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lunedì 16 febbraio 2015

L’età d’oro delle operazioni nere: le forze speciali degli USA sono presenti in 150 nazioni

febbraio 8, 2015
Tyler Durden, Zerohedge 2/2/2015

Il seguente articolo è ciò che volevo evidenziare da oltre una settimana, ma le notizie erano così travolgenti che semplicemente non ne ho avuto la possibilità, finora. Avendo spese molto tempo a cercare di capire il mondo, mi stupisco sempre di ciò che leggo. Mentre i lettori abituali di questo sito sono ben consapevoli di come aggressivo e irresponsabile sia l’impero USA, distribuendo risorse militari all’estero, credo che parte delle seguenti informazioni, li renderanno ancora più inquieti.
Dall’articolo di Nick Turse sull’Huffington Post: The Golden Age of Black Ops:
Durante l’anno fiscale che si è concluso il 30 settembre 2014, le forze delle operazioni speciali (SOF) statunitensi erano presenti in 133 Paesi, circa il 70% delle nazioni del pianeta.
 Secondo il tenente-colonnello Robert Bockholt, ufficiale delle relazioni pubbliche del Comando Operazioni Speciali (SOCOM). Nell’arco di tre anni le forze d’élite del Paese erano attive in più di 150 Paesi nel mondo conducendo missioni che vanno dai raid notturni alle esercitazioni. E quest’anno potrebbe essere record. Solo un giorno prima del raid fallito che pose fine alla vita di Luke Somers, solo 66 giorni dall’inizio dell’anno fiscale 2015, le truppe d’élite statunitensi avevano già messo piede in 105 nazioni, circa l’80% del totale nel 2014. Nonostante dimensioni e scopi, tale guerra segreta globale in gran parte del pianeta è ignota alla maggior parte degli statunitensi. A differenza della debacle di dicembre nello Yemen, la stragrande maggioranza delle Special Ops rimane completamente nell’ombra, nascosta al controllo esterno. In realtà, a parte modeste informazioni divulgate attraverso fonti altamente selezionate dai militari, fughe ufficiali della Casa Bianca, SEALs con qualcosa da vendere e qualche primizia raccolta da giornalisti fortunati, le operazioni speciali statunitensi sono mai sottoposte a un esame significativo, aumentando le probabilità di ripercussioni impreviste e conseguenze catastrofiche. “Il comando è allo zenit assoluto. Ed è davvero un periodo d’oro per le operazioni speciali“. Queste sono le parole del generale Joseph Votel III, laureato a West Point e Army Ranger, quando assunse il comando della SOCOM lo scorso agosto. E non credo che sia la fine, anzi. Come risultato della spinta di McRaven a creare “una rete globale interagenzie di alleati e partner delle SOF“, ufficiali di collegamento delle Operazioni Speciali, o SOLO, sono ora incorporati nelle 14 principali ambasciate degli USA per aiutare a consigliare le forze speciali di varie nazioni alleate. Già operano in Australia, Brasile, Canada, Colombia, El Salvador, Francia, Israele, Italia, Giordania, Kenya, Polonia, Perù, Turchia e Regno Unito, e il programma SOLO è pronto, secondo Votel, ad espandersi in 40 Paesi entro il 2019. Il comando, e soprattutto il JSOC, ha anche forgiato stretti legami con Central Intelligence Agency, Federal Bureau of Investigation e National Security Agency, tra gli altri. La portata globale del Comando Operazioni Speciali si estende anche oltre, con più piccoli ed più agili elementi che operano nell’ombra, dalle basi negli Stati Uniti alle regioni remote del sud est asiatico, dal Medio Oriente agli austeri avamposti nei campi africani. Dal 2002, SOCOM è stato anche autorizzato a creare proprie task force congiunte, una prerogativa normalmente limitata ai comandi combattenti più grandi come CENTCOM. Si prenda ad esempio la Joint Special Operations Task Force-Filippine (JSOTF-P) che, al suo apice, aveva circa 600 effettivi statunitensi a sostegno delle operazioni di controterrorismo dagli alleati filippini contro gruppi di insorti come Abu Sayyaf. Dopo più di un decennio trascorso combattendo quel gruppo, i numeri sono diminuiti, ma continua ad essere attivo mentre la violenza nella regione rimane praticamente inalterata.
