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giovedì 14 novembre 2013

AQMI e i rischi per il Nordafrica

Al-Qaeda in Maghreb e Sahel
AQMI e i rischi per il Nordafrica
AQMI ripensa le proprie strategie per aumentare la presenza nei Paesi maggiormente indeboliti dell'intero Maghreb.
Andrea Ranelletti
Giovedì 31 Ottobre 2013, 8:37

Mentre i Paesi della regione lavorano per incrementare la sinergia per combattere la minaccia terroristica nel Maghreb e nel Sahel, al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) continua a cercare nuove strade per cercare di radicare ulteriormente la propria presenza sui vari territori statali e reclutare nuove leve. L’indietreggiamento nel Mali del Nord, causato dalla serie di sconfitte subite a seguito dell’intervento franco-africano del gennaio 2013, aveva fatto presagire un indebolimento complessivo di AQMI. La costante discesa del Nord Africa nella spirale dell’instabilità sta, però, offrendo all’organizzazione terrorista rinnovate possibilità per radicare la propria presenza nella regione, approfittando del deterioramento della situazione della sicurezza nei vari Paesi per mettere a punto strategie più efficaci.


La Libia sembra essere oggi divenuta centro propulsivo dell’ondata di destabilizzazione che sta mettendo in difficoltà l’intera regione nordafricana. Lo scarso controllo che le autorità statali detengono su ampie porzioni del territorio nazionale fa sì che varie forme di criminalità possano trovare riparo nel Paese, dove abbondano armi e merci di contrabbando. La presenza di milizie islamiste e bande salafite è molto forte in alcune aree della Libia, e il loro collegamento con alcune fazioni di AQMI consente alle varie organizzazioni di collaborare per aumentare l’impatto delle rispettive azioni.

Il colpo di Stato militare e la violenta repressione della Fratellanza Musulmana in Egitto hanno fatto aumentare il rischio di una reazione jihadista e di una polarizzazione irreversibile della dialettica politica. Al contrario, il fallimento dell’esperienza di Governo in Tunisia degli islamisti moderati di Ennahda rivela come le pressioni dell’estremismo salafita possano costituire un ostacolo per i tentativi di mediazione tra i partiti islamisti e il resto della società. La costante radicalizzazione dell’organizzazione Ansar al-Sharia in Tunisia, guidata da Abu Iyad, mostra come in ogni Paese siano presenti frange jihadiste pronte ad allearsi ad al-Qaeda per combattere contro le autorità statali.

Se è vero che in Libia e Tunisia l’estremismo religioso sta trovando un terreno fertile, bisogna comunque ricordare che non è a Tripoli o a Tunisi che questo affonda le sue radici. Sicuramente l’ondata di destabilizzazione seguita alla caduta dei regimi dittatoriali del Nordafrica ha avuto un ruolo importante nella crescita di tale movimento, ma la sua genesi va ricercata nella tragica storia dell’Algeria degli ultimi venti anni. Come scriveva lo scorso gennaio l’analista Omar Ashour su 'ThinkAfricaPress', «AQMI non è un prodotto della Primavera araba. AQMI esiste a causa del colpo di stato militare che pose fine alla “Primavera algerina” di due decadi fa. […] Ed è stato rafforzato dal fallimento nell costruzione dello Stato nel Nord del Mali, dall’assenza di una riconciliazione e reintegrazione a seguito del conflitto algerino e dall’assenza di affidabilità di un ombroso establishment della sicurezza algerino, i cui brutali metodi si sono mostrati dannosamente inadeguati alla sfida».

Prodotto indiretto del Gruppo Salafita per la Predicazione e per il Combattimento (GSPC), offshoot del Gruppo Islamico Armato che insanguinò l’Algeria nel corso degli anni Novanta, al-Qaeda nel Maghreb Islamico è composto da combattenti jihadisti che decisero di non abbandonare la battaglia contro le autorità statali e continuarono a portare avanti la propria attività sui monti della Cabilia, nel Nord del Paese. Tra questi combattenti c’erano l’attuale emiro di AQMI, Abdelmalek Droukdel e Mokhtar Belmokhtar, uno dei più importanti combattenti jihadisti del Nordafrica, responsabile dell’attacco al sito estrattivo di In Amenas nel gennaio scorso. Fu proprio ad Algeri che AQMI diede vita al suo primo attacco, l’attentato del dicembre 2007 contro le Nazioni Unite e la Corte Costituzionale algerina, in cui morirono oltre 40 persone.

«Nel Mali del Nord, AQMI è riuscita a costruire una struttura reticolare fatta di legami familiari, rapporti economici e alleanze militari con i gruppi locali, ampliando le proprie fila con reclute del posto» ha scritto Anouar Boukhars, uno dei maggiori esperti delle questioni legate al movimento nordafricano. «Tuttavia le rigide strutture gerarchiche dell’organizzazione e la concentrazione di algerini nei maggiori ruoli di potere rendono AQMI un’organizzazione algerina per eccellenza».

La situazione nel Nord del Mali continua a costituire, inoltre, una grave incognita per le possibilità di stabilizzazione della regione.
Nonostante AQMI, Mujao e Ansar Eddine -i principali gruppi jihadisti attivi nella regione- siano stati allontanati dalle principali città a seguito dell’intervento francese, il Mali settentrionale resta a rischio. La scarsa partecipazione del Nord del Mali alle elezioni di luglio-agosto 2013 che hanno visto trionfare Ibrahim Boubacar Keita rivela la permanenza di una divisione tra Sud e Nord del Paese, mentre il protrarsi del conflitto tra esercito maliano e separatisti tuareg permetterà ad AQMI di approfittare della situazione per portare avanti la propria agenda. La difficile pattugliabilità delle aree desertiche che collegano il Mali settentrionale a Niger e Algeria costituisce un ulteriore problema e fornisce riparo perfetto ai militanti jihadisti attivi nell’area.

La scorsa settimana, l’analista Mohamed Masbah ha scritto per il 'Carnegie Endowment' un utile saggio sulle nuove strategie che al-Qaeda sta mettendo a punto per effettuare la sua opera di proselitismo nei Paesi del Maghreb. Masbah ricorda come solo nel marzo scorso sia stato trovato un documento di AQMI in cui si discuteva «il bisogno di reclutare giovani in Tunisia, Algeria e Marocco per condurre la battaglia nel Mali del Nord e nell’Algeria del Sud e per sfidare l’influenza francese e il Governo algerino. Questo segnala un cambiamento verso una localizzazione della jihad piuttosto che una sua internazionalizzazione, che significa un focus locale per AQMI, che raccomanda che i suoi membri rimangano in Nordafrica per reclutare seguaci piuttosto che andare in zone di conflitto come la Siria».

Le notizie riguardanti un abbandono di AQMI da parte del comandante militare Mokhtar Belmokhtar, congiuntosi al MUJAO, hanno spinto alcuni osservatori a parlare di un possibile indebolimento dell’organizzazione. Nonostante l’importanza del 'narcojihadista', rimane però difficile immaginare che la struttura reticolare di AQMI possa risentire in maniera eccessiva dell’abbandono di un singolo membro, considerata l’ampia quantità di collegamenti e alleanze strette con singole cellule dei vari Paesi. Inoltre, la comprovata presenza di un alto numero di jihadisti nordafricani tra le fila dei gruppi islamisti ribelli attivi in Siria nella battaglia contro Assad costituisce un’incognita su come i Governi dell’area dovranno affrontare il loro futuro ritorno.

Fonte:

http://www.lindro.it/politica/2013-10-31/105877-aqmi-e-i-rischi-per-il-nordafrica

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