Il dialogo raccolto e diffuso da Save The Children in Libia. A parlare è uno dei prigionieri dei trafficanti che aspetta da mesi di potersi imbarcare verso l'Europa. "Non vediamo la luce... violenze su uomini e donne, poco cibo, solo maccheroni"
23 aprile 2015
ROMA - Yosef ha 22 anni, è originario dell'Eritrea. È stato in Libia per sette mesi ed è uno degli 86 migranti chiusi all'interno di una casa in un luogo imprecisato della Libia. Nel gruppo ci sono 37 tra donne e bambini, otto dei quali sono piccolissimi o neonati. Ci sono vari adolescenti non accompagnati. Yosef racconta che durante tutto questo tempo nella casa, quattro donne in stato di gravidanza hanno dato alla luce i propri bambini senza alcun tipo di assistenza o di supporto medico.La casa è gestita da trafficanti che chiedono un affitto a coloro che ne sono ospiti. Quelli che non sono in grado di pagare sono obbligati ad andarsene e di loro non si hanno più notizie.
Yosef, prigioniero in Libia: ''Non vediamo la luce del sole, siamo soli''
Ecco la trascrizione della testimonianza di Yosef
"Vi racconto il nostro viaggio dal Sahara fino a dove siamo ora...Abbiamo attraversato avversità e nessuno ha mai visto quello che abbiamo visto noi. Le donne qui non sono in pericolo a causa degli eritrei, ma lo sono a causa della popolazione locale. Le difficoltà che abbiamo visto in Libia vanno oltre ogni immaginazione. Qui non sono solo le donne ad essere violentate, ma anche gli uomini. Non vediamo la luce del sole. L'unico modo che conoscevamo per capire il tempo che passava era attraverso il richiamo della preghiera nella moschea".
Siete mai usciti?
"Assolutamente no. L'unico modo che avevamo per sapere che cosa stava succedendo è grazie alle persone nuove o a quelli di passaggio per salire sulla barca. Ora sono a Tripoli, nei pressi dell'ambasciata eritrea. Sono stato qui per sette mesi. Qui ci sono in tutto 37 donne e bambini".
Ci sono altri minori di 18 anni nella casa dove ti trovi?
Certo, ci sono moltissimi minori di 18 anni. Quelli di cui ti ho parlato sono i bambini che sono accompagnati dalle loro madri. Non c'è cibo, ci sono solo maccheroni. Abbiamo malattie e ferite sulla pelle. Non abbiamo i medicinali. Non c'è possibilità di alcun cambio di vestiti per nessuna delle persone malate. I maccheroni che ci danno da mangiare hanno dentro metallo e pietre. È con questo che vengono nutriti i bambini.
Avete anche assistito ad abusi contro i bambini e le madri?
"Naturalmente. Prima ce ne erano molti. Ho visto donne essere violentate davanti ai loro figli, lasciano i loro figli sulla parte superiore della macchina e prendono le madri se vogliono violentarle. Hanno anche messo loro armi da fuoco o esplosivo intorno al collo per spaventarle. Queste madri hanno portato con loro i propri bambini sperando di tenerli in un luogo sicuro e ora li vedono usati. Noi, come i loro connazionali non possiamo fare nulla. Anche se vogliamo ci dicono di non interferire o che se lo facciamo ci uccideranno. Siamo senza speranza. Non possiamo nemmeno contrattare a causa delle difficoltà della lingua".
Avete accesso a cure mediche?
"Assolutamente nulla, non si può lasciare il posto in cui siamo perché poi ci viene chiesto da dove proveniamo e quindi non possiamo lasciare questo posto".
Che cosa puoi dirci dei minori che sono lì con te? Stanno bene?
"Quello che posso dire su di loro è che si stanno prendendo cura di se stessi da soli. Sono trattati come gli adulti. Fanno quello che facciamo noi. In questa casa siamo in 86. Nell'altra sono in 180. Le donne e i bambini non sono separati dagli uomini. Più giù ci sono altre 330 persone. Mia zia mi ha aiutato ad andare dal Sudan alla Libia, ma ora lei dice che non può più aiutarmi oltre, così sono bloccato qui perché non ho nessuno che mi mandi i soldi. Ora ho perso la speranza. So che la mia famiglia non può fare nulla. Sono poveri. Se racconto loro la mia situazione si preoccuperanno, così sono qui da solo. Non sono più in grado di sostenermi e la situazione non cambierà. Sono qui da 7-8 mesi e ormai ho perso la speranza".
Come si viveva in Eritrea?
"Avevo perso la speranza anche lì. Ero in servizio militare da 8 anni. Dal dicembre del 2006".
Ti preoccupa fare la traversata?
"Certo che mi preoccupa, ma che cosa vi aspettate che faccia? Questo posto non è un posto dove stare. Quindi si deve prendere quel 50 per cento di possibilità e sapere che le cose accadono e che si potrebbe morire, ma si deve correre questo rischio. Degli uomini con la barba sono venuti e ci hanno detto di separare i cristiani dai musulmani e così siamo stati separati. Ci hanno chiesto cose del Corano e di mostrare segni con le mani per far vedere che siamo musulmani. Così sono state prese 86 persone".
Preso da: http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2015/04/22/news/le_parole_di_yossef_che_ha_perso_la_speranza_sa_che_potra_morire_ma_vuole_partire_lo_stesso-112609655/
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