27 - 01 - 2015 Michele Pierri
Le violenze, in Libia, non sono certo iniziate oggi. Il Paese è in preda al caos dalla caduta di Muammar Gheddafi nell’ottobre 2011 e prova da allora, "col sostegno dell’Onu, a risalire la china". Oggi, però, a spaventare c’è un elemento in più: l’avanzata dei jihadisti dell’Isis.
Stamane quattro uomini hanno fatto esplodere un’auto davanti all’hotel e poi sono entrati sparando, prima di farsi esplodere, uccidendo due membri delle forze di sicurezza e ferito tre persone. Un terzo membro della sicurezza è morto nell’esplosione dell’autobomba mentre due dipendenti, di nazionalità filippina, sono rimasti leggermente feriti. Per le altre sei vittime (nove in tutto) non viene per ora precisata la nazionalità. L’albergo in questione è il Corinthia, frequentato dai pochi stranieri – una manciata tra imprenditori e diplomatici – ancora presenti nel centro della capitale libica, Tripoli.
Al Corinthia, noto perche ospitava la sede di numerose missioni diplomatiche e del governo libico, risiede abitualmente il premier islamista, Omar al Hasi (non risconosciuto dalla comunità internazionale a differenza di al Thani) ma al momento non è chiaro se si trovasse nell’albergo al momento dell’attacco anche se si ritiene potesse essere uno degli obiettivi reali dell’offensiva.
LA RIVENDICAZIONE DELL’ISIS
A rivendicare l’attacco è stata la filiale libica dello Stato islamico, il cosiddetto califfato di Derna, che prende il nome dall’omonima città portuale sotto il controllo degli uomini di al-Baghdadi. ”L’attacco all’albergo – spiegava una nota dei terroristi rilanciata dal libanese Daily Star- è per vendicare la morte negli Stati Uniti dello sceicco Abu Uns al Libi“, la mente degli attentati in Kenya e Tanzania nel 1998, catturato a Tripoli il 5 ottobre 2013 da forze speciali Usa. Alcuni impiegati dell’albergo, ha riportato su Twitter la corrispondente della Bbc nel Paese, Rana Jawad, avrebbero ricevuto minacce qualche giorno fa, e gli sarebbe stato intimato di lasciare l’edificio. Oggi l’attacco.
LE INCOGNITE
Sono ancora molte, però, le incognite legate all’attentato, a iniziare dalla reponsabilità stessa dell’Isis. La crescita dei fermenti jihadisti, anche a causa dell’orrore dell’Isis, arrivato a Derna, è preoccupante. Ma il rischio, richiamato da molti analisti, è quello di cadere nell’errore di utilizzare la narrativa del terrorismo per raccontare e interpretare vicende ben più complesse (come il coinvolgimento di attori esterni nell’instabilità del Paese). Ad insospettire gli analisti è principalmente la libertà di movimento dei presunti terroristi del califfato. Fino a dicembre scorso, la maggior parte degli osservatori riteneva la città di Tripoli sotto il controllo quasi esclusivo delle milizie islamiste “Fajr Libia” (“Alba della Libia”) che hanno installato a Tripoli un governo parallelo dopo aver espulso il governo riconosciuto dalla Comunità internazionale, rifugiatosi a Tobruk. A distanza di così pochi mesi pare improbabile che abbiano perso la capacità di accorgersi cosa accade sotto al loro naso. E poi c’è anche un dato politico: in un Paese governato anche da forze laiche, perché un movimento islamico dovrebbe aggredire un territorio già controllato da una componente islamista e non concentrarsi altrove?
LA MOTIVAZIONE
Per queste ragioni, sono in molti a credere che si tratti piuttosto di una prova di forza di alcune milizie e non di un’azione dello Stato islamico. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, è stato prudente, definendo l’attacco “un tentativo di boicottare, danneggiare, influenzare negativamente gli sforzi in corso a Ginevra per riconciliare le parti in conflitto in Libia“, senza però fare riferimenti specifici.
TIMORI CRESCENTI
Il coinvolgimento dell’Isis rimane al momento il nodo più importante da sciogliere e, se confermato, aprirebbe a scenari inquietanti. Si tratterebbe infatti del terzo attacco in poco tempo, rivendicato dal califfato: il primo contro le ambasciate di Emirati arabi uniti ed Egitto, il secondo all’ambasciata algerina e il terzo, oggi, all’hotel Corinthia. A maggio scorso era stato il Daily Beast a lanciare l’allarme. La Libia, terra resa fragile dall’instabilità politica degli ultimi anni, sarebbe presto divenuta terreno fertile per gruppi fondamentalisti, una sorta di “Woodstock del terrorismo”. Forse questo presagio si sta avverando.
Preso da: http://www.formiche.net/2015/01/27/libia-tripoli/#.VMfWLdE2B9M.facebook
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