Nel Febbraio del 1981, durante i lavori per la realizzazione di una
serra (Giardini del 7 Aprile) in località Suq el Kedim (Mercato
Vecchio), situata a 18 Km ad Ovest dell’odierna città di Misurata, in
Libia, è stato casualmente rinvenuto uno dei più grandi tesori
dell’antichità.
Il personale della Soprintendenza Archeologica di Leptis Magna che
ebbe purtroppo la possibilità di intervenire solo dopo che l’opera di
spianamento del terreno con una ruspa era stata quasi del tutto
compiuta, recuperò circa 108000 monete tardoromane in bronzo argentato,
dal peso complessivo di oltre 600 kg.
Le
monete erano conservate entro grossi vasi (olle, anfore, brocche),
interrate poco al di sotto del piano originario di un cortile – o
comunque un ambiente sub divo – delimitato su due lati da due blocchi di
costruzione rustica in pietra e calcina: all’interno dei due blocchi
erano ricavati diversi ambienti, in alcuni dei quali furono trovate
tracce di incendio, che fanno pensare ad una distruzione violenta.
Il restauro e lo studio del tesoro, affidati al dr. Salvatore
Garraffo, Direttore dell’Istituto per le tecnologie applicate ai Beni
Culturali, CNR, sono stati condotti in maniera sistematica a partire del
1998 grazie alla disponibilità di fondi adeguati a seguito di
finanziamenti da parte del CNR, del Ministero degli Esteri e del MIUR,
con la costituzione di una Missione di studio attiva per uno/due mesi
anno presso il Museo Archeologico di Leptis Magna: ad essa partecipano,
oltre al personale dell’ ITABC, studiosi dell’Università di Catania e
dell’INFN-LNS (Catania), e un nutrito gruppo di ricercatori,
restauratori e tecnici dell’IBAM.
Il tesoro si rivela infatti di eccezionale interesse non solo per la
enorme quantità di monete, ma anche per l’ottimo stato di conservazione
della maggior parte di esse: fornisce pertanto l’irrinunciabile
occasione di effettuare anche campionature statisticamente significative
per studi chimico-fisici finalizzati alla comprensione degli aspetti
composizionali e tecnologici delle monete e, in particolare, alla
ricostruzione del processo di realizzazione di questi nominali.
L’attività in loco del gruppo di ricerca è stata interrotta dopo la
Rivoluzione del 2011 e la situazione di instabilità successivamente
determinatasi; sarà ripresa non appena le condizioni generali del Paese
lo permetteranno in un clima di sicurezza.
Allo stato attuale tutte le monete del tesoro sono state restaurate,
ad eccezione di un migliaio di pezzi, lasciati nel loro stato originario
– e comunque pienamente leggibili – per studi composizionali futuri.
Circa 85000 nominali sono stati sinora dettagliatamente catalogati
(singolarmente e non per gruppi di emissioni), utilizzando un sistema informatico opportunamente
progettato e realizzato per gestire l’immensa mole dei dati eterogenei
(storico-numismatici tradizionali, composizionali, da foto digitali a
campione, etc.) relativi a ciascuno di essi.
Rimangono da esaminare in dettaglio circa 23000 monete, delle quali è
stata già eseguita una ricognizione speditiva, allo scopo di tracciare
un quadro definitivo della cronologia e della composizione del tesoro.
Tenendo conto della complessità del ritrovamento, le monete sono
state catalogate per contenitore al fine di chiarire il processo di
raccolta in ciascuno di questi. Sin dall’inizio è infatti apparso chiaro
che le monete non erano state introdotte casualmente nei vasi, bensì
intenzionalmente raggruppate in relazione al decrescere del peso, del
modulo e, in particolare, del contenuto in fino di argento, ovvero per
progressione cronologica.
A parte qualche decina di antoniniani residuali di III secolo, tutte
le monete del tesoro si datano tra il 294 ed il 333 d.C. Trattasi quasi
sempre di nummi (folles), monete in bronzo con patina superficiale in
argento, battute a partire dalla riforma monetaria di Diocleziano e
pesanti in media, nella fase più antica, ca. 10 g., per scendere sino a
ca. 2,50 g. in quella più tarda: pochissimi i nominali frazionari.
Tra l’enorme numero di monete del tesoro, si notano non pochi
esemplari inediti o rari, quali, ad esempio, di L. Domitius Alexander,
di Massenzio, di Costantino I, Licinio, e rispettivi figli.
Rimangono ancora senza sicura risposta molti interrogativi suscitati
da questo straordinario ritrovamento, quali l’identificazione del
‘proprietario’ e della funzione del complesso monetale, i motivi del suo
interramento e del
mancato recupero, la destinazione dell’edificio con il quale era
connesso. Alcune atipicità, evidenziate e discusse anche in occasione di
due Convegni Internazionali (2009 e 2012), organizzati per la
presentazione e lo studio del tesoro, potrebbero in effetti spiegarsi
con la possibilità che le monete, in specie quelle più antiche,
facessero originariamente parte di riserve immobilizzate – i.e.
sottratte alla circolazione – di comunità locali, probabilmente
municipali, e /o di patrimoni religiosi (templi, santuari ?).
Un attacco ad opera degli Austuriani – tribù maura della Tripolitania
– potrebbe essere stata la causa dell’occultamento (di fortuna?) e del
mancato recupero dei vasi con il loro prezioso contenuto.
In considerazione delle sue caratteristiche, il grande Tesoro di
Misurata costituisce un ritrovamento di straordinaria importanza per la
storia economica e monetaria della Tripolitania tra la fine del III ed
il primo terzo del IV secolo: con la ripresa del programma di ricerche
in loco, potrà costituire un cantiere permanente per lo studio a tutto
campo della monetazione in bronzo argentato del Tardo Impero Romano.
A cura di Stefania Santangelo (collaboratore tecnico numismatico IBAM CNR presso la sede di Catania)
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