L’Africa è, infatti, diventato un luogo importante per le oscure missioni segrete degli operatori speciali statunitensi. “Questa particolare unità ha fatto cose impressionanti. Che si trattasse di Europa o Africa, assumendovi una serie di contingenze, avete tutti contribuito in modo assai significativo“, aveva detto il comandante del SOCOM, generale Votel, ai membri del 352.mo Gruppo Operazioni Speciali presso la loro base in Inghilterra, lo scorso autunno. Un’operazione di addestramento clandestina delle Special Ops in Libia implose quando milizie o “terroristi” fecero irruzione due volte nella base sorvegliata dai militari libici, e saccheggiarono grandi quantità di apparecchiature avanzate e centinaia di armi, tra cui pistole Glock e fucili M4 statunitensi, così come dispositivi di visione notturna e laser speciali che possono essere visti solo da tali apparecchiature. Di conseguenza, la missione fu abbandonata assieme alla base, che fu poi rilevata da una milizia. Nel febbraio dello scorso anno, le truppe d’élite si recarono in Niger per tre settimane di esercitazioni militari nell’ambito di Flintlock 2014, una manovra antiterrorismo annuale che riuniva le forze di Niger, Canada, Ciad, Francia, Mauritania, Paesi Bassi, Nigeria, Senegal, Regno Unito e Burkina Faso. Diversi mesi dopo, un ufficiale del Burkina Faso, addestratosi all’antiterrorismo negli Stati Uniti nell’ambito del Joint Special Operations presso l’Università del SOCOM nel 2012, prese il potere con un colpo di Stato. Le operazioni delle forze speciali, invece, continuano. Alla fine dello scorso anno, per esempio, nell’ambito del SOC FWD dell’Africa occidentale, i membri del 5° battaglione del 19.mo Gruppo Forze Speciali collaboravano con le truppe d’élite marocchine per l’addestramento in una base presso Marrakesh. Lo schieramento in nazioni africane, però, avviene entro la rapida crescita delle operazione all’estero del Comando delle Operazioni Speciali. Negli ultimi giorni della presidenza Bush, sotto l’allora capo del SOCOM, ammiraglio Eric Olson, le forze speciali sarebbero state dispiegate in circa 60 Paesi. Nel 2010 in 75, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del Washington Post. Nel 2011, il portavoce del SOCOM, colonnello Tim Nye, disse a TomDispatch che il totale sarebbe stato 120 Paesi entro la fine dell’anno. Con l’ammiraglio William McRaven, in carica nel 2013, l’allora maggiore Robert Bockholt disse a TomDispatch che il numero era salito a 134 Paesi. Sotto il comando di McRaven e Votel nel 2014, secondo Bockholt, il totale si ridusse leggermente a 133 Paesi. Il segretario alla Difesa Chuck Hagel aveva osservato, tuttavia, che sotto il comando di McRaven, dall’agosto 2011 all’agosto 2014, le forze speciali erano presenti in più di 150 Paesi. “In effetti, SOCOM e tutti i militari degli Stati Uniti sono più che mai impegnati a livello internazionale, in sempre più luoghi e in una sempre più ampia varietà di missioni“, ha detto in un discorso nell’agosto 2014.
Il SOCOM ha rifiutato di commentare la natura delle missioni o i vantaggi dell’operare in tante nazioni. Il comando non farà neanche il nome di un solo Paese in cui le forze delle operazioni speciali USA sono state dispiegate negli ultimi tre anni. Uno sguardo ad alcune operazioni, esercitazioni ed attività rese pubbliche, però, dipinge un quadro di un comando in costante ricerca di alleanze in ogni angolo del pianeta. A settembre, circa 1200 specialisti e personale di supporto statunitensi si unirono alle truppe d’élite di Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Finlandia, Gran Bretagna, Lituania, Norvegia, Polonia, Svezia, Slovenia nell’esercitazione Jackal Stone, dedicata a tutto, dai combattimenti ravvicinati alle tattiche da cecchino, dalle piccole operazioni su imbarcazione a missioni di salvataggio degli ostaggi. Per i capi delle Black Ops degli USA, il mondo è tanto instabile quanto interconnesso. “Vi garantisco che ciò che succede in America Latina influisce su ciò che accade in Africa occidentale, ciò che interessa l’Europa meridionale riguarda ciò che accade nel sud-ovest asiatico“, ha detto l’anno scorso McRaven a Geolnt, un incontro annuale dei