territorio in modo da diversificare le responsabilità e anche la capacità di accoglienza". Fino a due settimane fa, per gli eritrei la Prefettura negava un'accoglienza simile a quella organizzata per i siriani. Così, a inizio giugno, Tsega, 11 mesi, ha passato tre notti milanesi per strada; stessa sorte di Lucy, al quinto mese di gravidanza.

Una rotta alternativa. I profughi arrivano quasi tutti dalla rotta libica e dagli sbarchi del Sud Italia, anche se qualcuno, dopo il Sudan, ha puntato su una strada alternativa: Egitto, Siria, Turchia, Grecia, Macedonia, Albania, per poi attraversare l'ex Jugoslavia in camion fino la frontiera di Trieste. Come Mered, che ha perso due dita sulle montagne macedoni per il freddo.

Quando la solidarietà ha un prezzo. Alcune persone di origine eritrea ed etiope di Milano - giovani cresciuti qui, ma anche adulti emigrati anni fa - ogni giorno spiegano ai profughi come accedere ai dormitori. Per loro, quest'aiuto ha un prezzo: i loro nomi sono stati schedati da "spie" del consolato, rischiano di non avere i passaporti rinnovati perché "traditori" e la parte della comunità eritrea milanese vicina a Afewerki li critica aspramente. Con loro, la Comunità di Sant'Egidio da inizio maggio distribuisce cibo e acqua, ricevendo la gratitudine dei profughi: "God bless you" è la frase più ricorrente, pronunciata sia da cristiani che da musulmani. Altri milanesi si sono uniti a Sant'Egidio, dalla maestra che ogni sera distribuisce la frutta avanzata a scuola, ad alcune famiglie che hanno aperto le proprie case per ospitare donne e bambini.

Notizie da chi passa la frontiera. Appena arrivano i soldi dai parenti all'estero, ci si affida ai passeur per attraversare le frontiere europee. Via Facebook arrivano le notizie agli amici di Sant'Egidio: Teun è a Calais, in attesa di attraversare il tunnel della Manica, Morow ha dovuto scegliere la Svizzera perché andare più lontano costava troppo; Abdallah invece è riuscito a raggiungere la Germania, chiama via Skype e presenta i parenti. Moses scrive in inglese a un amico milanese: "Caro Fratello, grazie per quella notte che mi hai accompagnato al dormitorio: non vedevo un letto da settimane. Ora sono arrivato in Svezia, inizia il sogno di una nuova vita".

Fonte: http://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2014/07/03/news/asmara-milano_passando_per_la_libia_dove_meglio_non_farsi_vedere_in_giro_ch_li_ti_sparano-90623788/

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