16 ottobre, 2013 - 15:47 | Da Ferro Ferrarese
L'immigrazione è uno dei temi che tante persone considerano un tabù o peggio ancora lo affrontano come se fossero in uno stadio dove le opposte tifoserie si insultano.
Ritengo ci siano diverse questioni da conoscere e comprendere prima di lanciarsi in qualunque giudizio o proposta fattiva, senza minimamente comprendere di esserne vittime (con modalità e strumenti diversi) proprio come gli stessi immigrati.
Quando si vedono centinaia di bare allineate in un hangar o le immagini dei naufragi nel canale di Sicilia, è naturale un moto di pietà verso chi, sognando una vita diversa, ha trovato la morte. Ed è altrettanto naturale e doveroso prestare soccorso ai naufraghi. E' un obbligo del diritto marittimo sancito e in vigore sia in contesto di guerra (Convenzioni di Ginevra e allegati Protocolli), che di pace. Rispetto dunque alla campagna di disinformazione su chi presta soccorso – che secondo qualche disinformato – sarebbe perseguito penalmente per 'favoreggiamento alla clandestinità', non vi è nulla di più insussistente. Anzi, il non soccorso dei naufraghi diverrebbe immediatamente reato di omissione di soccorso.
Ma procediamo per gradi, per inquadrare il tema, dal momento che inevitabilmente, quando si parla di immigrazione, si accende la retorica dei diritti umani, per cui si finisce con il fare di tutte le erbe un fascio: “sono disperati che fuggono dalla morte, dalle guerre nei loro paesi, e che devono invece vedersi riconosciuti tutti i diritti umani.”
A costo di sembrare dura, vorrei però fare riflettere su due punti nevralgici: innanzitutto sul fatto che spesso quelle guerre da cui si fugge sono finanziate e alimentate, quando non direttamente condotte con l'ausilio anche Italiano (si pensi alla Libia o al finanziamento dei terroristi, chiamati con il termine artificiale di ribelli, in Siria). In secondo luogo, c'è un paradosso: quelle stesse guerre alle quali partecipiamo (direttamente o con sostegno politico ed economico), sono spesso giustificate – nonostante si tratti di palesi violazioni dell'articolo 11 della nostra Costituzione – proprio con la cosiddetta difesa dei diritti umani.
All'insegna di questa etichetta, ossia dei diritti umani, si conducono di fatto massicce violazioni al diritto internazionale, giungendo al gravissimo illecito di vere e proprie guerre preventive e allo scatenamento di guerre civili (come anche in Egitto), dalle quali un numero crescente di profughi si allontana terrorizzato. Come scriveva Hedley Bull (The anarchical society, Macmillan, 1977, p.152): “Portata alle sue conseguenze logiche estreme la dottrina dei diritti e dei doveri umani ha un carattere sovversivo nei confronti dell'intero principio che l'umanità debba essere organizzata come una società di Stati sovrani. Infatti, se i diritti di ogni uomo possono essere rivendicati sulla scena politica mondiale al di sopra e contro le pretese di uno Stato, ed i suoi doveri messi in luce senza tener conto della sua posizione come suddito o cittadino di tale Stato, allora la posizione di tale Stato come un corpo dotato di sovranità sopra i suoi cittadini, e autorizzato a pretendere la loro obbedienza, è stata messa i dubbio, e la struttura della società internazionale è stata posta in pericolo.” Nel libro “L'imperialismo dei diritti umani” del 2001, Antonio Gambino (fondatore de L'Espresso) spiega lucidamente che: “un'azione che si dichiara ispirata alla volontà di eliminare una violazione dei diritti umani subita da alcuni individui non può in nessun caso realizzarsi producendo, contemporaneamente, una violazione degli stessi diritti in altri soggetti.” E non vi è dubbio che ciò avvenga con l'immigrazione irregolare, dal momento che trattandosi di ingressi clandestini, i disperati non possono entrare nel mercato ufficiale del lavoro e finiscono per essere sfruttati dalla criminalità organizzata, o per diventare oggetto di una vera e propria tratta degli umani (o in alcuni casi degli organi umani); nei casi più 'fortunati', questi diventano manodopera a basso costo, priva di tutele, che finisce per abbassare i salari medi e influisce su quegli stessi diritti conquistati dai lavoratori regolari in anni di dure lotte.
Andando più nello specifico, anche per quanto concerne il discusso reato di clandestinità bisogna sgombrare il campo dal polverone delle tifoserie partitiche. Un reato è un atto umano, commissivo o omissivo, al quale l'ordinamento giuridico ricollega una sanzione penale: entrare in un paese senza avere i requisti previsti dalla legge (documenti di identità idonei, visto di ingresso se previsto, eventuale assicurazione sanitaria) significa adottare un comportamento penalmente rilevante, poiché omissivo di quanto previsto dalla legge. Dal 2009 anche in Italia è in vigore il reato contravvenzionale di immigrazione e soggiorno illegale. Contravvenzionale, in base al codice penale (art.17), significa che può prevedere la pena dell'arresto o dell'ammenda. D'altra parte, anche un cittadino italiano che si rifiuti di fornire le indicazioni sulla propria identità personale a un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni (Giudice, forze dell'ordine) commette un reato penale (art.651 c.p.). Quindi onestamente fatico a capire chi si ostina a chiedere la cancellazione del reato di clandestinità, visto che oltretutto la pena è l'arresto e non la detenzione e che di conseguenza si svela la falsità di tutto il ritornello sul sovraffollamento delle carceri – finalizzato a ben altri scopi. Se la presenza degli immigrati è rilevante all'interno delle nostre carceri, non è dovuto al loro ingresso clandestino, bensì al fatto che hanno commesso – una volta entrati – altre tipologie di reati delittuosi (che prevedono appunto la detenzione). Rispetto ai contenuti del provvedimento istitutivo del reato di clandestinità, la stessa Corte Costituzionale italiana ha stabilito con sentenza n.250/2010 che rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore e che non ha aspetti di incostituzionalità.
