novembre 28, 2017 Al Manar,
Il regime di Vichy non uccise gli ebrei, si “accontentò” di consegnarli ai loro carnefici tedeschi; Israele non uccide i richiedenti asilo, li manda a morte a centinaia, con la complicità attiva di Ruanda ed Uganda, rivela una lunga indagine del quotidiano Haaretz. Il sistema sviluppato dai leader dei tre Paesi per liberare Israele dai migranti privi di documenti, in particolare quelli che fuggono dalla dittatura in Eritrea, credendo di trovare la salvezza nella “Terra Promessa”, è intelligente. Innanzitutto, Israele ha adottato una legislazione che le consente di mantenere indefinitamente in detenzione i richiedenti asilo arrestati durante i raid di massa, come il sistema di detenzione amministrativa imposto a centinaia di palestinesi in modo permanente. Ma poi c’è il problema di rimandare questi sfortunati non nel loro Paese di origine, ma su una cosiddetta base “volontaria” in un altro Paese ospitante: questo è il contributo di Ruanda ed Uganda. Israele paga così 5000 dollari a questi due Paesi per ogni immigrato espulso “volontariamente”.
Per avere il “consenso” di questi ultimi, i servizi contro l’immigrazione clandestina vanno nei centri di detenzione e li ricattano: “O resti a tempo indeterminato in prigione, o vai in Ruanda dove ti verrà rilasciato un permesso di soggiorno e un permesso di lavoro“. Senza dare per scontato il discorso della polizia, centinaia di africani privi di documenti, rimasti in terra israeliana per anni, accettano la proposta, secondo il giornalista Lior Birger del quotidiano Haaretz. Dopo una lunga inchiesta sui sopravvissuti che l’ha portato per tutta Europa, Birger, in collaborazione con i colleghi Shahar Shoham e Liat Boltzman, ha scoperto che l’arrivo in Rwanda era il più delle volte l’inizio di un lungo calvario, segnato da traffico di carne umana, tortura e spesso morte, tra Libia e acque del Mediterraneo. “Appena arrivati all’aeroporto di Kigali in Ruanda, ai deportati confiscano l’unica documentazione in possesso, il lasciapassare datogli dagli israeliani all’imbarco. Sono rinchiusi in una stanza d’albergo. Quindi vengono informati che devono lasciare rapidamente il Paese. I ruandesi poi li consegnano ai contrabbandieri che li trasferiscono, contro il pagamento di centinaia o addirittura migliaia di dollari, in Uganda, poi nel Sud Sudan, in Sudan e da lì in Libia, da dove cercheranno di guadagnare l’Europa“, scrivono gli autori dell’inchiesta. “In considerazione delle decine di testimonianze che abbiamo raccolto e delle nostre ricerche, stimiamo che diverse centinaia di questi rifugiati siano morti per tortura e maltrattamenti in Libia, o siano annegati nel Mediterraneo”, aggiungono.
La testimonianza di Tesfay (nome di fantasia), espulso da Israele nel
dicembre 2015 dopo aver lavorato per diversi anni come addetto alle
pulizie in un hotel nella località turistica di Eilat, incontrava gli
autori in una piccola città della Germania nell’estate del 2017: “La
nostra barca lasciò la Libia verso le 4 del mattino; due ore dopo, il
suo motore si fermò; dei 500 passeggeri, non più di 100 sopravvissero;
in 10 eravamo da Israele, e siamo sopravvissuti solo tre. Perché? Non
siamo anche noi esseri umani?” Dawit (nome di fantasia) fu trovato
dai giornalisti israeliani a Berlino. Anche lui, prima di essere
fermato, aveva trascorso 5 anni a Tel Aviv dove lavorava in un
ristorante. “Se ne andò ‘volontariamente’ in Ruanda circa due anni
fa. Alcuni mesi prima si era recato alla stazione di polizia per il
rinnovo del permesso di soggiorno provvisorio e fu immediatamente
inviato al centro di detenzione dell’immigrazione di Holot nel deserto
del Negev; lì fu messo sotto pressione, lasciandogli la “scelta” tra
anni di prigione o partenza per il Ruanda. Dawit cedette e se ne andò
con la moglie incinta di due mesi“. In Libia, i contrabbandieri
misero Dawit su una barca e la moglie su un’altra che affondò subito,
affogando le centinaia di sfortunati a bordo. “I sopravvissuti
all’azione del governo israeliano che abbiamo incontrato in Europa sono
fortunati, ma c’è il dubbio che un giorno possano curare le conseguenze
psicologiche del loro calvario. In Germania, dove finalmente arrivarono
Tesfay e Dawit, il 99% degli eritrei ottiene il permesso di soggiorno e
nel 2016 l’81% di loro ebbe riconosciuto lo status di rifugiato”.
Ma Tesfay e Dawit esortano i compagni ancora in Israele a non accettare,
se vengono arrestati, la deportazione “volontaria” in Ruanda, poiché il
pericolo è grave.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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