Le voci raccolte in un bar alla periferia di Milano, dove cinque immigrati islamici commentano quanto è accaduto nella capitale francese, con qualche faticoso distinguo
19 gennaio 2015 Carmelo Abbate
Tarek: «I terroristi di Parigi sono degli infiltrati che hanno agito per mettere in cattiva luce la religione musulmana, guarda caso in un periodo in cui tante donne in Italia e in Europa si convertono all’Islam». Faris: «I terroristi erano francesi, come i morti ammazzati. È un problema della Francia, cosa c’entra l’Islam?» Ahmed: «Hanno ucciso dieci persone e si ferma il mondo, per tutti i morti in Libia nessuno alza un dito». Adel: «Tu hai mai sentito un musulmano offendere Gesù Cristo? Allora perché voi non fate altro che insultare il profeta Mohammed». Maghid: «Parliamoci chiaro, tu pensi davvero che dietro l’11 settembre c’è Osama Bin Laden?»
Sono alcune delle voci emerse durante una conversazione alla quale abbiamo preso parte in un bar di Milano, seduti davanti a un caffè per soli uomini, in una atmosfera distesa, tra amici che nel momento in cui passa una donna, vestita come ci si può vestire all’esterno con una temperatura vicina allo zero, si danno di gomito: guarda quella troia.
Una premessa. Il nostro obiettivo era quello di capire cosa pensano i musulmani italiani degli attentati di Parigi e dei terroristi che ammazzano in nome dell’Islam. Potevamo prendere le dichiarazioni delle frange più estremiste pubblicate in rete, dove impazzano manifestazioni di giubilo per i martiri che hanno vendicato la grave offesa dei vignettisti infedeli contro il profeta Maometto. Potevamo intervistare i portavoce delle comunità islamiche, per replicare le solite dichiarazioni, buoniste quanto poco utili, sui delinquenti che non hanno nulla a che vedere con la loro religione, che predica pace, amore e vita, non morte. Abbiamo scelto un’altra strada, abbiamo telefonato a qualche amico egiziano, tunisino, ci siamo aggregati e abbiamo passato un po’ di tempo tra musulmani che vivono a Milano, hanno una famiglia, un lavoro, una vita di relazione. Senza chiedere cognomi, dati anagrafici e numeri di telefono, senza fare troppe domande, senza pretendere di convincere, correggere, condannare. Ma per ascoltare.
Preso da: http://www.panorama.it/news/cronaca/terrorismo-parigi-libia/
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