Nonostante ciò, una serie di intellettuali fra cui Andrea Camilleri, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, hanno firmato un 'appello contro il ritorno delle leggi razziali in Europa', sostenendo che il soggetto della discriminazione non erano più gli ebrei, bensì gli immigrati irregolari. Peccato: gli sarebbe bastato non inciampare nella trappola della guerra psicologica sulle masse, alimentata dalla partitocrazia, e leggere quanto previsto in altri paesi europei, come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, piuttosto che negli Usa o in Israele, per accorgersi della cecità della loro azione. Anche diversi giuristi, fra cui Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, hanno redatto un appello contro l'introduzione dei reati di ingresso e soggiorno illegale dei migranti, evidenziando quella che secondo loro è la criminalizzazione delle condizioni personali dei disperati che giungono nel nostro paese, con il risultato di avere dei giuristi che contribuiscono ad annebbiare il panorama.
Un panorama politico, normativo e giuridico che non può basarsi sulla strumentalizzazione dell'immigrazione clandestina a scopi anti-berlusconiani o elettorali, perché questo significherebbe aver dimenticato del tutto che gli attuali CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione, si chiamavano prima CPT, cioè Centri di Permanenza Temporanea, ed erano stati istituiti molti anni prima dall'articolo 12 della legge Turco-Napolitano (L.40/98) per trattenere gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera" nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile. Perchè dunque ciò che prima era accettato, con la Bossi Fini diventa recentemente un ritorno delle leggi razziali o una violazione dei diritti personali? E se anche oggi si cancellasse la Bossi-Fini, un ritorno alla Turco-Napolitano, risolverebbe forse il problema? Ogni legge è perfettibile e se vi sono condizioni di vita disumane nei CIE è evidente che si deve intervenire, ma è altrettanto palese che è in corso una manipolazione partitico-politica dell'argomento, così come balza agli occhi il fatto che il duo Boldrini-Kyenge sta facendo ammuina sulla questione dei rifugiati.
In Italia la Convenzione sullo status dei rifugiati entra in vigore il 13 febbraio 1955; più recentemente il decreto legislativo 251 del 2007 ha recepito la direttiva europea che introduce il concetto di protezione internazionale comprendente lo status di rifugiato, oltre alla protezione sussidiaria riconosciuta a chi, pur non avendo i requisiti per lo status di rifugiato, non può rientrare nel proprio paese a causa di un conflitto armato in corso, o perchè subirebbe trattamenti o torture inumane e degradanti. Basta leggere quanto appare sul sito del Ministero dell'Interno per sapere che possono richiedere asilo ed acquisire lo status di rifugiati le persone che “trovandosi fuori dal Paese in cui hanno residenza abituale, non possono o non vogliono tornarvi per il timore di essere perseguitate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche. Possono richiedere asilo nel nostro Paese presentando una domanda di riconoscimento dello "status di rifugiato".” Fra l'altro, vi si trova anche che la richiesta può essere fatta al momento dell'ingresso in Italia all'Ufficio di Polizia di Frontiera o all'Ufficio immigrazione della Questura competente per territorio. Sarebbe utile per le ministre italiane la rilettura di questa guida facilmente reperibile: http://www.progettoicare.com/temp/doc_guide/RICHIESTA%20DI%20ASILO.pdf dopodichè tutte le mistificazioni e la disinformazione che porta a sostenere la necessità di cancellare il reato di immigrazione clandestina, si risolverebbe con un fuoco fatuo e la morte di ogni menzogna.
Stando ai vari articoli in rete, infatti, il costo per un viaggio della morte sarebbe, a seconda delle fonti, fra i 1500 e i 5000 euro per persona: dal momento che fra volo low cost, pagamento del Visto (se dovuto), assicurazione sanitaria e dimostrazione dei mezzi di sussistenza (indicati questi ultimi dal Ministero degli Esteri in un totale di 2716,68 euro per la permanenza di 90 giorni di una famiglia composta da ben 4 persone, e quindi con tutto il tempo per la regolarizzazione della posizione) ci sarebbe da versare - per un ingresso in piena regola e in totale sicurezza - un totale ben inferiore alle cifre richieste dagli scafisti dei viaggi della disperazione. E quindi scattano immediatamente delle domande legittime: chi trae profitto dalle carrette dei mari? Chi alimenta questa moderna tratta degli schiavi, spesso composti da donne e bambini? A chi serve? E soprattutto a cosa serve?
Trincerarsi dietro il paravento dello shock emotivo (con la leva del senso di colpa o della paura del diverso), facendo passare provvedimenti legislativi autolesionisti per i cittadini italiani e irrispettosi delle stesse condizioni di vita future dei clandestini è ipocrita. Fare il gioco dei partiti di destra e di sinistra significa essere servi e complici di questo stesso sistema. Possibile che non ci si renda conto che oggi il problema dell'immigrazione serve per destabilizzare l'Italia (e l'Europa) e per impoverire ulteriormente i paesi che stiamo già depredando con guerre o con il saccheggio di tante multinazionali?
Fonte: http://testelibere.it/blog/immigrazione-chi-giova
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