Giulia Pozzi venerdì 22 maggio 2015 - 15:00
ROMA - A poche ore dall'arresto a Milano di Touil, presunto attentatore della strage del Bardo approdato un mese prima a Porto Empedocle, l'allarme cresce. Nel mirino, soprattutto, i barconi della speranza, a bordo dei quali, urla qualcuno, viaggiano pericolosi terroristi dell'Isis. Siamo davvero sotto attacco? Dobbiamo avere paura di chi sbarca sulle nostre coste? In esclusiva al DiariodelWeb.it, ne parliamo con l'analista politico e strategico Alessandro Politi. Il primo di di tre appuntamenti in cui tratteremo di Libia, immigrazione, crisi internazionali e molto altro...
Politi, Touil è arrivato a Porto Empedocle a bordo di uno dei tanti barconi della speranza. Se venisse provato il suo coinvolgimento nell'attentato al Bardo avremmo la prova che il terrorismo islamico ci arriva dritto in casa via mare...
Sarei molto prudente, perché è estremamente sciocco arrivare con un barcone dove si può essere identificati quando invece si può arrivare con un normale visto turistico passando da una frontiera un po’ meno sorvegliata e poi sparire. Si può arrivare dai Balcani con tutta tranquillità, trovare un buco nella frontiera italiana, perché ne esistono, e passare.
Lupi solitari, dunque. Come possiamo proteggerci?
Certamente c’è bisogno di sorveglianza, prevenzione e intelligence, ma senza falsare le proporzioni del fenomeno. Gli ultimi dati del Ministero dell'Interno parlano di 84 morti di mafia nel 2013 e dal 2001 ad oggi 0 morti di terrorismo. Abbiamo avuto più morti per le Brigate Rosse che per il terrorismo jihadista: siamo due a uno, e peraltro quello fu un caso di un ragazzo in una scuola non sufficientemente protetta. La redazione di Charlie Hebdo era protetta dai poliziotti e non bastò. Ma non si può pretendere di blindare un intero Paese: questo non funzionerà di certo con l’Italia. Mandare 88mila poliziotti per inseguire quattro omicidi non ha alcun rapporto con la realtà. Chiamare l’11 settembre europeo la pur tragica perdita di 17 persone significa dimenticarsi degli spagnoli, che di morti ne hanno avuti 200, degli inglesi che ne hanno avuti 50 e degli americani che ne hanno avuti 2700. Mi sembra una mancanza di pudore, che non ha nulla a che fare con il terrorismo né con la politica.
L’Isis è strategicamente strutturato per minacciare l’Italia e l’Europa?
Difficile dirlo per quel poco che si sa dalle fonti aperte. Stando alle fonti ufficiali, l'Isis è passato in pochi mesi da 800 persone a 1000-3000 in Libia, ma non ha nessun interesse a dedicare forze a degli attentati all’estero, perché la sua priorità è avere un controllo territoriale nei Paesi arabi. Poi, che ci possa essere qualcuno che si radicalizza a causa di cattivi predicatori o via web e che decide di sparare all’impazzata in qualche posto dicendo di essere dell’Isis libico non c'entra con la strategia. Ci sono fenomeni molto difficili da controllare, ma che sono più legati all’autoesaltazione politica che non al terrorismo strutturato.
Quello che per l'opinione pubblica è difficile capire è cosa vogliano esattamente questi terroristi...
Nient'altro che attirare l'attenzione delle classi dirigenti. Ai terroristi non interessa affatto terrorizzare le popolazioni, che sono molto più resistenti di quanto non si pensi. Chi decide se un attentato ha successo oppure no è, alla fine, la classe dirigente attraverso la sua reazione. Si è volato di meno dopo il suicidio sul Germanwings? No. Anzi, può darsi che Germanwings abbia abbassato le tariffe. È l’unica cosa che cambia dopo un attentato. Per il resto, i passeggeri continuano a salire. Lo stesso dicasi per i treni. La popolazione civile magari si spaventa, ma alla fine la vita va avanti. I nostri nonni hanno resistito sotto i bombardamenti, cosa forse un po’ più seria di una bomba terroristica, per quanto grossa. In fin dei conti il terrorismo è piuttosto debole, lo si può vedere dalla proporzione di terroristi che sono divenuti capi politici o hanno ricevuto un Premio Nobel per la Pace. Sono mosche bianche: tutti gli altri sono morti, in prigione o in esilio.
Ma c'è anche il capitolo foreign fighters. Dobbiamo avere paura?
Quando si taglia tutto, come si fa in questo tempo anche nel più civile Nord Europa, si creano degli «spostati», e questi possono diventare dei combattenti itineranti, quelli che noi chiamiamo in modo pigro «foreign fighters». Fenomeno vecchissimo peraltro: Garibaldi era un foreign fighter, così come i patrioti risorgimentali di mezz’Europa e le brigate internazionali in Spagna. I mujaheddin stessi erano dei freedom fighters, ma anche «foreign»: non erano solo afghani a opporsi ai sovietici, ma un bel po’ di gente, tra cui Bin Laden. La prevenzione affinché la gente non si radicalizzi va fatta città per città: lo si sta scoprendo in Svezia. I terroristi li creiamo noi. Se non c’è speranza di mobilità sociale per gli italiani, e a maggior ragione per gli stranieri, di cosa ci lamentiamo? Servono scuola pubblica, servizi sociali che funzionano e opportunità di lavoro. Così si previene il terrorismo nelle comunità, sapendo che un certo numero di persone, non prevedibili, possono diventare comunque terroriste.
Preso da: http://esteri.diariodelweb.it/esteri/articolo/?nid=20150522_341744
Nessun commento:
Posta un commento