dirigenti dell’industria spionistica con i militari. La loro soluzione all’instabilità interconnessa? Più missioni in più nazioni, in più di tre quarti dei Paesi del mondo, sotto il mandato di McRaven. E la scena sembra destinata ad ulteriori operazioni simili in futuro. “Vogliamo essere ovunque“, ha detto Votel a Geolnt. Le sue forze sono già sulla buona strada nel 2015. “La nostra nazione ha aspettative molto alte dalle SOF“, ha detto agli operatori speciali in Inghilterra lo scorso autunno. “Si rivolgono a noi per missioni molto dure in condizioni molto difficili“. Natura e sorte della maggior parte di quelle “missioni dure” tuttavia, rimangono ignote agli statunitensi. E Votel a quanto pare non è interessato a far luce. “Mi dispiace, ma no“, fu la risposta di SOCOM alla richiesta di TomDispatch per un colloquio con il capo delle operazioni speciali sulle operazioni, in corso e future. In realtà, il comando rifiutò di mettere qualsiasi personale a disposizione per una discussione di ciò che fa in nome degli USA e con i dollari dei contribuenti. Non è difficile indovinarne il motivo. Attraverso una combinazione abile di spavalderia e segretezza, fughe ben piazzate, abili marketing e pubbliche relazioni, coltivazione della mistica del superman (con un ciuffo dalla torturata fragilità di lato) e di estremamente popolari e pubbliciazzatti assassinii mirati, le forze speciali sono diventate le beniamine della cultura popolare statunitense, mentre il comando continua a vincere a Washington il pugilato sul bilancio. Ciò è particolarmente evidenziato da ciò che realmente accade sul campo: in Africa, armamento ed equipaggiamento di militanti e addestramento di un golpista; in Iraq, le forze d’elite statunitensi implicate in torture, distruzione di case, uccisione e ferimento di innocenti; in Afghanistan stessa storia, con ripetute segnalazioni di civili uccisi; mentre in Yemen Pakistan, e Somalia è lo stesso. E questo è solo una minima parte degli errori delle Special Ops. Quindi non solo il pubblico statunitense non ha idea di cosa succeda, ma ciò spesso finisce in un disastro. Vedasi più sotto.
Dopo più di un decennio di guerre segrete, sorveglianza di massa, un numero imprecisato di incursioni notturne, detenzioni ed omicidi, per non parlare di miliardi su miliardi di dollari spesi, i risultati parlano da soli. Il SOCOM ha più che raddoppiato le dimensioni e il segreto JSOC sarebbe grande quasi quanto il SOCOM nel 2001. Dal settembre di quell’anno, 36 nuovi gruppi terroristici sono nati, tra cui divesre succursali, propaggini e alleati di al-Qaida. Oggi, tali gruppi ancora operano in Afghanistan e Pakistan, dove ora ci sono 11 riconosciuti affiliati di al-Qaida, e cinque nella prima, così come in Mali, Tunisia, Libia, Marocco, Nigeria, Somalia, Libano e Yemen, tra gli altri Paesi. Un ramo è nato con l’invasione dell’Iraq, alimentato da un campo di prigionia statunitense, ed ora noto come Stato islamico che controlla una larga parte del Paese e della vicina Siria, un proto-califfato nel cuore del Medio Oriente che i jihadisti, nel 2001, potevano solo sognarsi. Quel gruppo, da solo, ha una forza stimata di circa 30000 armati che sono riusciti a conquistare grandi territori ed anche la seconda dell’Iraq, pur essendo incessantemente colpiti fin dall’inzio dal JSOC. “Dobbiamo continuare a sincronizzare il dispiegamento delle SOF in tutto il mondo“, dice Votel. “Dobbiamo tutti sincronizzarci, coordinarci e preparare il comando“. Ad essere fuori sincrono è il popolo statunietnse, costantemente tenuto all’oscuro di ciò che gli operatori speciali statunitensi fanno e dove lo fanno, senza citare i fallimenti e le conseguenze che hanno prodotto. Ma se la storia insegna, i blackout sulle Black Ops contribuiranno a garantire che continui ad esserci l'”età d’oro” dell’US Special Operations Command.
Ripetete dopo di me: USA! USA!

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Preso da: https://aurorasito.wordpress.com/2015/02/08/leta-doro-delle-operazioni-nere-le-forze-speciali-degli-usa-sono-presenti-in-105-nazioni/

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