19 marzo 2014
A quasi tre anni dal conflitto affermare che il bilancio è sconfortante suona quasi come un eufemismo. La Libia oggi non possiede ancora una costituzione, le massime autorità del paese come il premier Ali Zeidan sono continuamente messe in discussione - pensiamo al suo rapimento nell'ottobre scorso - la stagnazione della produzione petrolifera sta conducendo il paese ad una crisi economica senza precedenti, e la sicurezza dei cittadini è ormai una chimera in assenza di un'autorità e di un potere stabile.
di Andrea Minciaroni
21 novembre 2011. Mentre Muammar Gheddafi viene assassinato con l’aiuto dei droni Francesi ed Americani che bombardano il convoglio in fuga del Ràis e la solita disinformazione tramuta un’azione pianificata nei minimi dettagli dalle forze NATO, come il giusto riscatto perpetuato dai giovani ribelli che lottano in nome della democrazia, la Libia cambia volto dopo quattro decenni. Dopo ben quarantadue anni il regime del colonnello Gheddafi crolla nel deserto di Sirte dando il via ad una nuova fase salutata con grande entusiasmo dalla comunità internazionale capitanata da Stati Uniti e Francia. Da quel momento sono passati due anni e cinque mesi. Proviamo a fare un bilancio dei cambiamenti che il paese ha attraversato in questo periodo. Cos’è cambiamento da allora ? Il popolo libico ha migliorato il proprio tenore di vita ? Che fine ha fatto quel fenomeno definito come Primavera Araba che sembrava in grado di sovvertire ogni potere costituito in favore della democrazia ?
Partiamo da una prima considerazione: la complessa struttura etno antropologica della Libia. La Libia è composta da circa 140 etnie distribuite lungo un perimetro territoriale enorme, attraversato da diverse città, da Tripoli, la capitale, fino a Bengasi, Sirte e Misurata. Queste città, a seconda dell’insediamento e dell’appartenenza etnica delle diverse comunità che le compongono, hanno preso parte in modo attivo al conflitto del 2011 schierandosi in alcuni casi con le forze armate del Ràis e in altri casi con i ribelli. Tale dinamica ha dato vita ad una vera e propria guerra civile che ha portato alla lacerazione di quella struttura di potere ideata da Gheddafi dopo il colpo di stato del 1969, definita come la Grande Jamhairyya Libica Socialista.
Al di là della figura carismatica di Gheddafi, non solo per la Libia ma per diversi paesi Africani dove ha svolto un ruolo attivo di contrasto agli interessi delle potenze straniere ( si veda il progetto politico dell’Unione Africana ) assumendo una leadership riconosciuta da diversi paesi, la vera capacità che ha dato una forma duratura al suo regime è stata quella di aver saputo attenuare le conflittualità inter etniche all’interno del proprio. Tramite la propria autorità Il Rais è riuscito nel corso del tempo ad ergersi a guida suprema, a pacificatore di istanze diverse e in lotta tra loro, grazie anche all’abilità con cui è riuscito a stringere alleanze con diverse comunità locali dai Warfalla fino ai Megarich di Fizzan, per citare solo due delle più grandi etnie che compongono il mosaico antropologico della Libia.
Dopo la sua caduta e l’ascesa al potere del consiglio nazionale di transizione (CNT) grazie al supporto e il finanziamento dei paesi occidentali e degli Stati Uniti, tali conflitti, attenuati durante il suo mandato ma mai sopiti del tutto, sono riemersi più forti che mai gettando il paese in una spirale di violenza che dopo quasi tre anni ancora non sembra terminare. Al di là dell’aspetto economico, relativo al crollo della produzione industriale ed energetica che ha portato il paese che vanta le maggiori risorse petrolifere dell’intero continente ad acquistare gas e combustibile per mantenersi in vita, è soprattutto l’instabilità politica l’elemento che domina lo scenario della Libia di oggi. Solo qualche giorno fa le milizie armate capitanate dal generale Khalifia Aftar, che ha svolto un ruolo di primo piano nel crollo del regime di Gheddafi, hanno occupato la città di Tripoli dichiarando sciolto il parlamento e il congresso generale nazionale, la massima autorità istituzionale che governa attualmente il paese.
Mentre l’attenzione mediatica sembra ormai completamente svanita, insieme a quelle retoriche diritto-umaniste applicate solo a determinati personaggi, spesso scomodi o invasivi rispetto ai piani delle potenze straniere, la Libia continua oggi a essere attraversata da guerriglie Inter etniche, da attentati, da violenze e discriminazioni che impediscono al paese di uscire dal caos in cui è immerso da quando l’operazione Unified Protector della NATO ha dato il via al crollo del regime.
La destabilizzazione perpetuata grazie anche al contributo del nostro paese che nel giro di qualche mese è passato dalla ratifica di un tratto di amicizia, all’approvazione dell’intervento armato attraverso l’appoggio prima aereo, e poi navale con il supporto del cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, ha portato alla lacerazione del tessuto sociale economico e culturale dell’intera Libia. Tale lacerazione si è estesa anche ai paesi circostanti causando una frantumazione geopolitica perpetuata in assenza delle capacità strategico diplomatiche di Muammar Gheddafi. Si pensi alla rivolta dei Tuareg del Mali, che a seguito della caduta del regime libico sono ritornati in terra natìa dando vita al movimento nazionale di Liberazione dell’Azawad capitanato da milizie indipendentiste rispetto all’ esercito nazionale e armate grazie agli arsenali ottenuti durante la guerra civile libica.
A quasi tre anni dal conflitto affermare che il bilancio è sconfortante suona quasi come un eufemismo. La Libia oggi non possiede ancora una costituzione, le massime autorità del paese come il premier Ali Zeidan sono continuamente messe in discussione – pensiamo al suo rapimento nell’ottobre scorso – la stagnazione della produzione petrolifera sta conducendo il paese ad una crisi economica senza precedenti, e la sicurezza dei cittadini è ormai una chimera in assenza di un’autorità e di un potere stabile.
A quanto pare, come la storia recente insegna, la Libia sembra aggiungersi a quella lunga serie di paesi che a seguito degli interventi e dei progetti militari della NATO sono incapaci di ristabilire un ordine costituito, ma anzi vivono oggi in uno stato di allerta continuo, isolati da quella stesse forze che hanno promesso di strapparli dai poteri dispotici con cui hanno vissuto per lungo tempo.
Preso da: http://www.lintellettualedissidente.it/la-libia-dopo-muammar-gheddafi-un-bilancio-sconfortante/
Nessun commento:
Posta un commento